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mercoledì 29 maggio 2019

La destra conquista Predappio e per prima cosa il nuovo sindaco annuncia la riapertura della tomba del Duce. In un mio libro la storia di quando il Presidente del Consiglio Adone Zoli, democristiano predappiese, si fece convincere da Donna Rachele a riportare a casa la salma di Mussolini, col benestare del sindaco comunista

Per la prima volta dal dopoguerra Predappio è stata conquistata alle elezioni comunali dalla destra. Il neo sindaco, Roberto Canali, sostenuto da Salvini e Meloni, ha dichiarato che per prima cosa farà riaprire tutti i giorni la cripta del Duce, che era stata chiusa. Perché, ha spiegato, "Mussolini richiama ancora tanta gente, turismo e commercio a Predappio girano attorno alla sua figura". E a proposito delle tensioni e delle polemiche per le adunate che almeno tre volte l'anno - nelle ricorrenze del 29 luglio (nascita di Benito), 28 aprile (morte) e del 28 ottobre (marcia su Roma) - portato nella cittadina romagnola orde di nostalgici e neofascisti con camicie nere, fez e saluti romani, dice: "Per me queste cose sono superate. Serve solo buonsenso e lasciare annacquare le tensioni". Insomma, par di capire che con l'aria che tira nel Paese e con la nuova giunta comunale, d'ora in poi a Predappio sarà festa tutto l'anno. Per i neri, s'intende. 



Ma com'è nato il fenomeno del turismo nero a Predappio? E qual è la storia di questa città di fondazione? Io ho provato a raccontarlo nel libro "Gli intrighi di una Repubblica" (Pendragon, 2012) su quando San Marino era l'avamposto del comunismo in Occidente e i governi degli Stati Uniti e dell'Italia, con l'aiuto determinante della Cia e della Dc, organizzarono un colpo di stato per rovesciare i socialcomunisti al potere, insediando un governo fantoccio a Rovereta, al confine tra Italia e San Marino, subito presidiato dai blindati italiani e riconosciuto dagli Usa. E' il primo giorno di ottobre del 1957. Presidente del Consiglio è un predappiese doc, il democristiano Adone Zoli. Che qualche mese prima, d'accordo con Donna Rachele e col benestare del sindaco comunista, ha fatto portare a Predappio la salma del Duce. 
Di seguito ampi stralci del capitolo 8 del libro dedicato proprio a questa vicenda.






.... Nei giorni cruciali del ribaltone a San Marino, quando gli Usa, il segretario Dc Fanfani e il ministro dell’Interno Tambroni sollecitano il governo italiano a stringere la morsa attorno ai social comunisti e ad insediare l’autoproclamato governo provvisorio democristiano e socialdemocratico, il presidente del Consiglio, Adone Zoli, temporeggia, non si decide a sposare la linea dura, a chiudere la partita con i "rossi" mandando i carabinieri e i blindati a Rovereta. Perché quest’omone dalla faccia buffa e bonaria, dall'anima contadina e romagnola prima che democristiana, tentenna? Per capirlo bisogna spostarsi indietro di qualche mese, all'estate del 1957, e a qualche chilometro di distanza dal monte Titano, nella vicina Predappio. Di cui, però, prima bisogna raccontare un po’ la storia. Una storia recente, perché fino agli anni Venti Predappio non esisteva proprio.

La storia comincia il 29 luglio 1883: il giorno in cui nasce Lui. E’ figlio di una maestra elementare, Rosa Maltoni, e di un fabbro ferraio con la passione per la politica, Alessandro Mussolini: un socialista anarchico che ebbe un ruolo importante nella storia del socialismo romagnolo. Fu grazie al suo impegno, ad esempio, che Andrea Costa, nel 1882, venne eletto alla Camera dei deputati. Per la sua storica elezione risultarono infatti decisivi i circa mille voti che Mussolini padre era riuscito a convogliare sull'amico e compagno anarco-socialista. Ma Alessandro era anche un uomo assai focoso. Tanto che una volta, a inizio secolo, a una consultazione elettorale, quando scoprì che lo scrutinio stava facendo vincere i liberali e perdere i socialisti, rubò le urne del seggio e scappò via con tutte le schede; salvo poi essere ripreso e arrestato. Che Alessandro Mussolini sia un passionale lo si capisce anche dai tre nomi che sceglie per il figlio primogenito: Benito in memoria di Benito Jàrez, leader rivoluzionario ed ex presidente del Messico; Amilcare, come il patriota anarchico Amilcare Cipriani; Andrea, come il suo il suo amico e maestro Andrea Costa, figura storica del movimento anarchico in Romagna e, per l’appunto, primo deputato socialista italiano.

