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giovedì 16 gennaio 2025

Bologna 2 agosto 1980, la Cassazione chiude il cerchio: strage eversiva di Stato, pensata e finanziata dalla P2, eseguita dai fascisti e coperta dai Servizi deviati

 

Con la condanna definitiva all’ergastolo di Gilberto Cavallini, confermata ieri dalla Corte di Cassazione, si chiude il cerchio che congiunge la verità giudiziaria alla verità storica sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Gli ultimi processi agli esecutori e ai mandanti del più grave atto di terrorismo del dopoguerra hanno via via delineato con sempre maggiore chiarezza come si sia trattato di una strage fascista, politica e di Stato, eseguita dai terroristi neri, pensata e finanziata dalla P2 di Licio Gelli con la copertura dei Servizi segreti deviati per seminare terrore, destabilizzare la nostra democrazia e impedire così l’ascesa al potere del Partito comunista. Una strategia della tensione che trovava sponda, se non la regia, nell’”Amico Americano” e che aveva portato due anni prima al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro. La sentenza di ieri conferma l’intero impianto accusatorio della magistratura inquirente, in sintonia con ciò che il Paese aveva già capito da tempo, nonostante i depistaggi e la perseverante campagna innocentista della destra post-fascista oggi al potere, a cominciare dalla Presidente del Consiglio e dal suo Cerchio magico. Ora manca solo la conferma in Cassazione dell’ergastolo a Paolo Bellini per chiudere quel cerchio, anche se mancano ancora diversi tasselli per avere piena verità e giustizia.


“Io so ma non ho le prove”, scriveva Pierpaolo Pasolini 50 anni fa, dopo le stragi fasciste di Milano (Piazza Fontana) e Brescia (Piazza della Loggia), all’inizio della strategia della tensione. “Sappiamo la verità e abbiamo le prove”, avevano invece scritto il 2 agosto scorso i familiari delle vittime nel manifesto del 44esimo anniversario della strage che provocò 85 morti e più di 200 feriti. Era stata da poco confermata nel processo d’appello la condanna all’ergastolo di Paolo Bellini, figlio di un ufficiale della Folgore, ex “primula nera” di Avanguardia Nazionale, coinvolto in diversi misteri d’Italia, ladro di opere d’arte e killer di ‘Ndrangheta, indagato per le stragi del 1993 e per l’attentato di Capaci, ritenuto “senza ombra di dubbio alcuno” tra i terroristi neri presenti alla stazione quel maledetto sabato, poco prima delle 10.25, quando la bomba esplose nella sala d’aspetto di seconda classe. Riconosciuto dalla moglie nel fotogramma di un filmato amatoriale e ritenuto dai giudici “il quinto uomo” dell’attentato, quello preposto “a trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell'esplosivo", in ogni caso “a fornire un supporto materiale all'azione". Gli altri erano Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva come esecutori materiali (e già da tempo in libertà) e il “quarto uomo”, Gilberto Cavallini, pure lui terrorista dei Nar con il compito di dare supporto logistico all’operazione, già condannato in primo e secondo grado all’ergastolo, considerato dai magistrati inquirenti “in contiguità con i Servizi deviati e con ambienti massonici cui pure è riconducibile la strage”.


Ieri la Corte di Cassazione ha stabilito che ci sia “la certezza assoluta” della sua colpevolezza per aver ospitato Mambro, Fioravanti e Ciavardini a casa sua, a Villorba di Treviso, il giorno prima della strage, aver procurato loro false patenti e documenti di identità, oltre all’auto per raggiungere Bologna e rientrare dopo la strage.

Tutti e cinque avevano piena consapevolezza della finalità di quell’azione e della strategia politica eversiva che l’ispirava. Altro che banda di “spontaneisti” e di “guerrieri romantici” che si muovevano in autonomia per sovvertire il sistema, come hanno sempre cercato di accreditarsi i terroristi condannati per la strage. I processi ai mandanti e ai depistatori hanno clamorosamente smentito la loro tesi. La verità giudiziaria, a lungo inseguita dai familiari delle vittime che ieri sono accorsi numerosi a Roma in attesa della sentenza, è un’altra: l'attentato del 2 agosto 1980 faceva parte di una precisa e condivisa strategia eversiva a cui parteciparono non solo i terroristi dei Nar (Fioravanti, Mambro, Ciavardini, Cavallini) ma anche altre formazioni dell'estrema destra dell'epoca (Ordine Nuovo, Terza Posizione, Avanguardia Nazionale), finanziate dai soldi distratti dal Banco Ambrosiano da Licio Gelli e Umberto Ortolani e coperte dai Servizi segreti deviati, con il contributo del capo degli ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto D'Amato e del giornalista del Msi, Mario Tedeschi.

