Post più popolari

martedì 8 ottobre 2024

"L'ultima tragica cascina" riprende il suo viaggio. Giovedì 17 ottobre a Budrio, uno dei luoghi dove tutto accadde

Giovedì 17 ottobre "L'ultima tragica cascina" riprende il suo viaggio. Questa volta a Budrio, che con Castenaso e Medicina fu il tragico teatro di una delle più sanguinose battaglie partigiane e di uno dei più efferati massacri di civili compiuti dai nazifascisti nella bassa bolognese. Tre giorni dopo, il 20 e 21 ottobre prossino, ricorrerà l'80esimo anniversario dei fatti di Fiesso e Vigorso.

Dell’eccidio si conosceva il contesto, la sequenza degli eventi, il tragico ma ancora incerto bilancio – tra i venti e i trenta partigiani caduti in battaglia o fucilati nei giorni e nelle settimane seguenti, una intera famiglia di sette contadini innocenti sterminata, un'altra scampata per miracolo a una seconda strage – ma non le storie dei protagonisti: i partigiani che erano lì, le vittime civili, i sopravvissuti.
E nemmeno si era mai saputo bene perché i partigiani del Distaccamento “Elio Pasquali” della Quarta Brigata “Venturoli” fossero lì, in quell’ultima tragica cascina del podere Mazzacavallo delle sorelle Maccagnani, la notte che scattò il rastrellamento tedesco ampiamente annunciato. Di sicuro qualcosa andò storto. Forse per un errore nella catena di comando, forse per una spiata, o un tradimento. Sulla vicenda permaneva un velo di mistero e di reticenza che il romanzo prova a squarciare.
Come? Attraverso le ricerche dell'insegnante Enrico Barbieri, della sua amica Laura e dei suoi studenti della terza media sezione B di Castenaso. Ritrovando documenti inediti e una intervista audio all'unica sopravvissuta civile, Chiara Poluzzi. Scovando e dando voce a tre testimoni ancora viventi che hanno vissuto in prima persona quella notte e i terribili giorni successivi.
 
Di seguito un piccolo assaggio del romanzo.
"I tedeschi! Ci sono i tedeschi". Redenzio Giardini, Ramirez, è di guardia nel fienile quella notte. Se ne sta accovacciato vicino al finestrone parzialmente ostruito da una vecchia porta di legno con il mitra poggiato sulle gambe e pensa alla fine della guerra, a quel che ha patito, a cosa vorrebbe fare dopo la liberazione, agli occhi di una ragazza che l’hanno aiutato a superare i momenti più bui e che spera di ritrovare. Ha ventitré anni Ramirez e gli ultimi due e mezzo li ha passati col fucile in mano. Bersagliere dell’esercito regio, prima sul fronte jugoslavo poi alla tragica campagna di Russia da cui è miracolosamente tornato vivo e senza niente di congelato. Ha vissuto sulla propria pelle la paura, visto più volte la morte in faccia, perfino ucciso. Ne ha abbastanza di Mussolini, del nazifascismo, di quella follia. Per questo ha deciso che se proprio deve morire almeno sia per una buona causa. Per questo invece di rientrare dalla licenza ha disertato ed è andato con i partigiani della 66esima Brigata Jacchia.
 
...Un fremito di paura e adrenalina irrompe nel fienile. I partigiani ragazzini non ancora provati dal battesimo del fuoco hanno il cuore in gola. I più esperti si avvicinano al finestrone. Osservano la pattuglia aggirarsi intorno alla casa, vedono uno entrare nell’abitazione, lo sentono parlare con le sorelle Maccagnani. Chi si era messo a dormire nella stalla intanto è salito nel fienile. Subito decidono di stare fermi e di nascondersi sotto il fieno. Per circa un’ora di un tempo che sembra non passare mai non accade nulla. La pattuglia staziona nell’aia, i tedeschi parlottano tra loro, a un certo punto sembrano voler passare oltre, poi uno di loro richiama l’attenzione. Sotto una catasta di legno e fascine ha trovato delle armi. Ramirez vede la scena. Si chiede chi mai le avrà messe lì, perché. Cominciano ad agitarsi tutti. I tedeschi all’esterno e i partigiani nella cascina.
 
..."Due di loro presero una scala e la appoggiarono al muro. Mi ritrassi. Uno lo sentii salire lentamente fino in cima, indugiare, scostare piano la porta divelta che chiudeva l’accesso. Me lo trovai di fronte. Feci partire la raffica. Cadde giù con un gran tonfo. Poi il Moro saltò giù dal fienile, piazzò la mitragliatrice sul letamaio e cominciò a sparare all’impazzata. Scaricò almeno tre caricatori. Alla fine, aveva le mani ustionate dal calore. I tedeschi si ritirarono sull’argine, dietro gli alberi. Poco dopo iniziammo a sganciarci e a disperderci nella campagna a piccoli gruppi. Io e Ivano Garetti, Tom, fummo tra gli ultimi a lasciare la cascina".
 
La battaglia di Fiesso e Vigorso era cominciata.

domenica 1 settembre 2024

"Caro Enrico, perché ti voglio ancora bene": la mia lettera a Berlinguer

Per ragionare sulla figura politica e umana di Berlinguer, a quarant’anni dalla scomparsa, Casadeipensieri, ScriptaBo e Cantiere Bologna hanno chiesto a scrittori, personalità, cittadini di scrivere una lettera aperta allo storico segretario del Pci e dirgli perché lo hanno nel cuore. Le lettere verranno lette dagli autori domenica 8 settembre, alle 18, all’Arena Centrale della FestUnità provinciale di Bologna, al Parco Nord, nella serata dedicata a lui. Questa la mia lettera, pubblicata l'1 settembre sul Cantiere Bologna.



Caro Enrico, nella lunga notte della politica che stiamo attraversando mi è capitato spesso di ripensare a te. Da quando te ne sei andato sono accadute molte cose. È caduto il Muro di Berlino, l’Unione Sovietica è crollata, il Pci ha cambiato più volte nome e smarrito le sue radici proletarie, la sinistra che hai impersonato non esiste più, il capitalismo ha vinto ovunque, perfino in Cina dove resiste la dittatura comunista, mostrando la sua anima più brutale nel liberismo selvaggio e nella globalizzazione, la sfrenata ricerca del massimo profitto e il potere finanziario hanno peggiorato le condizioni dei lavoratori, dei giovani e delle donne rispetto ai tempi tuoi, le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo e tra ricchi e poveri sono tornate ad aumentare, lo sviluppo senza rispetto per l’ambiente ci ha portato a una crisi climatica che provoca continui disastri e mette a rischio l’esistenza stessa del Pianeta, la competizione globale ci sta portando a una nuova Guerra Fredda tra Occidente e Oriente, tra Mondo di Sopra e Mondo di Sotto, mentre la rinascita dei nazionalismi ha già riportato la guerra in Europa e sulla scena politica italiana e mondiale si sono affacciati inverosimili leader come Berlusconi, Salvini, Grillo, Renzi, Macron, Von der Leyen, Trump, Milei, Zelensky che, ne sono certo, ti farebbero rimpiangere perfino Fanfani, Craxi e Krusciov.