Benito, Amilcare, Andrea Mussolini nasce in una povera casa in località Dovia, frazione del Comune di Fiumana. La casa dove, trentatré anni prima, era nato anche Alessandro e dove si era appena rifugiato per qualche giorno Giuseppe Garibaldi durante la sua fuga verso Venezia dopo il fallimento della Repubblica Romana, nel 1849. Una casa con appena due stanze, di cui una adibita a cucina dove Benito e il fratello Arnaldo passano gran parte del loro tempo. Nello stanzone ai piedi della scala c'è, invece, la bottega da fabbro del padre Alessandro, che diventa anche luogo di incontro del movimento anarco-socialista, visto con molta preoccupazione dalla moglie Rosa Maltoni, che cerca più volte di frenare l’impeto e l’attività politica del marito. Predappio ancora non esiste. C’è Predappio Alta, con le sue origini antiche, il borgo e il castello medioevale, famosa per la bontà del suo Sangiovese e per le cantine quattrocentesche della Rocca. Queste ultime sono di proprietà della famiglia Zoli, che nel 1887, quattro anni dopo la nascita di Benito Mussolini, darà i natali ad Adone, un altro figlio di quella terra che farà parlare di sé. Pochi decenni dopo, Predappio Alta e Fiumana non esistono più, vengono cancellate dal fascismo, mentre Dovia diventa Predappio, città di fondazione, costruita dal niente a misura e immagine del Duce e del fascismo.

Benito da giovanissimo si forma sui libri e le riviste custodite in casa di Alessandro. La sua crescita culturale di autodidatta del marxismo e dell’ideologia anarco-socialista sui generis, la sua indole rivoluzionaria e anche la sua anima anticlericale prendono forma in quelle due povere stanze, sotto l’influenza del padre. Quando imbocca la strada che lo porterà a diventare il Duce del fascismo, la casa natale di Dovia diventa ancor più inadeguata. Così la famiglia Mussolini si trasferisce in un’altra abitazione della zona: Palazzo Varano, che diventerà dagli anni Venti il Palazzo del Podestà e dopo la Liberazione sarà la sede del Comune di Predappio. Nella sala del Consiglio c’è ancora il “trono” dove sedeva Lui. E dal balcone del suo ufficio, ancora si vede la scala a freccia che punta Rocca delle Caminate, la residenza estiva del Duce, dove dopo la caduta del fascismo si tenne anche il primo Consiglio dei ministri della Repubblica di Salò. Il Palazzo, lo scalone, la piazza, la chiesa: tutta Predappio viene edificata dal 1920 applicando l’iconografia del regime. I maggiori architetti dell’epoca, chiamati dalla propaganda del regime, la modellano come città prototipo dell’architettura razionalista. Addio all'antico borgo contadino e alla culla del Sangiovese, c’è solo Predappio che da allora in poi sarà “la città del Duce”, e basta. Nel 1923, a quarant'anni dalla nascita e a pochi mesi dalla presa del potere, la casa natale viene donata dagli abitanti di Predappio a Benito Mussolini. E il Duce la trasforma in una casa della propaganda fascista.

C’è però un problema: nella nuova Predappio, la città modello del fascismo, non vuole andare ad abitare quasi nessuno degli abitanti della valle. Quelli di Predappio Alta vogliono rimanere nelle povere case che si raccolgono attorno all'antica rocca. Quelli delle case sparse di Fiumana, di Dovia e dintorni vogliono restarsene dove sono nati e cresciuti i loro genitori e i loro nonni. Così, per evitare che il disegno degli architetti e del regime non diventi un clamoroso flop, Benito Mussolini chiama l’industriale Giovan Battista Caproni, l’Agnelli dell’aeronautica italiana, e gli ordina di costruire a Predappio, lassù, in mezzo alle colline, lontano dalle grandi vie di comunicazione, niente meno che una fabbrica di aeroplani. Per superare la “stranezza logistica” di quel nuovo insediamento, farà poi costruire a Forlì l’aeroporto.

Agli inizi degli anni Trenta gli aerei della Caproni sono la base per la costruzione delle nuove squadriglie nazionali di bombardamento. Così il Duce coglie, come si suol dire, due piccioni con una fava. La nuova fabbrica inizia la sua attività nel 1935. Gli aerei vengono costruiti nelle officine, quindi smontati e trasferiti all'aeroporto di Forlì per l’assemblaggio. L’occupazione arriva rapidamente fino a mille operai e popola progressivamente Predappio. Allo stesso tempo, la Caproni diventa il simbolo della potenza e dell'infallibilità del regime fascista con la costruzione degli aerei trimotori Savoia Marchetti S.M. 81 Pipistrello. Finita la guerra, la Caproni aeronautica di Predappio viene chiusa e quasi interamente smantellata. Ma nei due tunnel a 60 metri sotto terra, lunghi 130 metri, dove venivano prima costruiti e successivamente nascosti i caccia durante la guerra per metterli al riparo dai bombardamenti, c’è ora un progetto di alcune prestigiose università (il “Progetto Ciclope”) per far nascere un laboratorio internazionale unico al mondo per lo studio delle turbolenze degli aerei. Pare, infatti, che quelle gallerie siano il non plus ultra per quel tipo di esperimenti.