Tutti perfettamente consapevoli di quel che si andava a fare a Bologna e delle finalità della strategia della tensione. È scritto nelle motivazioni della condanna all’ergastolo di Cavallini: “L’incontro dei coimputati (Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini) la sera del 31 luglio e le successive condotte unitariamente tenute sono la riprova di una meticolosa preparazione di un evento che li accomunava”. E poiché Cavallini “rivestiva un ruolo apicale” nei Nar, “il gruppo non avrebbe mai aderito (a commettere l’attentato) senza il suo pieno consenso e la sua diretta partecipazione”. Tutti sicuri della copertura dei Servizi, che hanno sempre lavorato in tutti questi anni per depistare le indagini, e della destra ex missina impegnata ad accreditare altre fantomatiche piste (la più gettonata è stata “la pista palestinese”) e a negare la verità giudiziaria difendendo ad oltranza, anche dopo le condanne definitive, i responsabili di quell’orribile crimine. Chissà se anche dopo la sentenza di ieri della Cassazione - che rende giustizia ai famigliari delle vittime, a Bologna e alla Repubblica italiana nata dalla Costituzione antifascista – la premier Dio, Patria e Famiglia continuerà a sostenere l’innocenza dei suoi ex camerati e a negare l’offesa sanguinaria che con la strage è stata fatta a quella Nazione che un giorno sì e l’altro pure dice di voler difendere.

giovedì 2 gennaio 2025

L'anno che verrà, il mio oroscopo politico del 2025 mese per mese. Gennaio: Usa, il mondo nuovo degli psicopatici al potere

Qualcuno deve aver pensato, se il mondo è impazzito tanto vale consegnarlo ai matti. Così gli americani, che sono sempre avanti, hanno mandato due psicopatici alla Casa Bianca. Ma mica matti qualunque: matti di successo. Uno, Donald Trump, l'immobiliarista miliardario, spregiudicato e manipolatore che ammira i dittatori e che, secondo gli psicologi, soffre di “culto della personalità, narcisismo maligno, instabilità emotiva, comportamenti anti-sociali, paranoia, sadismo, mancanza di senso etico, misoginia, razzismo”. L’altro, Elon Musk, il suprematista bianco  visionario e molto "fumato" venuto dal Sudafrica, padre dell’auto elettrica Tesla, delle reti satellitari e aerospaziali SpaceX e Starlin, e del social X, ex Twitter, è attualmente l’uomo più ricco del mondo con un patrimonio di 350 miliardi di dollari. Un moderno Dottor Stranamore che per salvare l’umanità vuole impiantarci una Tesla nella testa per rendere i nostri cervelli competitivi con l’intelligenza artificiale, prima di trasferirci tutti su Marte. Chi sia il più suonato dei due gli psicologi non l’hanno ancora stabilito.

Tranquilli! Donald Trump, il primo presidente pluripregiudicato d’America dichiarato colpevole di aggressione sessuale, corruzione, diffamazione, frode e di un’altra trentina di reati, il 20 gennaio si insedierà al comando mandando al mondo e ai catastrofisti di turno messaggi rassicuranti. Per far tornare grandi gli States (Make America Great Again), all’inizio si limiterà a incoraggiare Netanyahu a “finire il lavoro” con i palestinesi e a mandare i saluti del suo “grande amico” Putin a Zelensky, per il quale ha già pronto un ruolo da conduttore e capo comico su Fox Tv. Poi si comprerà la Groenlandia e si annetterà il Canada e il Canale di Panama. Per deportare 25 milioni di immigrati clandestini, azzerare la lotta al cambiamento climatico e dichiarare guerra alla Cina avrà bisogno di un po’ più di tempo. Prima deve regolare i conti con la scienza che ha fatto dell’inutile allarmismo sul Covid, uscire dall’Organizzazione mondiale della sanità, tagliare i fondi alle scuole che insegnano “teorie critiche sulla razza” e alla cultura woke che promuove “la follia transgender”. Userà invece toni concilianti con l’Europa: “Se acquisteranno il nostro petrolio e il nostro gas su larga scala e si pagheranno per intero la Nato, faremo i buoni coi dazi e rimarremo buoni amici”.

Alla Casa Bianca e nel mondo, tuttavia, resta una certa preoccupazione. Prima di tutto perché non si è ancora capito chi dei due comanderà davvero. In secondo luogo, perché le ambizioni universali dell’uomo più ricco del pianeta non sembrano proprio in sintonia con l’America first di Trump. Le domande che tutti si pongono sono: quello tra Donald e Elon sarà vero amore? La nuova America sarà la sede terrena del regno di Trump o il punto di partenza per l’impero galattico di Musk? Di certo i due sono accomunati dal bisogno di superare i rispettivi traumi infantili (sono entrambi figli di padri-padrone, a loro volta un po’ scocomerati) e le loro debolezze umane: puttaniere acclarato Donald, procreatore compulsivo Elon. E da leader della moderna destra, sono uniti tra loro (e con l'amica Meloni) dall’amore per Dio, Patria e Famiglia. Soprattutto per la famiglia tradizionale. Trump, infatti, si è sposato tre volte, ha avuto cinque figli da tre madri diverse, una infinità di ex fidanzate e amanti, e, ciò nonostante, non è riuscito a togliersi il vizietto di aggredire le commesse nei camerini e di farsi le pornostar pagandola con i soldi della campagna elettorale.
Musk, convinto che filiare tanto significhi salvare l’umanità, di figli ne ha addirittura dodici, di cui alcuni nati con la fecondazione in vitro o con l’utero in affitto e uno che ha cambiato sesso, ha preso il cognome della madre e non vuole più essere legato in alcun modo e in alcuna forma al padre biologico. Per questo Elon, abbandonato dalla figlia trans che lo considera “una minaccia per l’esistenza dell’umanità”, ha lanciato la sua crociata per combattere “il virus della cultura woke che sta distruggendo un sacco di ragazzini”. Perché pensa che se il demone dell’Intelligenza artificiale e quello del wokismo dovessero accoppiarsi, si genererebbe una creatura spaventosa, un “mostrum”, anzi, tanti “mostrum” con la testa pazza di suo padre Errol e il corpo transgender della figlia Vivian Jenna.

