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mercoledì 12 ottobre 2022

La strana storia della ferrovia Rimini-San Marino, voluta dal Duce, danneggiata dalla guerra, cancellata dalla Dc e dalla Fiat in favore della superstrada

Una carrozza restaurata
Oggi su Repubblica un bel servizio sul progetto di far rivivere, almeno in parte, la ferrovia Rimini-San Marino, la meno longeva del mondo: voluta dal Duce, inaugurata nel 1932, distrutta dai bombardamenti alleati nel 1944, mai ricostruita, infine sostituita dalla superstrada. Ne scrissi ampiamente nel mio libro su San Marino, "Gli intrighi di una Repubblica" (Pendragon, 2012). Di seguito ampi stralci del capitolo con questa storia meravigliosa.

La ferrovia del Duce e la guerra
Pensate se ci fossero ancora oggi, quella ferrovia che si inerpicava dal mare fino ai 643 metri di altitudine della stazione a monte e quel trenino con le carrozze bianche e azzurre come la bandiera dell’antica Repubblica che la percorreva cinque volte al giorno, da Rimini a San Marino. Sarebbe una meraviglia, un’opportunità rara di valorizzazione turistica oltre che una valida alternativa trasportistica alla superstrada sempre intasata per i sammarinesi e per i vacanzieri della riviera romagnola. Invece, della ferrovia forse meno longeva del mondo, vissuta appena dodici anni, restano oggi soltanto poche tracce, qualche carrozza arrugginita e tanti rimpianti. Nel contesto di una storia che si intreccia di continuo, dagli anni Venti del secolo scorso fino ai giorni nostri, con quella – altrettanto tormentata - della radio e della televisione di Stato.

Il tracciato della ferrovia

La volle il Duce, la ferrovia Rimini-San Marino, e la finanziò l’Italia fascista in cambio del monopolio italiano sulla stazione radio che già nel 1926 qualcuno pensava di installare sul monte Titano. Benito Mussolini non gradiva una radio fuori dal controllo del Min.Cul.Pop a San Marino. Temeva che potesse finire in mani non amiche, straniere e comuniste, che avrebbero potuto irradiare nell’etere, quindi anche in Italia, messaggi e informazioni ostili al fascismo. Per evitare il rischio, bisognava assicurarsi i diritti sugli impianti e la gestione, e con essi l’esclusiva dell’informazione, o meglio, della propaganda di regime, com’era nel resto dello Stivale. La difficoltà ingegneristica di portare una strada ferrata fin lassù, alle rocche dell’antica Repubblica, inoltre, era una grande occasione per mostrare l’ardimento e la “grandeur” dell’Italia fascista.

Del resto, non si dice ancora oggi che Mussolini “faceva arrivare i treni in orario”? Poi il Duce è romagnolo. La sua Predappio è a un tiro di schioppo da San Marino. A Forlì, Benito farà costruire l’aeroporto per far decollare gli aerei costruiti dalla Caproni nella natia Predappio. E Lui è pure di casa e vacanza nella vicina Riccione. Quale occasione migliore per consolidare il suo legame con la Romagna e la sua immagine in Italia? Infine a San Marino il fascio in quegli anni è la famiglia Gozi, che ha fatto eleggere uno dei suoi, Giuliano Gozi, Segretario di Stato. Se si fa la ferrovia, la gestione degli appalti e dei lavori finirà per rafforzare sensibilmente il fascismo anche in quel piccolo Stato. Così il 17 agosto 1926, nel corso della visita a San Marino, proprio durante un periodo di vacanze a Riccione, Mussolini annuncia che la ferrovia si farà, e arriverà non fino ai piedi del monte Titano, a Serravalle, come si pensava allora, bensì fino in cima, lassù, alle torri più antiche della Repubblica.

Fino a pochi anni prima Rimini e San Marino erano collegate da una corriera trainata da cavalli che nel tratto in salita venivano sostituiti da muli o buoi, e che impiegava dalle tre alle quattro ore per percorrere i 25 chilometri che le separano. Poi, nel 1913, la diligenza era stata sostituita da un’autocorriera, e il tempo di percorrenza si era dimezzato. Ma la ferrovia era un’altra cosa: era il sogno nel cassetto dei sammarinesi. Ai quali rugava da morire che la locomotiva fosse arrivata già da 50 anni dai vicini di casa di Rimini.