Ogni volta che ci penso mi sale la nostalgia e mi dico: quanto ti abbiamo voluto bene, quanto ci manchi, quanto mancano alla politica la tua sobrietà, il tuo rigore, la tua coerenza, i tuoi pensieri lunghi! Penso a questi personaggi della politica moderna che si fa sui social con poche idee ma confuse, come direbbe Flaiano, al loro vivere di slogan e superficialità, di apparenza pubblica e incoerenza privata, di esibizionismo, vanità e desiderio di primeggiare e mi viene in mente il tuo stile, lo “stile Berlinguer”: riservatezza sulla vita privata, coerenza tra azione politica e condotta personale, la tua timidezza gentile davanti alle telecamere, il legame indissolubile tra cultura e politica, tra democrazia e moralità pubblica in cui credevi; e quella volta che Minoli ti chiese qual era la cosa di cui andavi più orgoglioso e tu rispondesti: “Di non avere mai rinunciato agli ideali della mia giovinezza”.

Mi torna in mente quando dicevi che sì, la sinistra faceva bene a disfarsi di vecchi miti, a rinnovarsi e adeguarsi ai tempi, ma che non può vivere e vincere senza i valori ideali di cui è sempre stata portatrice: pace, giustizia, eguaglianza, lavoro, sapere, solidarietà. Quando affermavi che l’errore più grave della sinistra e della politica sarebbe quello di ap­piattirsi sui problemi dell’immediato, sulla routine del giorno per giorno. Perché se si toglie all’impegno politico una proiezione e una tensione verso l’avvenire, se lo si riduce al piccolo cabotaggio, ai diplomatismi e ai giochi di potere tra gli esponenti dei partiti, si contribuisce ad aggravare la crisi di sfiducia dei cittadini che già ai tempi tuoi andava assumendo dimensioni allarmanti. Chissà cosa penseresti oggi che tre cittadini su quattro dichiarano di avere nessuna o poca fiducia nei partiti e solo la metà va ancora a votare? Tu l’avevi già capito quarant’anni fa va dove stavamo andando. Nella famosa intervista a Eugenio Scalfari, nel 1981, aprivi la “questione morale” con queste parole: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela, stanno occupando lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo: occupano gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai, alcuni grandi giornali. E il risultato è drammatico”. Ecco, è quello che è accaduto. Con una ulteriore aggravante: che i partiti di oggi non sono più quelli di cui parlavi, non ci sono più partiti di massa organizzati e radicati ma solo macchine del consenso al servizio dei potentati economici, finanziari e geopolitici, con molta meno autonomia e capacità direttiva, ostaggi del sistema. L’esempio più clamoroso è sulla guerra. Non c’è partito e governo occidentale che oggi abbia l’autorevolezza e la forza di prendere una posizione autonoma rispetto all’atlantismo dominante.

Era il 1976 quando, nella famosa intervista a Giampaolo Pansa, dicevi che i comunisti italiani non mettevano in discussione l’appartenenza dell’Italia al Patto Atlantico ma difendevano “il diritto dell'Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. E aggiungevi: “Io mi sento più sicuro stando nella Nato, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia. Di là, all'Est, vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all'Ovest, non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo”. L’anno dopo a Mosca, nel 60esimo della Rivoluzione d’Ottobre, salisti alla tribuna per rilanciare la via italiana al socialismo con queste parole: “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un'originale società socialista. Ecco perché la nostra lotta unitaria, che cerca costantemente l’intesa con altre forze d'ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale, è rivolta a realizzare una società nuova, socialista, che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell'esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale”. E dopo la brutale repressione in Polonia del generale Jaruzelski al soldo di Mosca, affermasti che per i comunisti italiani “la capacità propulsiva aperta con la Rivoluzione di Ottobre nelle società dell’Est Europeo si è venuta esaurendo e oggi siamo giunti al punto in cui quella fase si chiude”.

Ci voleva molto coraggio a dire queste cose in quegli anni. Tu quel coraggio l’hai avuto. E hai anche rischiato di lasciarci la pelle, in Bulgaria, quando ti salvasti per miracolo dall’attentato ordito dal Kgb nei tuoi confronti. Oggi non si riesce neppure a immaginare un leader europeo che abbia il coraggio di andare a Washington a dire agli americani: “Non siamo d’accordo con la vostra politica estera, vi siamo grati per ciò che avete fatto ma i tempi sono cambiati, non prenderemo più ordini dalla Nato, vogliamo andare avanti da soli, decidere autonomamente del nostro futuro, consolidare la pace in Europa, evitare nuove guerre. Condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina ma siamo anche contro la vostra guerra per procura a Mosca tramite Kiev e non vi seguiremo oltre nel sostegno a Israele per distruggere Gaza, occupare la Cisgiordania e cancellare il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese”.

Purtroppo, le cose oggi in Europa vanno diversamente. La destra sovranista post-fascista e post-nazista sta rialzando la testa, sono tornati i nazionalismi, la pace è di nuovo a rischio. Chissà cosa diresti a vedere i nipotini del Duce e di Almirante al potere in Italia? Tu l’avevi capito che le dittature possono tornare, che eravamo e siamo ancora un paese a sovranità limitata. Per questo lanciasti la proposta del compromesso storico, l’intesa e la collaborazione delle forze popolari d'ispirazione comunista, socialista e cattolica per fermare la deriva in corso, governare assieme il paese e scongiurare il pericolo di nuove avventure reazionarie. D’altra parte, Togliatti, Nenni, De Gasperi avevano guidato insieme la Resistenza, Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini avevano combattuto fianco a fianco come capi partigiani, la nostra Repubblica antifascista è nata da quella esperienza unitaria. Quindi ci stava l’incontro e la collaborazione tra quelle forze per difendere e attuare pienamente la Costituzione. Ma sappiamo com’è andata. Moro l’hanno assassinato, i socialisti sono passati con i liberisti, il Pd che avrebbe dovuto riunire il meglio dei valori comunisti e cattolici è nato dal notaio con rigorosa separazione delle casacche e dei beni, il termine socialismo è scomparso dal vocabolario politico della sinistra e nessuno parla più di superamento del capitalismo. E noi ora siamo qua, con un po’ di nostalgia, disillusi e impigriti, a sperare che spunti un altro Enrico a ridarci fiducia e speranza, idee nuove e pensieri lunghi per convincerci a lottare di nuovo per cambiare in meglio la società e il mondo, per dirci che “ha da passà 'a nuttata”.

venerdì 2 agosto 2024

Bologna, il 2 agosto e le acrobazie di Meloni per non riconoscere la matrice

“Io so ma non ho le prove”, scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1974 a proposito delle stragi fasciste che insanguinavano l’Italia. Per quella di Bologna, la più grave con i suoi 85 morti e 200 feriti, ci sono voluti quarantaquattro anni ma qualcosa è cambiato. Ora “sappiamo la verità e abbiamo le prove”, c’è scritto nel manifesto commemorativo dell’Associazione famigliari delle vittime. “La strage fu organizzata e finanziata dalla loggia massonica P2, eseguita da terroristi fascisti, coperta dai vertici dei servizi segreti italiani”, dice il presidente dell’Associazione, Paolo Bolognesi. Fino a poco tempo fa c’erano verità storiche sui misteri italiani, un sentire comune diffuso, ma non c’erano verità giudiziarie conclamate. Una lunga serie di stragi senza colpevoli, da Portella della Ginestra a Piazza Fontana, da Piazza della Loggia all’Italicus, dall’assassinio di Aldo Moro all’abbattimento del Dc9 sui cieli di Ustica.