Nell’America di Trump, questo moderno Dottor Stranamore pensa di guadagnare il tempo che gli serve per impiantare le prime colonie su Marte, i microchips per aumentare la potenza cognitiva dei nostri cervelli affinché possano interfacciarsi con le macchine dell’IA, e per salvare l’umanità dall’Anticristo estirpando il morbo del wokismo. Nel tempo perso si dedicherà al suo ruolo di capo del Doge, il Dipartimento per l’efficienza del governo, una sorta di tribunale del popolo voluto per sfoltire la burocrazia americana e renderla più efficiente. Ma tranquilli, ci andrà piano: ha annunciato che comincerà con il taglio di due trilioni di dollari, circa il 30% della spesa totale del paese. Così lui potrà continuare a privatizzare lo Spazio, sostituirsi alla Nasa, vendere ai migliori offerenti le proprie tecnologie, allargare il campo di influenza delle fake news sulla sua piattaforma social X. In attesa di creare, infine, quel mondo nuovo che si ispira alle sue letture giovanili di Asimov e Tolkien, dove l’anarco-capitalismo marziano di Musk sembra saldarsi con il social nazionalismo imperiale di Putin, Kim Jong Sun e forse perfino col comunismo capitalista di Xi Jinping. Sempre con un uomo solo al comando, s'intende. Quale dei due non è ancora dato sapere.

Hanno detto:

Trump: “Putin e Kim Jong Sun sono leader al top della forma: duri, intelligenti, cattivi e protettivi nei confronti del loro Paese”.

Trump: “E’ sempre un grande onore ricevere complimenti da un uomo così rispettato nel suo paese e oltre come Vladimir Putin”.

Musk: “Zelensky è il più grande venditore e il più grande campione di furti della storia. Ogni volta che viene qui se ne va con 60 miliardi di dollari”.

Musk: “Gli immigrati stanno avvelenando il sangue del nostro paese”.

Trump: “A New York nevica e si gela, il riscaldamento globale ci farà comodo”.

Trump (2020, prima presidenza): “Stiamo testando iniezioni di raggi ultravioletti, disinfettanti e candeggina per vedere se uccidono il virus. Il Covid se ne andrà via in pochi mesi senza vaccino".

(1, continua)

sabato 21 dicembre 2024

"Verità, la partigiana che visse due volte", piccola cronaca di una grande emozione


Lei, Nunziatina, quasi 99 anni, e loro, Eleonora, Emma, Fatu, Ginevra, Giorgio, Manuel, che di anni ne hanno 19. Ottant'anni di differenza e non sentirli. Coetanei nell'avventura da raccontare. Lei aveva 18 anni quando la fucilarono. Loro avevano la stessa età quando hanno cominciato a lavorare a questa storia. Il progetto un po' pazzo di realizzare, da studenti del Liceo Artistico nell'anno della maturità, una graphic novel sulla "ragazza ribelle" sopravvissuta all'esecuzione fascista e diventata icona delle donne nella Resistenza.

Non so quanti di loro, all'inizio, abbiano davvero pensato di poter portare a termine questo lavoro. Quanto ne sapessero delle tragedie del Novecento, di fascisti e partigiani, della lotta di Liberazione. Di sicuro ci ha creduto la loro prof, Monica Liverani, che anche dopo il diploma ha continuato a stimolarli, a riunirli, a convincerli che si poteva fare. E i ragazzi l'hanno seguita. C'era già chi lavorava, chi aveva cominciato l'Università o il corso professionale, chi doveva prendere la patente. Sei vite diverse e diciotto anni da spendere come si spendono a quell’età. Ma non si sono né scoraggiati né persi. E quando quella pazza idea è stata "sposata" anche dalle istituzioni nella persona del presidente del consiglio comunale Niccolò Bosi ed è entrata nel programma Concittadini della Regione diventando un progetto editoriale, hanno trovato il tempo e il modo, in mezzo ai loro casini, di impegnarsi a finirla. 

Ci sono riusciti. Il fumetto, "Verità, la partigiana che visse due volte", è stampato. Ed è bellissimo. Un lavoro curato, difficile, pregevole, di qualità, che ora ha anche un editore interessato a far proseguire dalla prossima primavera, nell'Ottantesimo della Liberazione, il viaggio della vicenda umana e politica di Annunziata Verità. Per portarlo nelle biblioteche e nelle librerie, per raggiungere con il linguaggio giovane e ammaliante del fumetto altre scuole, per far scoprire ad altri diciottenni cos’è stata la dittatura fascista, la guerra, la  Resistenza, la sanguinosa conquista della libertà e la democrazia da cui è nata la Costituzione più bella del mondo. Una Costituzione basata sull'antifascismo, su cui la destra al potere ha giurato ma che vorrebbe cancellare, riscrivendo la storia.

 I “ragazzi del fumetto” e Nunziatina sono stati i protagonisti della presentazione della loro opera agli studenti di oggi del Liceo Artistico e alla città. Coetanei per un giorno. 

