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martedì 8 ottobre 2024

"L'ultima tragica cascina" riprende il suo viaggio. Giovedì 17 ottobre a Budrio, uno dei luoghi dove tutto accadde

Giovedì 17 ottobre "L'ultima tragica cascina" riprende il suo viaggio. Questa volta a Budrio, che con Castenaso e Medicina fu il tragico teatro di una delle più sanguinose battaglie partigiane e di uno dei più efferati massacri di civili compiuti dai nazifascisti nella bassa bolognese. Tre giorni dopo, il 20 e 21 ottobre prossino, ricorrerà l'80esimo anniversario dei fatti di Fiesso e Vigorso.

Dell’eccidio si conosceva il contesto, la sequenza degli eventi, il tragico ma ancora incerto bilancio – tra i venti e i trenta partigiani caduti in battaglia o fucilati nei giorni e nelle settimane seguenti, una intera famiglia di sette contadini innocenti sterminata, un'altra scampata per miracolo a una seconda strage – ma non le storie dei protagonisti: i partigiani che erano lì, le vittime civili, i sopravvissuti.
E nemmeno si era mai saputo bene perché i partigiani del Distaccamento “Elio Pasquali” della Quarta Brigata “Venturoli” fossero lì, in quell’ultima tragica cascina del podere Mazzacavallo delle sorelle Maccagnani, la notte che scattò il rastrellamento tedesco ampiamente annunciato. Di sicuro qualcosa andò storto. Forse per un errore nella catena di comando, forse per una spiata, o un tradimento. Sulla vicenda permaneva un velo di mistero e di reticenza che il romanzo prova a squarciare.
Come? Attraverso le ricerche dell'insegnante Enrico Barbieri, della sua amica Laura e dei suoi studenti della terza media sezione B di Castenaso. Ritrovando documenti inediti e una intervista audio all'unica sopravvissuta civile, Chiara Poluzzi. Scovando e dando voce a tre testimoni ancora viventi che hanno vissuto in prima persona quella notte e i terribili giorni successivi.
 
Di seguito un piccolo assaggio del romanzo.
"I tedeschi! Ci sono i tedeschi". Redenzio Giardini, Ramirez, è di guardia nel fienile quella notte. Se ne sta accovacciato vicino al finestrone parzialmente ostruito da una vecchia porta di legno con il mitra poggiato sulle gambe e pensa alla fine della guerra, a quel che ha patito, a cosa vorrebbe fare dopo la liberazione, agli occhi di una ragazza che l’hanno aiutato a superare i momenti più bui e che spera di ritrovare. Ha ventitré anni Ramirez e gli ultimi due e mezzo li ha passati col fucile in mano. Bersagliere dell’esercito regio, prima sul fronte jugoslavo poi alla tragica campagna di Russia da cui è miracolosamente tornato vivo e senza niente di congelato. Ha vissuto sulla propria pelle la paura, visto più volte la morte in faccia, perfino ucciso. Ne ha abbastanza di Mussolini, del nazifascismo, di quella follia. Per questo ha deciso che se proprio deve morire almeno sia per una buona causa. Per questo invece di rientrare dalla licenza ha disertato ed è andato con i partigiani della 66esima Brigata Jacchia.
 
...Un fremito di paura e adrenalina irrompe nel fienile. I partigiani ragazzini non ancora provati dal battesimo del fuoco hanno il cuore in gola. I più esperti si avvicinano al finestrone. Osservano la pattuglia aggirarsi intorno alla casa, vedono uno entrare nell’abitazione, lo sentono parlare con le sorelle Maccagnani. Chi si era messo a dormire nella stalla intanto è salito nel fienile. Subito decidono di stare fermi e di nascondersi sotto il fieno. Per circa un’ora di un tempo che sembra non passare mai non accade nulla. La pattuglia staziona nell’aia, i tedeschi parlottano tra loro, a un certo punto sembrano voler passare oltre, poi uno di loro richiama l’attenzione. Sotto una catasta di legno e fascine ha trovato delle armi. Ramirez vede la scena. Si chiede chi mai le avrà messe lì, perché. Cominciano ad agitarsi tutti. I tedeschi all’esterno e i partigiani nella cascina.
 
..."Due di loro presero una scala e la appoggiarono al muro. Mi ritrassi. Uno lo sentii salire lentamente fino in cima, indugiare, scostare piano la porta divelta che chiudeva l’accesso. Me lo trovai di fronte. Feci partire la raffica. Cadde giù con un gran tonfo. Poi il Moro saltò giù dal fienile, piazzò la mitragliatrice sul letamaio e cominciò a sparare all’impazzata. Scaricò almeno tre caricatori. Alla fine, aveva le mani ustionate dal calore. I tedeschi si ritirarono sull’argine, dietro gli alberi. Poco dopo iniziammo a sganciarci e a disperderci nella campagna a piccoli gruppi. Io e Ivano Garetti, Tom, fummo tra gli ultimi a lasciare la cascina".
 
La battaglia di Fiesso e Vigorso era cominciata.

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