Per Bologna no. Per la strage alla stazione del 2 agosto 1980 sono stati condannati in via definitiva gli esecutori materiali (i fascisti dei Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini), i depistatori della P2 e dei Servizi segreti che si adoperarono per nascondere la matrice fascista dell’eccidio e costruire fantomatiche piste alternative (Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte) e, per ultimi, in primo e secondo grado (manca ancora la Cassazione), i terroristi neri Gilberto Cavallini (Nar) e Paolo Bellini (Avanguardia Nazionale) come co-esecutori materiali, più il capo della P2 Licio Gelli, il capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato, il massone Umberto Ortolani e l’ex senatore del Movimento sociale, Mario Tedeschi, come mandanti, organizzatori e finanziatori della strage.

Nonostante questa ormai solidissima verità giudiziaria che si è andata consolidando negli ultimi anni, la destra post-missina e neofascista ha sempre continuato a negare la matrice fascista e l’impronta golpista di quell’orribile massacro. E anche quando quella destra è andata al governo la musica non è cambiata. La parola fascista è rimasta sempre bandita. L’imperativo era starci a distanza come ai fili dell’alta tensione. Mancava solo il cartello “danger, chi tocca muore”. Tanto che stamane la domanda che girava tra le migliaia di persone che, come ogni anno, hanno partecipato al corteo e alla manifestazione nella piazza davanti alla stazione (Bologna da 44 anni aspetta il 2 agosto prima di andare in vacanza), era: chissà se oggi ce la faranno a pronunciare la parola proibita?

Ebbene, almeno uno di quelli che stanno al vertice quella parola oggi l’ha pronunciata e non gli è neanche venuto un coccolone: il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, parlando ai famigliari e alle istituzioni nel cortile di Palazzo D’Accursio. “Fu – ha detto - una strage neofascista, espressione di un disegno eversivo che mirava a colpire lo Stato nella sua componente più sensibile, vale a dire le persone comuni". La cosa non è sfuggita. “L’ha detto. Considerando questo governo è una notizia”, ha subito commentato il sindaco di Ravenna e candidato presidente della Regione, Michele De Pascale. Per poi aggiungere: “Però che brutto che sia una notizia”.

E l’hanno pronunciata perfino, udite udite, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Ma con un distinguo che può sembrare di lana caprina ma non lo è affatto. Scrivono Meloni e La Russa: “Il 2 agosto del 1980 il terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste, ha colpito con tutta la sua ferocia Bologna e la Nazione”. Dal momento che è risaputo che i fasci giudicano quelle sentenze di parte, Fioravanti e Mambro innocenti, la matrice nera una tesi tutta da dimostrare, è evidente che quel distinguo fa la differenza. E diventa un solco, una distanza enorme dalla verità giudiziaria finora raggiunta, dal sentire comune della città, dal cuore del messaggio inviato dal Capo della Stato. Scrive infatti Mattarella: “Ci uniamo ai familiari delle vittime e alla città di Bologna, teatro di una spietata strategia eversiva neofascista nutrita di complicità annidate in consorterie sovversive che hanno tentato di aggredire la libertà conquistata dagli italiani”. Eh, mica una “sottile” differenza.

Il solco poi si allarga e fa sclerare la Meloni quando si scende sul piano politico attuale. Ad accendere la miccia è Paolo Bolognesi in piazza, che dice: “Le radici di quell'attentato, come stanno confermando anche le ultime due sentenze d’appello nei processi Cavallini e Bellini, affondano nella storia del postfascismo italiano, nelle organizzazioni nate dal Movimento Sociale Italiano negli anni Cinquanta: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, che oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo". Non l’avesse mai detto. "Sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti alla sottoscritta e al Governo”, tuona la Presidente del Consiglio, “sostenere che le radici di quell'attentato sono nella destra di governo è molto grave e pericoloso, anche per l'incolumità personale di chi, democraticamente eletto dai cittadini, cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa nazione”. Ecco, ci mancano solo il vittimismo e i cattivi maestri contro l’incolumità della premier. Per fortuna che Bologna non si è mai fatta e non si fa intimidire. Perché è come dice il suo cardinale, Matteo Zuppi: “Se gli autori fascisti della strage volevano terrorizzare per dividere, con complicità inquietanti, la reazione della città è stata di solidarietà e del bene comune che non fa arrendere all'ingiustizia". Applausi.

venerdì 3 maggio 2024

Ferrovie, come si manda in malora un bene pubblico senza un perché. Storia triste di una piccola stazione ferroviaria che Rfi non vuole salvare

In questi giorni io e i miei fratelli abbiamo svuotato l’abitazione, donato gran parte degli arredi agli alluvionati, disattivato le utenze. In attesa della riconsegna dell’immobile alle Ferrovie, che lo lasceranno disabitato, inutilizzato, andare in malora. Fa tristezza a pensarci. Mia madre ci abitava da mezzo secolo, esattamente dal 1973. Era stata assunta come casellante e per quel lavoro aveva diritto all’alloggio. Nella garitta c’era il telefono per le comunicazioni di servizio e l’orario delle corse. Apriva e chiudeva le sbarre del passaggio a livello sulla ex statale che collega Faenza a Firenze quando passavano i treni, curava il decoro della sala d’aspetto della piccola e caratteristica stazione di Sant’Eufemia. Fino al 2012 c’era anche la fermata a Sant’Eufemia, inaugurata nel lontano 1934. Io la sfruttavo per andare prima alle medie a Brisighella poi alle superiori a Faenza. Aprivo la porta di casa e salivo sul treno. Una pacchia. Salivano anche altri studenti, qualche lavoratore, uomini e donne che andavano al mercato in città. Il biglietto, per chi non aveva l’abbonamento, si faceva a bordo, dal controllore. Prima sulle vecchie littorine marroncine e rosse, poi sulle automotrici leggere alimentate a diesel e infine sui più moderni Minuetto.