È stato emozionante seguire il loro viaggio a ritroso nel tempo, scoprire la loro curiosità, stupirsi del loro impegno, della creatività e della bravura che ci hanno messo, per come hanno rappresentato con i loro disegni e le loro tavole una storia così lontana e allo stesso tempo ancora così vicina. 

Ed è stato commovente vedere “la ragazza ribelle” in prima fila con il libro in mano, osservarla mentre sfogliava, anche lei incuriosita, quelle pagine, per scoprire come l'avevano raccontata e disegnata. Con lei, nella copertina, giovane in bicicletta che pedala verso la salvezza e la libertà per quei monti della collina faentina, nello sfondo di un cielo blu e stellato. 

Con l'Auditorium del Liceo classico affollato di ragazzi e di diversamente giovani, con gli studenti di oggi dell'Artistico curiosi di sfogliare il fumetto, e gli autori impegnati a dispensare firme e dediche. Ne hanno fatte anche a me. E sono molto belle. Sì, proprio una bella mattina.  Con l'auspicio che questo lavoro, così singolare nella nostra Scuola e così straordinario in questo nostro Paese dalla memoria corta, possa essere diffuso, imitato e replicato.





 







mercoledì 18 dicembre 2024

L'incredibile storia di Annunziata Verità, "La ragazza ribelle" sopravvissuta alla fucilazione, è diventata un fumetto. A raccontarla e renderla più avventurosa sono i ragazzi del Liceo Artistico di Faenza

La storia di Annunziata Verità, "Nunziatina", la partigiana faentina sopravvissuta a 18 anni alla fucilazione fascista e figura simbolo del ruolo delle donne nella Resistenza, è una storia potente che non può non colpire chi la incontra. Per questo, credo, il mio romanzo “la ragazza ribelle” (Cartabianca) che a quella storia si ispira, dopo cinque anni dall’uscita continua a girare l’Italia (tre ristampe, presentazioni, incontri nelle scuole, un programma televisivo nazionale, uno spettacolo teatrale). Ma che potesse anche conquistare l’interesse e stimolare la creatività di un gruppo di ragazzi del liceo al punto da portarli a realizzare una graphic novel collettiva, non l’avrei mai potuto immaginare. Invece anche quella pazza idea è diventata realtà, l’ultima e più inaspettata delle sorprese di un fantastico viaggio.

I ragazzi sono quelli della V^ BA del Liceo Artistico Torricelli-Ballardini di Faenza, una delle scuole più antiche d’Italia. Si chiamano Eleonora, Ginevra, Fatou, Manuel, Ilaria, Giorgio, Emma. La loro insegnante, Monica Liverani, due anni fa aveva portato in classe “La ragazza ribelle” come libro di lettura autonoma, proponendo poi a chi l’aveva letto di raccontare quella storia a fumetti. Un discreto gruppo ha risposto con entusiasmo. Così la prof mi ha contattato chiedendomi la disponibilità a collaborare al progetto. Cosa che ho fatto con grande piacere accompagnando gli studenti a conoscere Nunziatina, nei luoghi dove tutto accadde e collaborando alla sceneggiatura. I ragazzi hanno ascoltato, osservato, approfondito, poi hanno cominciato a raccontare a modo loro l'epopea di Nunziatina, in modo dettagliato, curato nei particolari, con i disegni, i colori, i dialoghi, le tavole.

All’inizio la vedevo solo come una pregevole e insolita iniziativa – ragazzi di 18-19 anni che lavorano a scuola su una storia di Resistenza, ma quando mai? – tutt’al più come una originale esercitazione didattica. Ma più gli studenti entravano in quella storia e liberavano la loro creatività, più quel lavoro prendeva la forma e la forza di un vero e proprio progetto editoriale. Però l’anno scolastico volgeva al termine, li aspettava l’impegnativa prova della maturità e dopo per ciascuno di loro una nuova strada da intraprendere: chi al lavoro, chi lo stage o il corso di specializzazione, chi l’università. Pensavo finisse lì e sarebbe stata già tanta roba. Invece no. Dopo la maturità i ragazzi sempre stimolati dalla prof hanno continuato a incontrarsi nel tempo libero, a produrre nuove idee, aggiungere particolari, sceneggiare, realizzare tavole, fino a produrre un romanzo a fumetti di oltre centocinquanta pagine: una graphic novel in piena regola, a mio parere bellissima. A quel punto non poteva rimanere un lavoro scolastico, meritava di diventare un’opera artistica e di essere pubblicata.


Ne ho parlato con il presidente del Consiglio comunale di Faenza, Niccolò Bosi, la prof Liverani ha cominciato a invitarlo ai nostri incontri sugli stati di avanzamento del fumetto, lui ha visto l’impegno dei ragazzi, constatato la qualità del loro lavoro, se n’è innamorato, l’ha fatto proprio, l’ha proposto all'Assemblea Legislativa dell'Emilia-Romagna che con i fondi del progetto "ConCittadini" ha provveduto alla prima stampa della graphic novel. La preview ci sarà sabato 21 a Faenza, (Auditorium del Palazzo degli Studi, via Santa Maria dell'Angelo 1, ore 10) in un incontro con le classi del Liceo Artistico aperto alla cittadinanza. Alla presentazione parteciperà anche "Nunziatina", oggi 98enne in buona salute, che per la controcopertina del volume ha scritto: "Guarda che girano ancora per l'Italia. I fascisti ci sono ancora. E se dovessero tornare...spero di morire prima. Non voglio più avere niente a che fare con quella gente lì". Sono certo che sarà un incontro emozionante.