Nel 1957 il Duce, il fascismo e la Caproni sono finiti tutti da tempo a testa in giù. Adone Zoli, il politico contadino, l’antifascista cattolico che ha fatto carriera nella Dc, dopo essere stato per due volte ministro (Giustizia e Bilancio) nel giugno di quell'anno succede ad Antonio Segni e diventa Presidente del Consiglio dei ministri. La vedova di Mussolini, Rachele Guidi, tornata nel frattempo a vivere a Predappio, va dall'illustre concittadino, che conosce bene per via dei solidi legami che esistono tra le rispettive famiglie, e gli dice: “Adone, cosa facciamo del corpo di Benito? Mica possiamo lasciarlo in eterno nascosto nei sotterranei di un convento nel milanese. Diamogli un po' di pace, riportiamolo a casa”.

Quella dei resti di Mussolini è un’altra storia che merita di essere ricordata. Catturato a Dongo dai partigiani mentre cerca di fuggire in Germania travestito da tedesco, fucilato assieme a Claretta Petacci il 28 aprile 1945 a Tremezzina, oggi Mezzegra, in provincia di Como, portato il giorno dopo a Milano ed appeso a piazzale Loreto, Benito viene dapprima sepolto nel cimitero milanese di Musocco, in una tomba anonima. Ma un anno dopo il segreto viene scoperto dai nostalgici del Fascio. Nella notte tra il 22 ed il 23 aprile 1946 la tomba è individuata dal neofascista Domenico Leccisi e dai suoi complici, che trafugano il cadavere. Nella fuga precipitosa, la bara scivola alla presa dei tombaroli, cade a terra, si apre, e nell'urto dal cadavere di Mussolini, già martoriato, si staccano alcune falangi di una mano. Solo nell'agosto successivo, dopo diverse peripezie, si riesce a recuperare la salma del Duce. Il Presidente del Consiglio, De Gasperi, decide di nasconderla in un luogo più sicuro del cimitero e chiede per questo il supporto all'arcivescovo di Milano. La bara viene così parcheggiata a Cerro Maggiore, paese alle porte di Milano, nei sotterranei del convento dei frati cappuccini. E lì rimarrà per 11 anni, fino a quando non diventa Premier Adone Zoli.

Il presidente del Consiglio, dunque, si fa convincere da Donna Rachele a seppellire il Duce nella tomba di famiglia, nel cimitero di San Cassiano. Zoli chiama il sindaco di Predappio, Egidio Proli, e gli riferisce la proposta della vedova di Benito. Proli, che è un comunista sanguigno e tutto d'un pezzo, gli risponde più o meno così: “A me Mussolini non m’ha fatto paura da vivo, figuriamoci se mi fa paura da morto”. E’ fatta. Le spoglie del Duce tornano a casa. Il trasporto avviene in due tappe, su un’auto anonima scortata da un frate, Carlo da Milano, e da un alto funzionario di polizia, Vincenzo Agnesina, che raggiunge il cimitero di San Cassiano di Predappio attorno a mezzogiorno del 30 agosto 1957.

Appena la notizia si diffonde, i predappiesi si arrabbiano moltissimo: di Mussolini ne hanno avuto abbastanza. Vanno dal sindaco e gli chiedono conto del ritorno a casa del “puzzone”, come l'avevano chiamavano dopo la sua morte. Partigiani e antifascisti, i vertici dei partiti e delle associazioni della sinistra insorgono. Edidio Proli viene messo in croce da tutti. Ma lui scrive una lettera, pubblicata da l’Unità, e dice che non c’entra, che non ne sapeva niente, che ha fatto tutto il governo, che la colpa è di quel "democristianone" di Adone Zoli. Quest’ultimo però non ci sta a prendersi la responsabilità e le colpe dell’operazione. Così scrive al sindaco comunista in carta intestata della Presidenza del Consiglio e ricorda a Proli, mettendola nero su bianco, la frase pronunciata nel loro colloquio: “.. non abbiamo paura dei vivi, vuole che abbiamo paura dei morti?”. Apriti cielo. Si scatena una polemica ferocissima, fuori e dentro il partito, a Predappio, in Romagna, in Italia. E la guerra di propaganda tra comunisti e democristiani su di chi è stata la colpa del ritorno del Duce a Predappio, durerà anni.