Quando c'era ancora mia madre
La “Faentina” è una ferrovia storica. Era stata inaugurata alla fine dell’Ottocento e fino alla costruzione della “Direttissima” Bologna-Firenze, negli anni Trenta del secolo scorso, è stata una importante via di comunicazione che accorciava le distanze tra Sud e Nord dopo l’unità d’Italia. Il tracciato, lungo 101 chilometri, è tortuoso e molto suggestivo, scavalca fiumi e torrenti, attraversa le montagne dell’appennino che dividono la Romagna dalla Toscana, arriva fin quasi a seicento metri di altitudine, si snoda tra curve e controcurve, salite e discese. L’opera ingegneristica è di tutto rilievo, con una trentina di gallerie (la più lunga, il tunnel degli Allocchi sul punto più alto del percorso, è di ben 3,7 chilometri), arditi viadotti, un ponte con dodici archi e un’altezza massima di trenta metri dalle parti di Borgo San Lorenzo. Durante la Seconda guerra mondiale è stata bombardata più volte dagli Alleati e minata in più punti dagli occupanti tedeschi in ritirata.

Gli interessi economici e politici legati allo sviluppo dei trasporti su gomma ne hanno frenato per decenni la ricostruzione e solo dopo il centenario, alla fine degli anni Novanta, la linea, che è di interesse militare oltre che commerciale, è stata completamente ripristinata anche nel tratto originario diretto San Piero a Sieve – Firenze rimasto chiuso dalla fine della guerra (si arrivava a Firenze facendo un gito molto più lungo via Borgo San Lorenzo-Dicomano-Pontassieve). Per poi essere nuovamente minacciata dall’incuria, dalla mancanza di ammodernamenti, e infine dalle alluvioni e dalle frane del maggio dello scorso anno che ne hanno causato la chiusura per sei mesi, fino al dicembre scorso. Ora ci passano a bassa velocità una ventina di treni al giorno.

In diversi fine settimana estivi e autunnali la “Faentina” ha anche un uso turistico. C’è il “Treno di Dante”, progetto della Regione Emilia-Romagna che a bordo del “Centoporte” - uno dei pochi treni a vapore dell’inizio del secolo scorso superstiti, simile alle vecchie diligenze e con gli interni tutti in legno - accompagna i viaggiatori da Firenze a Ravenna attraverso le terre percorse dal Poeta con fermate intermedie a Borgo San Lorenzo, Marradi, Brisighella e Faenza. E in ottobre c’è il “Treno dei marroni”, sempre a vapore, che porta i passeggeri da Bologna a Faenza e da lì a Marradi dove ogni anno si tiene per quattro domeniche consecutive la tradizionale sagra. Una ferrovia di grande fascino, che potrebbe e dovrebbe essere sfruttata meglio sia per il trasporto pubblico di persone e merci, sia come attrazione turistica in tempi in cui i viaggi nella lentezza e nella natura sono ricercati.

E invece cosa fanno le Ferrovie dello Stato, nel silenzio complice delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna competenti in materia? La tengono al minimo vitale, attaccata al respiratore della sopravvivenza per non farla morire ma senza un progetto di sviluppo con investimenti adeguati. E Rete ferroviaria italiana, che è la società proprietaria dell’infrastruttura, lascia letteralmente andare in malora il patrimonio pubblico di stazioni e caselli che la completa. Qualche anno fa arrivò a mia madre, che ancora aveva la residenza nella stazione di Sant’Eufemia, la comunicazione che il contratto alla scadenza del 31 dicembre 2020 non sarebbe più stato rinnovato. Un preavviso di sfratto, con tanto di sollecitazione a liberare l’immobile alla scadenza, che ha accomunato negli ultimi anni anche altri ex casellanti o ferrovieri in pensione. Tanto che se si percorre la ex statale “Brisighellese” che da Faenza sale verso Marradi si vedono già diversi edifici un tempo abitati in stato di abbandono, in rovina, coperti di vegetazione. Alcuni invece, in precedenza, erano stati venduti a chi li abitava e ristrutturati. Non si sa bene con quali criteri, perché ieri fosse possibile e oggi non più, visto che la situazione è più o meno sempre la stessa.

Prima stranezza. Alla richiesta di chiarimenti su quel preavviso di sfratto, Rfi rispose che mia madre poteva rimanere lì anche senza contratto, purché continuasse a pagare regolarmente l’indennità di occupazione. E così è stato. Quando mia madre è morta, nel dicembre del 2022, ho avviato una complicata interlocuzione con Rfi (un’impresa solo riuscire a parlare con un umano e trovare lo stesso referente della volta precedente) finalizzata a conservare l’uso abitativo di quella stazioncina. Prima di tutto per motivi affettivi. Io lì sono cresciuto e lì ho vissuto con mia madre e i miei fratelli fino ai 25 anni. E in tutti quegli anni ci siamo fatti carico a nostre spese dei lavori per mantenere in buono stato la stazione. Anche se non c’era più la fermata, il casellante e le sbarre si abbassavano e alzavano automaticamente al passaggio dei pochi treni. Ma non solo. Quella caratteristica stazione edificata tra una galleria e un lungo viadotto che scavalca il Rio Cò e il fiume Lamone incrociando la “Brisighellese” è un pezzo di storia della “Faentina”. Inoltre, è il luogo da dove nella primavera del 1944 salirono verso i monti sovrastanti i primi partigiani di quella che sarebbe diventata la 36esima Brigata Garibaldi” Alessandro Bianconcini”, protagonista della Resistenza e di una delle battaglie più cruente con i tedeschi che in ottobre si combatté tra Cà di Malanca e Purocielo, a poche centinaia di metri di distanza da lì, come ricordano i cippi, i sentieri partigiani e un museo visitati ogni anno da migliaia di persone. E fu anche un obiettivo dei bombardamenti alleati che colpirono più volte la ferrovia in quel tratto. Quando sentivano gli aerei, gli abitanti delle case vicino alla stazione si andavano a rifugiare nella galleria. Una volta non fecero in tempo e due donne rimasero gravemente ferite dalle bombe.