Nei prossimi mesi, poi, il fumetto dovrebbe trovare un editore vero, avere un suo prezzo di copertina e il codice Isbn per poter arrivare nelle biblioteche e nelle librerie, facendo continuare così l'avventuroso viaggio della ragazza ribelle in questa inedita forma artistica. Un'opera pregevole, di qualità, che speso possa raggiungere soprattutto i giovani lettori, con l'auspicio che possano divorarsi d’un fiato questo romanzo realizzato da loro coetanei come noi boomer divoravamo i Tex Willer, i Diabolik, i Dylan Dog. E che possa emozionarli come ha emozionato me seguire il lavoro di quei meravigliosi ragazzi, vederli appassionarsi alla storia vera di Annunziata Verità, curiosi di riscoprire fatti di ottant’anni fa, la nostra Resistenza, dov’è nata la Costituzione più bella del mondo. Una cosa assai rara nelle nostre scuole superiori, in questa Italia dalla memoria corta dove molti tendono a dimenticare la storia e la destra al potere prova anche a riscriverla.

giovedì 5 dicembre 2024

Ravenna liberata e quei suoi monumenti gioiello salvati dai partigiani di "Bulow"

La liberazione di Ravenna, di cui si è celebrato il 4 dicembre l’ottantesimo anniversario, è anche una delle più belle storie della Resistenza. Una storia che nella città romagnola è legata indissolubilmente alla figura di Arrigo Boldrini, il leggendario comandante “Bulow” inventore della lotta partigiana in pianura, nelle valli. A guida della 28esima Brigata Garibaldi, “Bulow” ottenne, per la prima volta, il riconoscimento militare degli Alleati come forza di liberazione, contribuendo poi in maniera determinante a cacciare i tedeschi e a salvare l’immenso patrimonio monumentale e artistico della città bizantina. Boldrini è morto nel 2008, a 92 anni. Qualche anno prima, quando era ancora in salute, lo andai a trovare e gli feci una lunga intervista su quei fatti che inserii nel mio primo libro, “Arriverà quel giorno…”, pubblicato nel 2000 da Pendragon. Ne riporto qui alcuni stralci.

“…Un esponente del Pci di Cattolica d’intesa con gli alleati era sbarcato a nord di Ravenna. Lo incontrammo al comando del distaccamento Terzo Lori, nelle valli. Ci informò sugli ultimi avvenimenti e ci disse che le brigate partigiane a Macerata e Pesaro erano state disarmate dagli alleati, dopo la liberazione delle città. Non potevamo permettere che ciò avvenisse anche in Romagna. Era una questione fondamentale per noi. Il riconoscimento del movimento della Resistenza come parte integrante dell’esercito di liberazione diventava in quei mesi importantissimo per il riscatto dell’Italia dal nazifascismo e per il futuro politico del Paese. Discutemmo perciò di quali iniziative prendere per ottenerlo. Io nascosi la notizia della smobilitazione ai miei partigiani. Solo i capi erano avvertiti…. Presentammo anche un piano per la liberazione di Ravenna da sottoporre agli alleati. Prevedeva la salvaguardia della città e in particolare dei suoi monumenti dai bombardamenti. I partigiani dovevano essere in prima linea, pronti a guidare l’insurrezione popolare a Ravenna e nella Bassa Romagna per aprire la strada a una rapida avanzata dell’VIII Armata verso Nord, fino al Po.

…In novembre ci fu il nostro primo contatto con i vertici degli Alleati. Cervia era stata liberata il 22 ottobre. In città erano entrati per primi partigiani e canadesi. Decidemmo di organizzare un viaggio via mare, aggirando le linee tedesche, per raggiungere il comando dell’VIII Armata. Partimmo la sera del 18 novembre con una barca a remi. Eravamo in nove, sette partigiani e due piloti inglesi fuggiti dai campi di concentramento e rifugiati in Romagna. Per vincere il freddo e la paura portammo con noi una damigiana di vino. I tedeschi non ci scoprirono, sbarcammo a Milano Marittima senza nessun incidente. Da lì gli alleati mi portarono a Viserba di Rimini dove incontrai il capitano americano Peter Thiele, ufficiali inglesi e canadesi. Li informai della situazione militare nel ravennate e dello stato delle formazioni partigiane, gli illustrai il piano per liberare la città. Parlammo a lungo di tutto. Discutemmo di come salvare le basiliche - a cominciare da quella di Classe - e il grande patrimonio artistico di Ravenna. Cominciammo a conoscerci e a rispettarci a vicenda. Ma gli alleati rimanevano comunque diffidenti verso noi partigiani, volevano vederci chiaro, decisero di mandare un ufficiale per rendersi conto sul campo della situazione e della consistenza delle nostre forze. Ritornammo alla base portando con noi il capitano canadese Dennis Healy. Egli rimase molto impressionato della nostra organizzazione e capacità militare. Partecipò anche a una nostra azione contro i tedeschi. Il suo rapporto al comando ebbe evidentemente un peso. Il 29 novembre ci comunicarono ufficialmente via radio che saremmo passati alle dipendenze operative del Primo Corpo d’Armata canadese. Il messaggio diceva: ‘I partigiani sono considerati truppe di occupazione da Mezzano alla spiaggia e fino alle Valli di Comacchio’. Lo rileggemmo più volte, quasi increduli. Il riconoscimento che avevamo tanto cercato era arrivato.