Intanto i resti di Benito sono stati sistemati nella cripta sotterranea della famiglia Mussolini dove in seguito verranno poi sepolti anche la moglie, Rachele Guidi, i figli Bruno, Vittorio e Romano. Il ritorno a casa del Duce, però, cambia un'altra volta il corso della storia della città. Predappio, da poco riconquistata alla libertà e alla democrazia, diventa meta di un continuo e crescente pellegrinaggio di fascisti, nostalgici e curiosi, ma anche di tanti, troppi giovani che arrivano con look da ultras, indossando simboli nazi-fascisti, e che sono attirati dall'iconografia nazi-fascista, dal mito dell’uomo forte e dal fascino della violenza. Nel libro delle visite dilagano le svastiche e i “boia chi molla”. Le presenze sono centomila l’anno: trecento persone che ogni giorno vanno a Predappio per vedere la tomba del Duce, visitare la sua casa natale e i palazzi del Podestà - ancora oggi sede del Comune - e del Fascio; per acquistare busti e manganelli nei tre negozi tre di souvenir che fanno i soldi a palate con i gadget “made in China” del fascismo. Senza contare le adunate in camicia nera e saluti romani per le ricorrenze del 29 luglio (anniversario della nascita di Benito), 28 aprile (morte) e del 28 ottobre (marcia su Roma).

In quelle tre date simbolo i raduni fascisti vengono benedetti da padre Giulio Maria Tam, il prete vangelo e manganello, una stazza da gigante (“la tonaca è la mia camicia nera taglia XXL”, dice), seguace del vescovo francese ultra-tradizionalista Marcel Lefebvre, scomunicato dalla Chiesa. Curioso personaggio, don Tam. Valtellinese di origine, figlio di democristiani, un fratello leghista, un altro che è stato consigliere regionale dei Ds in Lombardia, nipote di Angelo Maria Tam, una terziaria domenicana che aveva dedicato la vita a Dio e al Duce, faceva l’ausiliaria nella Repubblica di Salò e venne fucilata alla fine della guerra dai partigiani, Giulio Maria Tam viene stregato dal fascismo quando ha appena 15 anni, alimenta da prete più la fede nel Duce che in Dio fino a diventare una icona dei neo-fascisti e neo-nazisti di mezzo mondo. A Predappio padre Tam va a fare la “pastorale fascista” celebrando messa per Mussolini, dove puntualmente esordisce così: “Camerati, nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo”. Segue saluto romano. Alle elezioni europee del 2004 si candida con la lista Alternativa sociale della “Ducia”, la nipote di Benito, Alessandra Mussolini. E alle comunali del 2009 a Bologna è il candidato sindaco in pectore per Forza Nuova, ai cui militanti tiene corsi di formazione. Il loro leader, Roberto Fiore, secondo il don in camicia nera allungata è “un bell'esempio di padre di famiglia: ha avuto 11 figli tutti dalla stessa donna”. Oltre che per i raduni di Predappio e le candidature con la destra neo-fascista, padre Tam negli ultimi anni sale agli onori della cronaca per la sua crociata contro “l’invasione islamica”, che conduce canticchiando al ritmo di “papaveri e papere” la seguente filastrocca: “E adesso per gli islamici / adesso arriva il bello / rosario e manganello! / rosario e manganello”.

Predappio diventa prigioniera di tutto questo carico di simboli e di ideologia nostalgica. E perde la storia e la memoria di tutto quel che non è Duce e Fascio. Non si ricorda più del papà di Benito, Alessandro, l’idealista anarchico, poi socialista focoso, che mandò Andrea Costa in Parlamento diventandone amico fraterno. Dimentica Adone Zoli, il secondo figlio di questa terra diventato presidente del Consiglio. Deve rimuovere, perfino, la ricorrenza della Liberazione della città, avvenuta il 28 ottobre 1944: lo stesso giorno della marcia su Roma. E anche quella ricorrenza non è per caso. I soldati inglesi e polacchi, assieme ai partigiani, erano alle porte del paese già da diversi giorni, ma vollero aspettare la data simbolo de 28 ottobre per entrare per costruire un altro simbolo: la città del Duce liberata nel giorno della marcia su Roma. Una decisione che si rivelerà un clamoroso boomerang. A partire dal 1957, tutti i 28 ottobre arrivano infatti a Predappio i pullman con centinaia di camicie nere. Portare in piazza quello stesso giorno gli antifascisti, fare arrivare i partigiani e i militanti di sinistra con il fazzoletto rosso al collo per ricordare la liberazione della città dal nazi-fascismo, diventerebbe molto pericoloso. Così a Predappio, dal 1957, la Liberazione si festeggia sei mesi dopo, il 25 aprile......










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