Storia a parte, si tratta comunque di un bene pubblico ancora in buono stato che anche solo il buon senso spingerebbe a salvaguardare. Per questo ho sollecitato in tutti i modi Rfi a trovare la modalità per farlo: un nuovo contratto di affitto, un comodato d’uso con finalità socioculturali, l’acquisto. Sempre a voce e mai per iscritto – chissà perché - mi è stato dapprima risposto che un subentro nell’affitto sarebbe stato possibile sono in caso di eredi minorenni della mia defunta madre (morta a 93 anni) e che non era possibile attivare un nuovo contratto o vendere l’immobile perché non c’era la distanza minima necessaria di 4,50 metri dal muro esterno della stazione al binario prevista dalle norme sulla sicurezza ferroviaria. Sono andato a misurare e ho verificato che la distanza è di 5 metri. Quando l’ho comunicato a Rfi, invitando a correggere l’errore, è scattato l’irrigidimento tipico della burocrazia più ottusa. Non è stato disposto alcun sopralluogo per verificare la distanza e l’errore. E, sempre a voce, mi è stato comunicato che comunque, anche se la distanza è regolare, manca l’accesso carrabile e quindi la stazione non si può comunque vendere o affittare. All’obiezione “sono interessato anche senza l’accesso carrabile”, è arrivata, il 1° marzo 2023 dalla direzione compartimentale di Rfi, una pec in cui c’è scritto che “per motivi legati alle esigenze del servizio ferroviario non è possibile alienare l’immobile in oggetto”. Quali siano quelle esigenze non è specificato. E alla domanda di chiarimenti, con invito a considerare comunque altre possibilità di utilizzo, la risposta è stata che non ci sarà nessun altro utilizzo. Quindi che la stazione sarà lasciata vuota, libera di andarsene in malora.

A quel punto mi sono rivolto agli assessori regionali ai trasporti della Toscana e dell’Emilia-Romagna chiedendo un loro intervento per salvare dall’abbandono quella stazioncina. Mi hanno risposto facendo il copia-incolla della pec di Rfi. Ho scritto anche al Presidente e all’amministratore delegato di Rfi, che il 28 settembre scorso mi hanno risposto con una Pec della direzione in cui c’è scritto che, pur apprezzandole, le mie diverse proposte di utilizzo della stazione non possono essere accolte per “assenza delle condizioni minime di sicurezza ferroviaria dettate sia dalla particolare ubicazione del fabbricato, chiuso tra due passaggi a livello”, quando invece è solo uno, “e posto nei pressi dell’imbocco di una galleria”, oltre che “dalla presenza in esso di apparecchiature tecnologiche”. Cosa voglia dire, quali siano le generiche ragioni di sicurezza, cosa sia cambiato oggi rispetto a prima non è dato sapere. Quel che è certo è che un bene pubblico che dovrebbe e potrebbe essere salvato, non lo sarà. E della storica e caratteristica stazione di Sant’Eufemia a breve resteranno probabilmente solo le rovine.

giovedì 18 gennaio 2024

"Chi mangia insieme rimane insieme": la solidarietà laica delle Cucine Popolari di Bologna contagia l'Emilia-Romagna e l'Italia

La Cucina del Sorriso di Cervia

“Quando si mangia insieme si rimane insieme”. È la frase chiave di Old Oak, l’ultimo film di Ken Loach. La pronuncia l’oste TG Ballantyne con i clienti del vecchio pub riottosi con i nuovi vicini, i profughi siriani. “Questa è solidarietà non carità”, dice. Viene in mente quel film pensando alle Cucine Popolari inventate da Roberto Morgantini, l’ex sindacalista della Cgil dal cuore grande nominato da Mattarella “Commendatore della Repubblica”. Una solidarietà laica a quanto pare contagiosa. Che si è consolidata a Bologna, dove le Cucine sono ora quattro, con 280 volontari che preparano e servono 600 pasti al giorno alle persone più fragili e dove l’obiettivo è arrivare a sei, una per quartiere. Si è allargata in Romagna con l’apertura della Cucina di Cesena (partita due anni fa poi travolta dalla disastrosa alluvione del maggio scorso e rinata da poco) e, dall’inizio del nuovo anno, di quella di Cervia. Sta prendendo forma progettuale a Santarcangelo di Romagna, a Modena e in altre città emiliane, ed ha già varcato i confini regionali sbarcando a Genova e a Ischia.

Morgantini con alcuni volontari a Cervia

Nella città dove sono nate con il logo del tortellino (Cucine Popolari Bologna Social Food) sono diventate punto di riferimento per una miriade di iniziative e ormai c’è la corsa a fare qualcosa con e per il vulcanico Morgantini, il “sindaco della solidarietà”. Per dare una mano alle Cucine - cresciute senza alcun finanziamento pubblico e che tutt’ora vivono solo di donazioni private e volontariato - si sono mobilitati in tanti: mondo economico, realtà associative, artisti famosi, l’intellighenzia cittadina. Un circolo virtuoso che va dalla vecchietta che si presenta con la sporta di viveri o stoviglie, al forno che dona le rimanenze di pane, pizze e brioches; dal piccolo negozio e dalla grande distribuzione che ogni giorno riforniscono cuochi e magazzino di derrate alimentari, alle donazioni in denaro o beni di valore (le ultime, un assegno della Banca d’Italia e un Fiorino per il trasporto delle vivande, dal Rotary); dalle decine di sfogline e sfoglini che vanno a fare i tortellini, al panino o allo spettacolo “sospeso” per chi non se lo potrebbe permettere, ai pranzi e alle cene di autofinanziamento. Una macchina complessa che consente di mettere a tavola o distribuire un pasto ai meno fortunati del quartiere di residenza vagliati dai servizi sociali, dal lunedì al venerdì (ma anche nelle festività più importanti), avviando contatti, relazioni, socialità. “Perché la nostra solidarietà non è un gesto di carità, è un percorso di vicinanza e inclusione contro la povertà e la solitudine, un modo di aiutare chi ha bisogno che arricchisce chi riceve ma anche chi dà”, ripete sempre il fondatore. Questo mentre la schiera dei nuovi poveri e dei soli cresce di giorno in giorno anche nella ricca Bologna, coinvolgendo sempre più spesso pure chi un lavoro e una casa ce l’ha.

L’ultima nata dall’esperienza bolognese, che è anche un bell’esempio di economia circolare e lotta allo spreco (non a caso tra i sostenitori di Morgantini c’è l’inventore di Last Minute Market, Andrea Segrè), è la “Cucina del Sorriso” di Cervia, inaugurata ufficialmente nei giorni scorsi dal sindaco della città Massimo Medri e dal presidente della Regione, Stefano Bonaccini, con Morgantini a fare da testimonial. Un progetto e una formula diversa che vede l’impegno finanziario diretto dell’ente pubblico, in collaborazione con la Cooperativa San Vitale e con altre realtà associative del Cervia Social Food, ma con le stesse finalità. Una cucina nuova di zecca, una bella sala piena di luce, le sedie di legno impagliate e colorate, tavoli apparecchiati con le tovaglie di cotone, i piatti in ceramica, le posate d’acciaio, i bicchieri di vetro come al ristorante. Un ristorante particolare, aperto dal lunedì al sabato, dalle 12 alle 14, che accoglie gratuitamente i più bisognosi e, con un contributo di otto euro, anche chi, per varie ragioni, non può mangiare a casa o non vuole sentirsi solo. I cuochi della “Cucina del Sorriso” sono i cuochi professionali dei ristoranti di Cervia, che a turno, ogni giorno, guidano gratuitamente i volontari nella preparazione del pranzo, servito ai tavoli dai ragazzi con disabilità del centro socio-occupazionale Ikebana.