…Il messaggio radio per la liberazione della città arrivò nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1944. Diceva soltanto: ‘Ora zero’. Era il segnale stabilito per attaccare. All’alba del 4 scattarono le operazioni. Noi riuscimmo a mettere in campo tra gli ottocento e i mille partigiani nella zona attorno a Ravenna. La parola d’ordine era ‘Teodora’. Alla sera Ravenna era già libera. Liberata dai partigiani. Non ci fu bisogno di bombardamenti. Anche i monumenti, le basiliche bizantine con i loro splendidi mosaici, l’enorme patrimonio artistico della città, erano salvi. Salvati dai partigiani..”.


Per prima fu salvata Santa Apollinare in Classe. Sul campanile della basilica i tedeschi avevano piazzato una postazione d’artiglieria. Gli alleati inizialmente ne avevano previsto l’abbattimento per aprirsi la strada verso Ravenna. Ma il colonnello inglese di origine russa, Wladimir Popsky, a capo di un gruppo d’assalto, fu informato dai partigiani di “Bulow” dell’importanza di quell’antico monumento e convinto a chiedere il rinvio di 24 ore del bombardamento. Poi assieme agli uomini del distaccamento partigiano ‘Settimio Garavini’ guidati da Ateo Minghetti, nome di battaglia ‘Régan’, organizzò un’azione per liberare la basilica dai tedeschi senza distruggerla. L’operazione si svolse all’alba del 19 novembre ed ebbe pieno successo. La stessa cosa accadde due settimane dopo nell’ex capitale dell’Impero Romano d’Occidente, con i monumenti - da San Vitale a Galla Placidia, al Mausoleo di Teodorico - che oggi sono riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Soltanto tre chiese vennero colpite dai bombardamenti alleati: San Giovanni Evangelista e Sant’Apollinare Nuovo, che si trovano nei pressi della Stazione ferroviaria, e Santa Maria di Porto Fuori, in prossimità della zona portuale.

martedì 8 ottobre 2024

"L'ultima tragica cascina" riprende il suo viaggio. Giovedì 17 ottobre a Budrio, uno dei luoghi dove tutto accadde

Giovedì 17 ottobre "L'ultima tragica cascina" riprende il suo viaggio. Questa volta a Budrio, che con Castenaso e Medicina fu il tragico teatro di una delle più sanguinose battaglie partigiane e di uno dei più efferati massacri di civili compiuti dai nazifascisti nella bassa bolognese. Tre giorni dopo, il 20 e 21 ottobre prossino, ricorrerà l'80esimo anniversario dei fatti di Fiesso e Vigorso.

Dell’eccidio si conosceva il contesto, la sequenza degli eventi, il tragico ma ancora incerto bilancio – tra i venti e i trenta partigiani caduti in battaglia o fucilati nei giorni e nelle settimane seguenti, una intera famiglia di sette contadini innocenti sterminata, un'altra scampata per miracolo a una seconda strage – ma non le storie dei protagonisti: i partigiani che erano lì, le vittime civili, i sopravvissuti.
E nemmeno si era mai saputo bene perché i partigiani del Distaccamento “Elio Pasquali” della Quarta Brigata “Venturoli” fossero lì, in quell’ultima tragica cascina del podere Mazzacavallo delle sorelle Maccagnani, la notte che scattò il rastrellamento tedesco ampiamente annunciato. Di sicuro qualcosa andò storto. Forse per un errore nella catena di comando, forse per una spiata, o un tradimento. Sulla vicenda permaneva un velo di mistero e di reticenza che il romanzo prova a squarciare.
Come? Attraverso le ricerche dell'insegnante Enrico Barbieri, della sua amica Laura e dei suoi studenti della terza media sezione B di Castenaso. Ritrovando documenti inediti e una intervista audio all'unica sopravvissuta civile, Chiara Poluzzi. Scovando e dando voce a tre testimoni ancora viventi che hanno vissuto in prima persona quella notte e i terribili giorni successivi.
 
Di seguito un piccolo assaggio del romanzo.
"I tedeschi! Ci sono i tedeschi". Redenzio Giardini, Ramirez, è di guardia nel fienile quella notte. Se ne sta accovacciato vicino al finestrone parzialmente ostruito da una vecchia porta di legno con il mitra poggiato sulle gambe e pensa alla fine della guerra, a quel che ha patito, a cosa vorrebbe fare dopo la liberazione, agli occhi di una ragazza che l’hanno aiutato a superare i momenti più bui e che spera di ritrovare. Ha ventitré anni Ramirez e gli ultimi due e mezzo li ha passati col fucile in mano. Bersagliere dell’esercito regio, prima sul fronte jugoslavo poi alla tragica campagna di Russia da cui è miracolosamente tornato vivo e senza niente di congelato. Ha vissuto sulla propria pelle la paura, visto più volte la morte in faccia, perfino ucciso. Ne ha abbastanza di Mussolini, del nazifascismo, di quella follia. Per questo ha deciso che se proprio deve morire almeno sia per una buona causa. Per questo invece di rientrare dalla licenza ha disertato ed è andato con i partigiani della 66esima Brigata Jacchia.
 