La firma della convenzione per la costruzione e l’esercizio della ferrovia “a scartamento ridotto” Rimini-San Marino avviene il 26 marzo 1927 a Roma. Il governo italiano si impegna a realizzarla interamente a proprie spese in cambio della rinuncia di San Marino alla radio e della cessione dell’esclusiva radiofonica all’Italia, inizialmente per un periodo di 10 anni. Nella convenzione è altresì previsto che dopo 25 anni dalla sua attivazione, la ferrovia diventerà proprietà della Repubblica sammarinese, senza alcun rimborso. La gara d’appalto è assegnata alla Società Veneto-Emiliana di Ferrovie e Tramvie (Sveft), che ha progettato una ferrovia elettrica per la “somma a corpo di 37.689.073 lire”. La concessione alla Sveft è firmata il 23 novembre 1928 con la clausola che la linea deve essere completata entro soli 18 mesi. Il 3 dicembre, con la posa della prima pietra alla stazione di Rimini, cominciano i lavori. Termineranno nella primavera del 1932, con un paio d’anni di ritardo sulla tabella di marcia per le difficoltà geologiche, i problemi di innesto nella stazione di Rimini e con la linea Bologna-Ancona, le pastoie burocratiche dovute al carattere internazionale del progetto. All’opera lavoreranno tremila persone tra operai, tecnici e impiegati, con tre turni da otto ore per mille lavoratori alla volta.

L'inaugurazione
L’inaugurazione avviene il 12 giugno 1932, in pompa magna, alla presenza del conte Costanzo Ciano, ministro italiano delle Comunicazioni. Il giorno dopo la linea entra in servizio con cinque coppie di treni “accelerati” al giorno che impiegano 53 minuti per arrivare da Rimini a San Marino, alla velocità di 36,2 chilometri l’ora. Meno di un’ora per arrampicarsi dal mare fino ai piedi del castello. La ferrovia è panoramica, audace, moderna. I locomotori sono alimentati a corrente continua ad alta tensione. Le carrozze sono di un allegro biancoazzurro. I posti sono di terza classe, ma c’è anche una vettura di prima classe con salottino a 6 posti riservato ai capitani reggenti di San Marino e ai loro sodali del fascio.

Il trenino com'era
La linea misura 32 chilometri. Comincia all’estremità Est della stazione centrale di Rimini, procede parallelamente alla Bologna-Ancona per un chilometro, attraversa il torrente Ausa, raggiunge la nuova stazione di Rimini Marina, poi si stacca, punta a Sud-Ovest verso la Via Flaminia e da lì verso il monte Titano che si staglia in lontananza. Dopo il confine di Dogana diventa una ferrovia tipicamente di montagna, sale lungo i fianchi delle colline con curve di corto raggio e percorsi elicoidali, si infila in ben 17 gallerie, si inerpica lungo il versante che guarda al Montefeltro e a San Leo fino a raggiungere la stazione di San Marino, ai piedi del centro storico. La ferrovia riscuote un grande successo. I convogli sono sempre pieni. Le vetture bagagliaio e perfino il salottino dei vip lasceranno presto spazio a nuovi posti di terza classe, per poter trasportare più viaggiatori. Ma la vita della piccola linea internazionale Rimini-San Marino sarà molto breve. Dopo pochi anni arriva la guerra.

Sono gli ultimi mesi del 1943 quando cominciano a cadere le prime bombe dal cielo in quell’area. Rimini viene ripetutamente e pesantemente bombardata dagli Alleati. La stazione centrale è colpita e semidistrutta. Anche un tratto della ferrovia per San Marino subisce i primi danni. Il 26 giugno 1944 l’aviazione Alleata comandata dagli inglesi, forse in seguito a una informativa errata dell’intelligence che segnala carri armati e truppe tedesche nascoste nei tunnel, bombarda San Marino, Stato fino a quel momento solo sfiorato dalla guerra. In località Valdragone e Domagnano la ferrovia viene centrata e distrutta in più punti dalle bombe d’aereo. Ma le bombe alleate colpiscono anche il cuore dell’antica Repubblica della libertà, tra Borgo Maggiore e la capitale. Ed è lì che si conta il maggior numero di morti. La linea ferroviaria è parzialmente inagibile. Da lì a poco il servizio di trasporto verrà definitivamente interrotto. L’ultima corsa completa, il giorno prima del bombardamento, aveva trasportato sul Titano l’ennesimo carico di sfollati riminesi e romagnoli.

Le gallerie rifugio degli sfollati: la testimonianza di Sergio Zavoli.  
Le gallerie diventano da quel momento il rifugio dei sanmarinesi e degli sfollati che temono altre bombe. Nei tunnel illuminati dalle lampade ad acetilene cominciano a sorgere baracche e giacigli di fortuna. “Dopo la violazione del Titano – mi raccontò Sergio Zavoli – le gallerie si riempirono di sfollati. Il trenino biancoazzurro dovette spostare la partenza saltando un paio di tunnel che erano stati trasformati in una sorta di rifugio, con file ininterrotte di materassi e un camminamento, al centro, che consentiva l’andare e venire della gente. Tra i letti, ma erano dei giacigli, per difendere la privatezza avevano alzato lenzuoli, coperti, tappeti, e in quei simulacri di stanze si riprodusse via via un’aria di casa. In quel bisogno di condivisione, con i santi inchiodati alle pareti, alle tre dopo mezzanotte si celebrava un rito catacombale: nostro padre, con altri volontari, veniva giù dal granaio per distribuire il pane ancora caldo. Tutti si sollevavano dai materassi rimanendo seduti, in quell’ora buia, rischiarata solo dalle torce, sporgendosi appena per ricevere, pareva, l’eucarestia”.