La sartoria sociale a Cervia

Il progetto è completato da altre iniziative particolari. C’è l’emporio solidale, attivo già da alcuni anni a Cervia, dove le persone in maggiore difficoltà possono accedere gratuitamente a beni di prima necessità. C’è il Centro del riuso, convenzionato con Hera e Last Minut Market, che riporta a nuova vita mobili, elettrodomestici, attrezzature e oggetti dismessi ma ancora funzionanti. C’è la Sartoria sociale Risvolto, che nel negozio gestito sempre dai ragazzi di Ikebana (dov’è attivo anche un laboratorio di sartoria) rimette in vendita i migliori abiti di seconda mano arrivati con la filosofia dell’economia circolare. E c’è perfino la farmacia letteraria, “Libridine”, che dà una seconda vita ai libri usati donati dai cittadini e raccolti dai volontari, un po’ come fanno a Bologna quelli dell’associazione Equi-Libristi.

domenica 31 dicembre 2023

L’oroscopo politico semiserio per il 2024 dell’astrologo de “Il Presidente di Luna Nera” con le pillole di saggezza di Bersani



GENNAIO. Donne con le palle. Wonder Meloni proclamata “uomo dell’anno” da Libero, il giornale diretto dal già portavoce del “signor Presidente del Consiglio”, Mario Sechi, servo dell’anno.


Scoperta la causa della “sindrome otolitica” che ha colpito il premier. Gli otoliti, i “sassolini” nelle orecchie che le hanno fatto perdere l’equilibrio e l’orientamento erano in una missiva segreta ricevuta da Macron e Scholz: “Mò so cazzi tua”. Il giorno dopo è arrivata la telefonata di Mattarella: “Abbiamo tremila miliardi di debito, cinquantamila euro per ogni italiano alla nascita, il 150% del Pil, e lei dichiara guerra all’Europa? Salga a bordo, cazzo! E torni donna che è meglio”.
Pierluigi Bersani: “Ora la voglio vedere rimettere il dentifricio nel tubetto”.

FEBBRAIO. L’Italia e le guerre. Il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, quello che “arrivò una berlina, si aprì lo sportello, non scese nessuno, era Tajani”, assicura a Kiev l’ottavo pacchetto di aiuti italiani. Ma il pacchetto è… un pacco. Il disperato Zelensky - prima elevato a campione di libertà e democrazia, ora evitato come i mendicanti di strada – si infuria: “Chi è il responsabile?” “Nessuno”. “Che significa Nessuno?” “Che nessuno ti caga più”.

Intanto Israele sta finendo di spianare Gaza. La Striscia è rasa al suolo nel silenzio dell’opinione pubblica occidentale, ma non di Nessuno: “La posizione dell’Italia è chiara e ferma: il legittimo diritto di difesa sia proporzionato all’offesa e tuteli i civili palestinesi”. Poi, vedendo le facce stralunate dei giornalisti, chiede al suo staff: “Sono stato troppo duro?”
Bersani: “O si va a messa o si sta a casa”.

MARZO. Taci, il nemico ti ascolta. Wonder Meloni ci ricasca. Parla per tre quarti d’ora al telefono con due comici romagnoli che si spacciano per Macron e Scholz. Gli audio fanno il giro del mondo. Questi alcuni passaggi: “No Emmanuel, non ce l’avevo con te. Sì, lo so che sui migranti ci siamo scazzati, ma non ho mai detto che sei un mangialumache infantile e insicuro che si è sposato la mamma. È stato quel bimbominkia di Salvini. Sì, sì, va bene, chiudi pure le frontiere, però poi sostienimi sui lager in Albania”.

“Olaf, non ti incazzare. Sì, ho detto no al Mes perché tu e Macron mi avete esclusa dalla trattativa sul Patto di stabilità facendomi fare la figura di quella che non conta una sega in Europa. Ma voi siete forti, le vostre banche non rischiano, che ve frega del Mes? No, dai, non dire che non comprerete più i nostri titoli di Stato e ci farete fare la fine della Grecia: già ho Mattarella in schiena. Sì, d’accordo, non romperemo più sulle navi Ong, non faremo i furbi sul Pnnr e sul riarmo, non faremo più battute sugli ebrei e l’invasione della Polonia, stenderemo tappeti rossi a Lamborghini e Ducati. Però voi basta con gli aiuti a Zelensky e al Parmesan”.
Bersani: “Lei vorrebbe sempre il tortello a misura di bocca”.

APRILE. L’antifascismo dei fascisti. Come ogni anno quando si avvicina il 25 aprile una contagiosa paralisi mandibolare impedisce ai fascisti di pronunciare le parole “fascismo” e “antifascismo”. Proprio non ce la fanno. Wonder Giorgia, dopo aver esaurito tutti i sinonimi – regime, dittatura, totalitarismo, leggi razziali, olocausto, gulag, foibe, il centro sociale della Garbatella – nel giorno della Liberazione prende finalmente le distanze in modo chiaro dal fascismo: quello di Putin. Lollobrigida chiarisce: “In Italia l’unico fascismo che conosciamo è quello degli antifascisti”. La Russa, che tiene il busto del Duce in salotto e dice che i partigiani in via Rasella non spararono ai nazisti “ma a una banda musicale di pensionati altoatesini”, annuncia che celebrerà il 25 aprile in Turkmenistan. Salvini sorvolerà avanti e indietro per tutta la mattina lo Stretto di Messina per mostrare a parenti e amici dove sorgerà e come sarà il ponte, e al figlio maschio farà provare l’ebbrezza di pilotare l’elicottero della Polizia messo gentilmente a sua disposizione. Bignami e Donzelli, invece, festeggeranno con una goliardata in divisa nazi a casa del sottosegretario Delmastro.
Bersani: “Ehi ragazzi, siete mica qui ad asciugar gli scogli. L’antifascismo È la Costituzione”.

MAGGIO. L’omo è omo. Il Gay Pride invade le strade della Capitale. Tre milioni di persone (trentamila per la Questura) marciano, cantano e ballano per la libertà sessuale e per chiedere la legge contro l’omotransfobia. Polizia e carabinieri hanno l’ordine di filmare e schedare i diversi promotori del pride ma si perdono tra le sigle del movimento, nel frattempo leggermente cresciute: LGBTQIAP+@#-ZH=CHIMANCA? La seconda carica dello Stato, La Russa, che è anche interista, dichiara: “Meglio un figlio milanista che un figlio gay”. Il generale Vannacci schiera l’esercito e manda un messaggio conciliante: “Cari capi della lobby gay internazionale, voi finocchi e voi fattucchiere proprio normali non siete”.
Bersani: “Se lui dà dell'anormale agli omosessuali, noi possiamo dare del coglione a un generale?”.

