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giovedì 29 agosto 2019

L'accordo di governo tra Cinquestelle e Centrosinistra: più dubbi che certezze. Ora Conte dimostri di essere uno statista e non il paraculo che è finora sembrato



Una settimana fa, quando la crisi di governo era ancora in alto mare, in bilico tra doppi forni ed elezioni, avevo previsto l'accordo Cinquestelle-Centrosinistra e il reincarico a Conte https://www.globalist.it/politics/2019/08/24/salvini-di-maio-e-renzi-tre-piccoli-uomini-dominus-della-nuova-politica-italiana-2045449.html. Scrivevo che "tutto sommato sarà un bene per il Paese, se non altro per fermare la deriva fascioleghista in cui stavamo precipitando. Ma non so se lo sia per la politica italiana, che ha un disperato bisogno di recuperare credibilità tornando a formare classe dirigente. E non so se lo sia per la sinistra, che ha anch'essa un disperato bisogno di ritrovare se stessa e una ragion d'essere nel mondo nuovo e globalizzato di oggi".

Oggi, dopo aver ascoltato il discorso del presidente incaricato, e quello di ieri di Di Maio all'uscita dal Quirinale, non so se compiacermene. Né della previsione azzeccata, né dell'auspicio. Di positivo, oggi, vedo l'uscita dal Viminale di Salvini, che ancora ieri ha vietato lo sbarco alla nave italiana Mare Jonio che ha salvato 98 naufraghi, di cui 22 bambini, mentre almeno 6 persone sono annegate; e vedo il suo passaggio dalle stelle di governo (il boom di consensi virtuali conquistati seminando odio e razzismo, le elezioni invocate per avere "pieni poteri") alle stalle dell'opposizione (con l'autogol clamoroso della crisi d'agosto e i tentativi patetici di tornare indietro). Di positivo anche se bizzarro, almeno per quelli come me che sono di sinistra, vedo anche l'incredibile anomalia di un Paese che nel momento di maggior consenso alla destra, al sovranismo e al populismo si appresta a varare un governo che, almeno sulla carta, è quello più spostato a sinistra di sempre, con dentro anche pezzi della "sinistra sinistra". Un governo, si potrebbe anche dire, espressione di un vasto quanto minoritario, variegato e finora assai mal rappresentato elettorato di centrosinistra che va dagli ex comunisti ed ex democristiani ai riformisti di stampo socialista, cattolico e liberale, dall'ambientalismo all'antipolitica e all'astensione "di sinistra"; in altre parole, da Fratoianni a Bersani, da Zingaretti a Renzi, da Fico a Prodi.

Detto questo, ciò che si va profilando è soprattutto il "governo delle giravolte". Con un premier che 15 mesi fa prometteva a braccetto con Salvini e Di Maio "un anno bellissimo", che ha avallato e firmato le peggiori leggi e i peggiori provvedimenti di destra (decreti sicurezza, porti chiusi, legittima difesa), e che ora descrive invece un Paese in profonda crisi da risollevare con un altro progetto politico e riformatore all'insegna della "novità". Con un vice premier (Di Maio) che considera destra e sinistra "superate", che rivendica per intero la politica perseguita e attuata nell'ultimo anno dall'alleanza Cinquestelle-Lega, pretende che il programma stellato diventi il programma di tutto il governo e incensa il Conte Pio come il campione di un "nuovo umanesimo", roba che De Gasperi, Moro o Berlinguer gli fanno un baffo a quello lì. Con chi nel Pd mai e poi mai avrebbe anche solo accettato di dialogare con i grillini, figurarsi l'alleanza (#senzadime) e in questa crisi si è rivelato il primo sponsor del governo giallorosso, a prescindere. E con un segretario del Pd che ha inutilmente invocato discontinuità e svolta ma è stato costretto, dai suoi amici e compagni di partito quasi più che dai suoi alleati di governo, a ingoiare il Conte Bis e le sparate di Di Maio, che è ancora quello del "mai con il partito di Bibbiano che ruba i bambini alle madri". Il povero "Zinga", che si è comunque dimostrato di gran lunga il più equilibrato di tutti nella conduzione di questa crisi dell'assurdo, avrebbe preferito andare alle elezioni provando, nel frattempo, a ricostruire un "fronte largo" di centrosinistra, qualcosa che nelle intenzioni somigliava molto all'Ulivo di Prodi. Probabilmente non ci sarebbe comunque riuscito, vista la vocazione di Renzi a sfasciare tutto quel che sa di vecchia sinistra per riprendersi il partito o farsene uno suo personale (come del resto vuol fare Calenda). Ma l'uomo di Rignano, i gruppi parlamentari e il ceto politico che s'è impadronito del Pd, con qualche assist esterno politico e mediatico di rilievo, lo hanno di fatto costretto a dire sì "governo delle giravolte".

La morale è che ci troveremo con un esecutivo e una maggioranza dove i due alleati principali, Cinquestelle e Pd, manifestano un approccio ai problemi e una visione del Paese e delle politiche necessarie per salvarlo, in molti casi diametralmente opposte. Con entrambi i partiti divisi al loro interno: il M5S tra chi voleva rimanere con la Lega o andare a votare e chi era invece propenso all'intesa coi democratici; il Pd tra chi voleva andare alle elezioni, anche per ridefinire identità e contenuti del proprio campo, chi era invece propenso a tentare la strada di una nuova alleanza di governo in chiave europea, anti-populismo e anti-Salvini ("Orsola" o similari) e chi l'accordo con gli ex nemici numero uno Grillo e Casaleggio l'ha voluto a prescindere, per spregiudicatezza politica e smania di potere. Che dire? Se queste sono le premesse è difficile immaginare che un simile governo possa reggere a lungo, che ci sia davvero discontinuità e svolta, e che dentro quest'alleanza la sinistra possa ritrovare la sua anima e la strada del suo rilancio. Si può solo sperare che gli interpreti principali delle giravolte siano tolti di torno, che il lavoro comune al governo possa servire da decantazione per trovare una sintonia vera, di idee, programmi e soluzioni, tra stellati e democratici, sintonia che probabilmente c'è in una parte dei loro elettori ma non nei loro dirigenti. Per questo non si può che rimpiangere il rigore calciato al vento sei anni fa dai grillini dopo la "non vittoria" del Pd, quando la possibilità di far nascere un'alleanza sui contenuti e avviare una fase nuova per l'Italia c'era eccome. Per questo oggi bisognerebbe che parecchi big del Pd e del M5S avessero almeno il buon gusto di chiedere scusa al buon Bersani.

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