A guerra finita una delegazione degli sfollati riminesi che si erano salvati trovando rifugio nelle gallerie e nelle case private, salì in corteo da Rimini a San Marino città dove, su iniziativa caldeggiata dallo stesso Zavoli, fu posta una lapide chiamata “del ringraziamento”. “Risalii sul Titano – ricordava Zavoli - per rendere omaggio a un atto umanitario che non ha riscontri nella storia della seconda guerra mondiale, per il quale bisognava attestare, solennemente, la gratitudine dei riminesi. Un atto che, oltre la ‘lapide del ringraziamento’, meriterebbe ancora oggi un grande riconoscimento internazionale alla generosa ospitalità data da San Marino a ben centomila sfollati. In quei lunghi mesi da sfollati per giorni e giorni eravamo andati sul crinale del Titano a guardare la nostra Rimini che ribolliva sotto tormente di esplosivo. Gli schianti provocavano un tremore che, salendo lungo la roccia, giungeva fino alle pietre su cui sedevamo. Ciascuno di noi fissava un punto e quando sembrava che le bombe sgroppassero proprio in quel tratto, sollevando quintali di polvere, chi temeva di vedere dissolta la propria casa voltava altrove la testa”.

Una delle gallerie rifugio degli sfollati
 La ricostruzione mai avvenuta, l'avversità politica Dc e il peso della lobby Fiat  
Finita la guerra, la ricostruzione della ferrovia diventa una delle rivendicazioni ricorrenti del governo delle sinistre dello Stato di San Marino nei confronti dello Stato italiano. Il ripristino della linea, nel primo dopoguerra era un lavoro semplice che avrebbe avuto costi limitati. Nel Lazio, ad esempio, tra Civita Castellana e Viterbo, una ferrovia gemella di quella romagnola, con la stessa tecnologia e lo stesso trenino biancazzurro, anch’essa inaugurata dal governo fascista nel ’32 e danneggiata dalla guerra, venne ripristinata in pochi mesi.

Dopo vari tira e molla, con l’accordo del 29 aprile 1953 tra il segretario di Stato agli Esteri, Gino Giacomini e il premier, Alcide De Gasperi, l’Italia si impegna a finanziare la ricostruzione della ferrovia fino a un massimo di 350 milioni di lire, a patto che l’onere di gestione sia tutto a carico del Titano. Viene anche predisposto il progetto, che è approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nel 1955 assieme al preventivo di 417 milioni di lire, di cui 67 a carico della piccola Repubblica. Sembra la volta buona, invece non se ne farà nulla. Un po’ per l’avversità della Dc e di parte del governo italiano ad attuare accordi che favorirebbero il governo popolare sammarinese, che si vuole invece buttare giù. Un po’ perché in Italia la politica dei trasporti comincia ad essere fortemente influenzata dalla Fiat e anche a San Marino già spira forte il vento dell’automobile. Il progetto della strada ferrata verrà abbandonato a favore di quella asfaltata. Il 21 novembre 1958 verrà firmato l’accordo per la costruzione dell’attuale superstrada a 4 corsie tra Rimini e San Marino, a spese del governo italiano, e la ferrovia sarà poi completamente smantellata.

Ma il tema non scompare dalla scena, anche perché continua il curioso parallelo tra la ferrovia e la radio-televisione di Stato. Dopo il 1987, l’anno in cui viene restituito a San Marino il diritto di possedere una Tv, si ricomincia a parlare della possibilità di ricostruire la vecchia ferrovia. Nell’estate del 2011 vengono estratti dalla galleria “Montale” di San Marino Città, dove sono rimasti sepolti per 67 anni, l’automotrice e alcuni vagoni arrugginiti del trenino biancoazzurro che lì erano stati nascosti nel 1944. L’intento, si dice, è quello di restaurare le vetture, di recuperare la memoria della vecchia ferrovia. Ma c’è chi continua a sperare che prima o poi la linea possa tornare in funzione. In gran parte il sedime e le gallerie ci sono ancora, non sarebbe impossibile trasportare sulle restaurate carrozze biancazzurre i turisti dalla Riviera al monte Titano.








 

 

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