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martedì 10 settembre 2019

Il nuovo governo visto dalla festa nazionale dell'unità di Ravenna. Salvini come nella fiaba "Kirikù e la strega Karabà" resuscita il villaggio Pd in agonia



Erano diversi anni che non andavo a una manifestazione di chiusura della Festa nazionale dell'Unità. Domenica sono andato a quella di Ravenna. Ero curioso di capire qual era il clima dopo l'accordo Pd-Leu-M5S e la costituzione del nuovo governo. Di vedere com'è cambiata nel tempo quella kermesse. E anche di scoprire perché la si continui a chiamare dell'Unità con il "dell" attaccato ma la "U" maiuscola che era propria de l'Unità, il giornale a cui erano dedicate le feste che dopo essere stato malamente chiuso dal Pd non esiste più, se non nelle squallide manovre per tentare di salvare il nome della testata ricorrendo, addirittura, alla firma di Maurizio Belpietro come direttore responsabile. Allora parto proprio da qui, da quest'ultima questione. Il motivo, l'ha spiegato anche Zingaretti nel suo comizio, è nel valore dell'unità che il "suo" Pd vorrebbe al proprio interno, per la sua comunità e per il Paese. Un valore che al segretario è molto caro, che egli ha perseguito con tenacia interpretando bene, bisognerà pur dirlo, un sentimento diffuso tra gli elettori e i militanti del partito. "E' finita la stagione dell'io, è tornata quella del noi", dice orgogliosamente Zingaretti alzando la voce e suscitando il forte applauso del pubblico. Anche se l'impressione che si ha è che quella unità sia ancora molto di facciata, o meglio, di convenienza, e non si sa se e quanto potrà durare. Ma se unità dev'essere che sia con la "u" minuscola. E che anche le feste diventino dell'unità, non più dell'Unità, o peggio ancora de l'Unità come ancora se ne vedono in giro. Se non altro per il rispetto che si deve alla testata fondata da Antonio Gramsci e ai giornalisti che ci lavoravano, licenziati e molti ancora in causa con l'editore per il mancato riconoscimento dei loro diritti.

Dopo di che la cosa che più mi ha colpito ieri a Ravenna è il miracolo compiuto da Salvini. Affidandosi alla madonna e baciando rosari, non solo è riuscito a fare il più incredibile degli autogol; non solo è riuscito a far cadere il governo e a far saltare un'alleanza con i Cinquestelle che giorno dopo giorno ingrassava l'ex Ministro della Paura e la sua Lega come il mostro che prosciugava la fonte del villaggio nella favola "Kirikù e la strega Karabà"; ma è addirittura riuscito a resuscitare il Pd, che fino all'altro ieri era il classico morto che cammina. L'aria che si respirava domenica a Ravenna era euforica, il clima tra i militanti e gli elettori era di ritrovata fiducia, direi perfino di entusiasmo. Poche le facce tristi, scettiche, silenti. Tanti gli applausi e i "Nicola Nicola Nicola" ritmati al segretario. Tanto che, a un certo punto, il pubblico s'è messo a cantare non solo "Bellaciao", ma perfino "Bandiera rossa", sollevando da lì a poco le critiche dei renziani. Del resto quell'aria nuova, mi sembra, è quella che si respira anche nel Paese. Più per il sollievo di vedere Salvini fuori dal Viminale e la trucida Lega all'opposizione che per la fiducia nella nuova alleanza Pd-M5s, direi. Ma tanto è. E Zingaretti, non so se credendoci davvero o se per motivare ancor più la truppa, coglie la palla al balzo e annuncia "adesso cambia tutto, da domani si volta pagina, finisce l’era del populismo, chiudiamo la stagione dell’odio e apriamo quella della politica della speranza”. Mettendo un'enfasi che a me è sembrata eccessiva sulle potenzialità del nuovo governo e dello stesso Pd, e spandendo aspettative che non si sa quanto potranno effettivamente realizzarsi nel quadro degradato e ancora avvelenato della politica attuale e nella difficile situazione socio-economica in cui ci troviamo. Ma questo è solo il mio parere. Chi vivrà vedrà.

L'altra cosa che mi ha colpito, positivamente, è che da Zingaretti ho ascoltato finalmente anche qualche pensiero lungo. Il primo rivolto al governo: "Per evitare che torni la destra, che è forte nella società - ha detto - bisogna che i nostri ministri non pensino ai prossimi dieci mesi, ma alla bambina o al bambino che in queste ore sta nascendo a Palermo, a Ravenna, a Milano”. Il secondo è sull'idea di sviluppo e sul clima. "Il mondo brucia - ha gridato il segretario - si consuma in maniera molto più veloce di quanto ci si potesse immaginare. L'Italia nuova sarà quella dello sviluppo sostenibile. Ai ragazzi di questa Europa i nostri padri hanno garantito la pace. La nostra missione etica e culturale ora, in questo secolo, è quella di pensare a un modello di sviluppo diverso, basato sulla sostenibilità ambientale e sociale per i prossimi 100 anni". Il terzo è sull'Europa, con una sfida mooolto impegnativa: "Dobbiamo riscrivere la storia - dice Zingaretti - negli anni Venti di questo secolo ci batteremo perché l'Italia possa guidare un movimento che porti entro la fine del prossimo decennio all’elezione diretta del presidente degli Stati Uniti d’Europa". Ha volato troppo alto? Probabile. Ma sentire qualche idea, qualche ragionamento che va oltre i cori anti-Salvini e guarda al futuro, al possibile ruolo del Pd e della sinistra nel complesso mondo di oggi, un po' rincuora.

L'ultima constatazione, negativa nella sua banalità, è che non ci sono più i partiti e le feste di una volta. Quando c'era il Pci la manifestazione di chiusura della Festa nazionale de l'Unità era un grande fatto di popolo: centinaia di migliaia di persone arrivavano da tutta Italia per ascoltare il segretario che parlava in ampi spazi aperti. Domenica a Ravenna Zingaretti ha tenuto il suo comizio sotto a un tendone, in uno spazietto, davanti a qualche migliaio di persone. E quelle che venivano da fuori, mi è parso, erano più che altro quelle sul palco: Gentiloni, i ministri, gli altri dirigenti del Pd. Più qualche sparuto gruppo organizzato. Ma tant'è.



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