GIUGNO. Europee alla sperindio. Colpo di scena alle elezioni. I partiti sovranisti, dati per superfavoriti, escono sconfitti. Male anche socialisti, socialdemocratici, centristi e conservatori. Avanzano i movimenti radicali, ambientalisti e pacifisti, il partito che non c’è del Papa, nuove formazioni politiche: Risveglio, Larghe Vedute, Partito della Salvezza Trasversale, della Riscossa, delle Incompatibilità. Male il centrosinistra alle amministrative in Italia. Vince solo in Veneto, Friuli e nel Trentino-Alto Adige, dove i candidati più di sinistra sono a favore della ghigliottina in piazza per ladri, spacciatori, tossici, zingari e neri. Il Pd, diviso tra sinistri-radicali, sinistri semplici, sinistri moderati, centrosinistri, centristi di sinistra e centristi moderati, torna a fare il morto sperando che passi ‘a nuttata.
Bersani: “Non è che puoi fare una scarpa e una ciabatta”.

LUGLIO. Democratura modello Benito. Prima di andare in vacanza, le destre forti della maggioranza assoluta in Parlamento approvano le riforme elettorale e costituzionale. Dal “Rosatellum” si torna al “Porcellum” ma “4.0”. Si saprà chi ha vinto prima di votare e chi è il premier eletto direttamente dal popolo prima che venga eletto. Il restante “2.0” andrà all’opposizione, ma solo se giurerà fedeltà ai nuovi padroni del “potere del popolo”. Una volta insediata, nei primi cento giorni la nuova “Democratura Benito” rottamerà, nell’ordine, il Senato, le varie Autorità indipendenti, la Commissione antimafia, il Tar, l’Anci, l’Upi, la Lega calcio che secondo Salvini non tutela il Milan, l’Anpi e l’Arci che stanno sulle palle a Donzelli e Lollobrigida e un unico Ordine professionale, quello dei giornalisti odiati da Giorgia. Nei secondi cento giorni verrà archiviato il Quirinale, ormai inutile orpello del Libero Stato di Melonas. Mattarella questa volta si porta via anche un paio di corazzieri di difesa nel caso dovessero tornare a cercarlo a casa.
Bersani: “La mucca nel corridoio era un toro e ci è passata sopra”.

AGOSTO. Migrante è un gerundio. Riprendono massicci gli sbarchi a Lampedusa. Da quando Meloni ha dichiarato la caccia agli scafisti su tutto il globo terracqueo sono aumentati del tremila per cento. Nuovo accorato appello di Lollobrigida contro il rischio della sostituzione etnica. Vannacci: “Inutile girarci attorno, nelle mie vene c’è una goccia del sangue di Enea, Romolo e Remolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi; il sangue e i tratti somatici di Paola Egonu e di quelli come lei ci dicono che non saranno mai italiani”. Poi manda l’esercito a presidiare le coste, ma i mezzi anfibi affondano più dei barconi, qualcuno colpito dalla Marina. Piantedosi: “Non bastavano quelle famiglie sciagurate dei vucumprà che mettono in pericolo i loro figli lasciandoli partire sui barconi. Ora vi ci mettete pure voi…”. Mentre si consuma la tragedia, Meloni e Salvini partecipano a un karaoke a casa Verdini, in solidarietà con l’intera famiglia agli arresti domiciliari, e pensano a come sbolognare “i carichi residui”.
Bersani: “Volevano piantare un chiodo sull’immigrazione, finiranno come il coniglio davanti al leone”.

SETTEMBRE. La scuola balilla. Le aule riaprono all’insegna delle novità educative. Crocefisso in tutte le aule, torna l’ora di religione obbligatoria, le ragazze non potranno indossare vestiti succinti e il velo, introdotto il criterio dell’umiliazione, che il ministro Valditara considera “fattore fondamentale della crescita e della costruzione della personalità”. Novità anche sull’educazione sessuale: dopo l’esonero di Paola Concia sarà affidata alle Suore Orsoline. Per il contrasto alle violenze di genere affidato un incarico al merito ad Andrea Giambruno per il suo prezioso consiglio di vita dato alle donne: “Se eviti di ubriacarti non trovi il lupo”. La storia verrà insegnata sulla base di un nuovo storytelling alternativo alla vecchia cultura di sinistra. I testi per costruire l’egemonia culturale della destra sono scelti dal ministro Sangiuliano, che però non li ha letti. Per la prima volta entra nella didattica la sovranità alimentare, saranno vietati i panini col kebab a merenda. Lollobrigida terrà il primo incontro in classe a Caivano. Per evitare nuove polemiche, la fermata “ad ministrum” del Frecciarossa sarà programmata: “Così sono certo di poter spiegare agli studenti la mia legge sulla carne coltivata”. Che ancora non esiste.
Bersani: “Quando si ha poca intelligenza bisognerebbe almeno usarla tutta”.

OTTOBRE. Il lavoro povero nobilita l’uomo. Dopo aver affossato la proposta delle opposizioni del salario minimo a nove euro, il Governo lancia la sua strategia per aumentare gli stipendi. Lollobrigida: “Non siamo in Unione Sovietica dove le paghe dovevano essere tutte uguali. Noi faremo correre la Nazione come il mio Frecciarossa per dare stipendi diversificati e più ricchi in base al merito. Prima gli italiani e dopo, siccome non siamo razzisti, anche alle badanti ucraine, alle infermiere di colore e alle massaggiatrici cinesi. Ai negri maschi per ora no. Ma loro li useremo soprattutto in agricoltura dove potranno cibarsi gratis sugli alberi”. Le agenzie però dicono che la crescita sarà zero virgola, che i salari italiani sono fermi da trent’anni, un terzo dei lavoratori guadagna meno di 15mila euro l’anno e l’Italia è il fanalino di coda in Europa. “E allora spieghino perché i ristoranti sono tutti pieni. Che poi i poveri mangiano a casa loro meglio dei ricchi”. 
Bersani: “Il maiale non è tutto di prosciutto. Neanche se l’ammazza Lollobrigida”.

NOVEMBRE. Far West Italia. Arrivano in porto anche la riforma della giustizia e le nuove misure per la sicurezza. Stop allo strapotere delle toghe rosse. Le carriere dei magistrati saranno divise: andranno avanti solo quelle di destra. Per quelli di sinistra verrà istituita una apposita “giustizia della mutua”. I giornali non potranno più pubblicare intercettazioni, mandati di arresto, i nomi degli indagati e i verbali di interrogatorio fino al terzo grado di giudizio. Per i “figli di”, varranno come prova a discapito le testimonianze dei padri. Tipo quelle di Grillo e La Russa: “Dopo averlo a lungo interrogato ho la certezza che mio figlio Apache non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante”. Per gli altri due figli, Geronimo e Cochis, nel caso di guai si sentirà direttamente Manitù. I poliziotti saranno liberi di girare armati fuori servizio, anche i sedicenni potranno avere un fucile e andare a caccia, ma si potrà sparare liberamente agli intrusi solo a una certa età.
Bersani: “Quando gli scappa la frizione, gratta gratta viene fuori la destra fascista di sempre”.