...Un fremito di paura e adrenalina irrompe nel fienile. I partigiani ragazzini non ancora provati dal battesimo del fuoco hanno il cuore in gola. I più esperti si avvicinano al finestrone. Osservano la pattuglia aggirarsi intorno alla casa, vedono uno entrare nell’abitazione, lo sentono parlare con le sorelle Maccagnani. Chi si era messo a dormire nella stalla intanto è salito nel fienile. Subito decidono di stare fermi e di nascondersi sotto il fieno. Per circa un’ora di un tempo che sembra non passare mai non accade nulla. La pattuglia staziona nell’aia, i tedeschi parlottano tra loro, a un certo punto sembrano voler passare oltre, poi uno di loro richiama l’attenzione. Sotto una catasta di legno e fascine ha trovato delle armi. Ramirez vede la scena. Si chiede chi mai le avrà messe lì, perché. Cominciano ad agitarsi tutti. I tedeschi all’esterno e i partigiani nella cascina.
 
..."Due di loro presero una scala e la appoggiarono al muro. Mi ritrassi. Uno lo sentii salire lentamente fino in cima, indugiare, scostare piano la porta divelta che chiudeva l’accesso. Me lo trovai di fronte. Feci partire la raffica. Cadde giù con un gran tonfo. Poi il Moro saltò giù dal fienile, piazzò la mitragliatrice sul letamaio e cominciò a sparare all’impazzata. Scaricò almeno tre caricatori. Alla fine, aveva le mani ustionate dal calore. I tedeschi si ritirarono sull’argine, dietro gli alberi. Poco dopo iniziammo a sganciarci e a disperderci nella campagna a piccoli gruppi. Io e Ivano Garetti, Tom, fummo tra gli ultimi a lasciare la cascina".
 
La battaglia di Fiesso e Vigorso era cominciata.

domenica 1 settembre 2024

"Caro Enrico, perché ti voglio ancora bene": la mia lettera a Berlinguer

Per ragionare sulla figura politica e umana di Berlinguer, a quarant’anni dalla scomparsa, Casadeipensieri, ScriptaBo e Cantiere Bologna hanno chiesto a scrittori, personalità, cittadini di scrivere una lettera aperta allo storico segretario del Pci e dirgli perché lo hanno nel cuore. Le lettere verranno lette dagli autori domenica 8 settembre, alle 18, all’Arena Centrale della FestUnità provinciale di Bologna, al Parco Nord, nella serata dedicata a lui. Questa la mia lettera, pubblicata l'1 settembre sul Cantiere Bologna.



Caro Enrico, nella lunga notte della politica che stiamo attraversando mi è capitato spesso di ripensare a te. Da quando te ne sei andato sono accadute molte cose. È caduto il Muro di Berlino, l’Unione Sovietica è crollata, il Pci ha cambiato più volte nome e smarrito le sue radici proletarie, la sinistra che hai impersonato non esiste più, il capitalismo ha vinto ovunque, perfino in Cina dove resiste la dittatura comunista, mostrando la sua anima più brutale nel liberismo selvaggio e nella globalizzazione, la sfrenata ricerca del massimo profitto e il potere finanziario hanno peggiorato le condizioni dei lavoratori, dei giovani e delle donne rispetto ai tempi tuoi, le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo e tra ricchi e poveri sono tornate ad aumentare, lo sviluppo senza rispetto per l’ambiente ci ha portato a una crisi climatica che provoca continui disastri e mette a rischio l’esistenza stessa del Pianeta, la competizione globale ci sta portando a una nuova Guerra Fredda tra Occidente e Oriente, tra Mondo di Sopra e Mondo di Sotto, mentre la rinascita dei nazionalismi ha già riportato la guerra in Europa e sulla scena politica italiana e mondiale si sono affacciati inverosimili leader come Berlusconi, Salvini, Grillo, Renzi, Macron, Von der Leyen, Trump, Milei, Zelensky che, ne sono certo, ti farebbero rimpiangere perfino Fanfani, Craxi e Krusciov.

Ogni volta che ci penso mi sale la nostalgia e mi dico: quanto ti abbiamo voluto bene, quanto ci manchi, quanto mancano alla politica la tua sobrietà, il tuo rigore, la tua coerenza, i tuoi pensieri lunghi! Penso a questi personaggi della politica moderna che si fa sui social con poche idee ma confuse, come direbbe Flaiano, al loro vivere di slogan e superficialità, di apparenza pubblica e incoerenza privata, di esibizionismo, vanità e desiderio di primeggiare e mi viene in mente il tuo stile, lo “stile Berlinguer”: riservatezza sulla vita privata, coerenza tra azione politica e condotta personale, la tua timidezza gentile davanti alle telecamere, il legame indissolubile tra cultura e politica, tra democrazia e moralità pubblica in cui credevi; e quella volta che Minoli ti chiese qual era la cosa di cui andavi più orgoglioso e tu rispondesti: “Di non avere mai rinunciato agli ideali della mia giovinezza”.

Mi torna in mente quando dicevi che sì, la sinistra faceva bene a disfarsi di vecchi miti, a rinnovarsi e adeguarsi ai tempi, ma che non può vivere e vincere senza i valori ideali di cui è sempre stata portatrice: pace, giustizia, eguaglianza, lavoro, sapere, solidarietà. Quando affermavi che l’errore più grave della sinistra e della politica sarebbe quello di ap­piattirsi sui problemi dell’immediato, sulla routine del giorno per giorno. Perché se si toglie all’impegno politico una proiezione e una tensione verso l’avvenire, se lo si riduce al piccolo cabotaggio, ai diplomatismi e ai giochi di potere tra gli esponenti dei partiti, si contribuisce ad aggravare la crisi di sfiducia dei cittadini che già ai tempi tuoi andava assumendo dimensioni allarmanti. Chissà cosa penseresti oggi che tre cittadini su quattro dichiarano di avere nessuna o poca fiducia nei partiti e solo la metà va ancora a votare? Tu l’avevi già capito quarant’anni fa va dove stavamo andando. Nella famosa intervista a Eugenio Scalfari, nel 1981, aprivi la “questione morale” con queste parole: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela, stanno occupando lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo: occupano gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai, alcuni grandi giornali. E il risultato è drammatico”. Ecco, è quello che è accaduto. Con una ulteriore aggravante: che i partiti di oggi non sono più quelli di cui parlavi, non ci sono più partiti di massa organizzati e radicati ma solo macchine del consenso al servizio dei potentati economici, finanziari e geopolitici, con molta meno autonomia e capacità direttiva, ostaggi del sistema. L’esempio più clamoroso è sulla guerra. Non c’è partito e governo occidentale che oggi abbia l’autorevolezza e la forza di prendere una posizione autonoma rispetto all’atlantismo dominante.

Era il 1976 quando, nella famosa intervista a Giampaolo Pansa, dicevi che i comunisti italiani non mettevano in discussione l’appartenenza dell’Italia al Patto Atlantico ma difendevano “il diritto dell'Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. E aggiungevi: “Io mi sento più sicuro stando nella Nato, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia. Di là, all'Est, vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all'Ovest, non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo”. L’anno dopo a Mosca, nel 60esimo della Rivoluzione d’Ottobre, salisti alla tribuna per rilanciare la via italiana al socialismo con queste parole: “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un'originale società socialista. Ecco perché la nostra lotta unitaria, che cerca costantemente l’intesa con altre forze d'ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale, è rivolta a realizzare una società nuova, socialista, che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell'esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale”. E dopo la brutale repressione in Polonia del generale Jaruzelski al soldo di Mosca, affermasti che per i comunisti italiani “la capacità propulsiva aperta con la Rivoluzione di Ottobre nelle società dell’Est Europeo si è venuta esaurendo e oggi siamo giunti al punto in cui quella fase si chiude”.

Ci voleva molto coraggio a dire queste cose in quegli anni. Tu quel coraggio l’hai avuto. E hai anche rischiato di lasciarci la pelle, in Bulgaria, quando ti salvasti per miracolo dall’attentato ordito dal Kgb nei tuoi confronti. Oggi non si riesce neppure a immaginare un leader europeo che abbia il coraggio di andare a Washington a dire agli americani: “Non siamo d’accordo con la vostra politica estera, vi siamo grati per ciò che avete fatto ma i tempi sono cambiati, non prenderemo più ordini dalla Nato, vogliamo andare avanti da soli, decidere autonomamente del nostro futuro, consolidare la pace in Europa, evitare nuove guerre. Condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina ma siamo anche contro la vostra guerra per procura a Mosca tramite Kiev e non vi seguiremo oltre nel sostegno a Israele per distruggere Gaza, occupare la Cisgiordania e cancellare il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese”.

Purtroppo, le cose oggi in Europa vanno diversamente. La destra sovranista post-fascista e post-nazista sta rialzando la testa, sono tornati i nazionalismi, la pace è di nuovo a rischio. Chissà cosa diresti a vedere i nipotini del Duce e di Almirante al potere in Italia? Tu l’avevi capito che le dittature possono tornare, che eravamo e siamo ancora un paese a sovranità limitata. Per questo lanciasti la proposta del compromesso storico, l’intesa e la collaborazione delle forze popolari d'ispirazione comunista, socialista e cattolica per fermare la deriva in corso, governare assieme il paese e scongiurare il pericolo di nuove avventure reazionarie. D’altra parte, Togliatti, Nenni, De Gasperi avevano guidato insieme la Resistenza, Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini avevano combattuto fianco a fianco come capi partigiani, la nostra Repubblica antifascista è nata da quella esperienza unitaria. Quindi ci stava l’incontro e la collaborazione tra quelle forze per difendere e attuare pienamente la Costituzione. Ma sappiamo com’è andata. Moro l’hanno assassinato, i socialisti sono passati con i liberisti, il Pd che avrebbe dovuto riunire il meglio dei valori comunisti e cattolici è nato dal notaio con rigorosa separazione delle casacche e dei beni, il termine socialismo è scomparso dal vocabolario politico della sinistra e nessuno parla più di superamento del capitalismo. E noi ora siamo qua, con un po’ di nostalgia, disillusi e impigriti, a sperare che spunti un altro Enrico a ridarci fiducia e speranza, idee nuove e pensieri lunghi per convincerci a lottare di nuovo per cambiare in meglio la società e il mondo, per dirci che “ha da passà 'a nuttata”.