DICEMBRE. Dio, Patria e Famiglia. Il piatto piange. Dio è morto, la Patria pure e anche le famiglie non si sentono molto bene. Le guerre continuano, l’Italia è più povera, conta meno nel mondo, è più isolata in Europa. Debiti tanti, soldi non ce n’è più. Però Wonder Meloni si è confermata “uomo dell’anno”. Nel senso che è stata in prima fila contro le donne. Tagli a “opzione donna”, niente parità salariale, niente congedo paritario per i genitori, niente nidi gratis, aumento dell’Iva su pannolini e assorbenti. Ma con una missione: fare figli. Sul resto non è andata meglio. Nelle tasche dei lavoratori pochi spiccioli in più e le solite paghe da fame, con l’inflazione che galoppa e senza più il reddito di cittadinanza per chi è ai margini. Poi tagli alla sanità pubblica, al welfare, niente fondi aggiuntivi per le disabilità e l’autosufficienza. In compenso ricchi e diseguaglianze in aumento. Così come l’evasione fiscale, favorita dalle politiche “contro il pizzo di Stato” e salita a 110 miliardi di euro. Non c’è da stare allegri. Ma presto verrà Natale e tutto il mondo cambierà. Noi, nel frattempo, speriamo che ce la caviamo.
Bersani: “Se bevi l'acqua non dimenticarti di chi ha scavato il pozzo”.

giovedì 14 dicembre 2023

La ragazza ribelle a teatro: a Faenza e Bologna due serate da incorniciare

 

Smaltita l’adrenalina vi racconto un po' meglio com’è andata. È stata un’emozione collettiva unica. Una serata fantastica, di quelle da mettere nella cassaforte dei ricordi belli della vita. La sala del Teatro Fellini di Faenza era piena la sera di martedì 12 dicembre. Quando da una porta laterale è entrata Nunziatina sulla sua carrozzella spinta dai volontari della Pubblica assistenza, è scoppiato l’applauso fragoroso e spontaneo di tutti. Una vera e propria ovazione. Lei, novantasette anni, un passato da rubacuori, fresca di parrucchiera, il rossetto sulle labbra, le mani curate, subito è sembrata stranita, l’espressione dura, quasi intimorita da quell’abbraccio. Poi piano piano ha cominciato a sciogliersi. “Ciao Nunzia, come stai? Visto che accoglienza?”. “Mi viene da piangere”, ha sussurrato regalandomi un sorriso.

Poi le luci si sono spente ed è cominciato lo spettacolo. La compagnia del laboratorio teatrale di Eleonora Napolitano – in quel contesto coinvolgente e da grandi occasioni – ha sfoggiato il meglio di sé. Una interpretazione sentita, ispirata. Nove donne, nove “Nunziatina” a dar corpo a una narrazione corale che ha dato ancor più spessore e pathos alla storia di per sé incredibile e potente di Annunziata Verità, sopravvissuta alla fucilazione fascista a diciotto anni, combattente indomita tutta la vita, partigiana e pasionaria sempre. Una storia che a quasi cinque anni dalla pubblicazione de “La ragazza ribelle” continua a camminare e a regalarmi grandi soddisfazioni (qui racconto il suo incredibile viaggio https://visanik.blogspot.com/2023/12/il-viaggio-sorprendente-de-la-ragazza.html

Per un’ora e mezza il pubblico è rimasto in apnea. Quando il sipario è calato sulle note di Bellaciao e si sono riaccese le luci, molti avevano gli occhi umidi. Un altro lungo applauso poi la voglia di tutti di accostarsi a Nunziatina per dirle una parola, porgerle una carezza, ringraziarla per quello che ha fatto, per quello che la sua storia ancora oggi – anzi, oggi più che mai - trasmette. Perché, per dirla con le sue parole, “ci sono ancora eh, stanno tornando, e io non lo voglio più vedere il fascismo”.




Una bellissima serata frutto dell’impegno di tutti, a cominciare da quello del Comune di Faenza, in particolare del presidente del Consiglio comunale Niccolò Bosi che ha creduto al progetto e sostenuto direttamente l’iniziativa, patrocinata anche dall’Anpi, l’Associazione dei partigiani. Ma grazie soprattutto all’impegno di quel bellissimo gruppo di attrici e attori non professionisti di Pomezia che hanno messo in scena un’idea originale dello spettacolo (le nove Nunziatina, la narrazione corale della storia) e una interpretazione appassionata e di qualità, di grande impatto, entrambe vincenti.

Uno spettacolo a costo bassissimo (non c’è stato cachet, solo accoglienza) che spero possa avere altre repliche e viaggiare ancora molto in Italia. Fossi un sindaco, un assessore, un dirigente dell’Anpi, un coordinatore delle iniziative sulla memoria o un promotore culturale dell’Emilia-Romagna, cercherei di portarmelo a casa in vista del prossimo 25 aprile e dell’Ottantesimo della Liberazione.

Sono molto grato anche ai nipoti di Nunziatina, Federica e Alessandro, e a Caterina, che come sempre si sono presi cura di lei e l’hanno preparata al meglio per portarla ad assistere alla rappresentazione ad alto tasso emotivo della sua storia. C’era qualche timore sull’effetto e le reazioni che avrebbe potuto determinare. Invece… “Lei oggi sta bene – mi ha scritto Federica l’indomani mattina – ha dormito, è contenta, lo spettacolo le è piaciuto, ha riconosciuto le persone, aperto il regalo che le è stato fatto dagli attori della compagnia, le è piaciuto anche quello. Grazie, siamo pronti per il prossimo appuntamento”. Così come sono grato al pubblico, non solo di faentini, che ha risposto alla grande. Grazie della vostra partecipazione, dei vostri commenti, del calore e dell’affetto che avete trasmesso a Nunziatina e anche a me.


La sera prima, lunedì 11, lo spettacolo aveva debuttato a Bologna, al Centro civico Lame Borgatti del Quartiere Navile. Un’anteprima resa possibile dall’impegno delle Cucine Popolari di Roberto Morgantini & co. (che hanno ospitato la compagnia teatrale al Battiferro in un pranzo che è stato anche una piacevolissima occasione di conoscenza e scambio di esperienze) dalla collaborazione dell'Anpi e dal patrocinio del Quartiere. Una sorta di prova generale che è andata bene ed è  stata anch’essa molto apprezzata dal pubblico. La serata si è conclusa con un bel brindisi collettivo tra attori della compagnia, amici e compagni. 

Per finire, un grazie davvero di cuore a tutti quelli che anche a Bologna hanno dato una mano o ci sono stati (in particolare a Roberto Morgantini, ai cuochi e volontari delle Cucine, a Daniele Ara, a Donatella Allegro e agli amici della balotta). È stata un po' una scommessa, sono state giornate intense, ma ne è valsa la pena.