In questi giorni io e i miei fratelli abbiamo svuotato l’abitazione, donato gran parte degli arredi agli alluvionati, disattivato le utenze. In attesa della riconsegna dell’immobile alle Ferrovie, che lo lasceranno disabitato, inutilizzato, andare in malora. Fa tristezza a pensarci. Mia madre ci abitava da mezzo secolo, esattamente dal 1973. Era stata assunta come casellante e per quel lavoro aveva diritto all’alloggio. Nella garitta c’era il telefono per le comunicazioni di servizio e l’orario delle corse. Apriva e chiudeva le sbarre del passaggio a livello sulla ex statale che collega Faenza a Firenze quando passavano i treni, curava il decoro della sala d’aspetto della piccola e caratteristica stazione di Sant’Eufemia. Fino al 2012 c’era anche la fermata a Sant’Eufemia, inaugurata nel lontano 1934. Io la sfruttavo per andare prima alle medie a Brisighella poi alle superiori a Faenza. Aprivo la porta di casa e salivo sul treno. Una pacchia. Salivano anche altri studenti, qualche lavoratore, uomini e donne che andavano al mercato in città. Il biglietto, per chi non aveva l’abbonamento, si faceva a bordo, dal controllore. Prima sulle vecchie littorine marroncine e rosse, poi sulle automotrici leggere alimentate a diesel e infine sui più moderni Minuetto.
Quando c'era ancora mia madre |
La “Faentina” è una ferrovia storica. Era stata inaugurata alla fine dell’Ottocento e fino alla costruzione della “Direttissima” Bologna-Firenze, negli anni Trenta del secolo scorso, è stata una importante via di comunicazione che accorciava le distanze tra Sud e Nord dopo l’unità d’Italia. Il tracciato, lungo 101 chilometri, è tortuoso e molto suggestivo, scavalca fiumi e torrenti, attraversa le montagne dell’appennino che dividono la Romagna dalla Toscana, arriva fin quasi a seicento metri di altitudine, si snoda tra curve e controcurve, salite e discese. L’opera ingegneristica è di tutto rilievo, con una trentina di gallerie (la più lunga, il tunnel degli Allocchi sul punto più alto del percorso, è di ben 3,7 chilometri), arditi viadotti, un ponte con dodici archi e un’altezza massima di trenta metri dalle parti di Borgo San Lorenzo. Durante la Seconda guerra mondiale è stata bombardata più volte dagli Alleati e minata in più punti dagli occupanti tedeschi in ritirata.
Gli interessi economici e politici legati allo sviluppo dei trasporti su gomma ne hanno frenato per decenni la ricostruzione e solo dopo il centenario, alla fine degli anni Novanta, la linea, che è di interesse militare oltre che commerciale, è stata completamente ripristinata anche nel tratto originario diretto San Piero a Sieve – Firenze rimasto chiuso dalla fine della guerra (si arrivava a Firenze facendo un gito molto più lungo via Borgo San Lorenzo-Dicomano-Pontassieve). Per poi essere nuovamente minacciata dall’incuria, dalla mancanza di ammodernamenti, e infine dalle alluvioni e dalle frane del maggio dello scorso anno che ne hanno causato la chiusura per sei mesi, fino al dicembre scorso. Ora ci passano a bassa velocità una ventina di treni al giorno.
In diversi fine settimana estivi e autunnali la “Faentina” ha anche un uso turistico. C’è il “Treno di Dante”, progetto della Regione Emilia-Romagna che a bordo del “Centoporte” - uno dei pochi treni a vapore dell’inizio del secolo scorso superstiti, simile alle vecchie diligenze e con gli interni tutti in legno - accompagna i viaggiatori da Firenze a Ravenna attraverso le terre percorse dal Poeta con fermate intermedie a Borgo San Lorenzo, Marradi, Brisighella e Faenza. E in ottobre c’è il “Treno dei marroni”, sempre a vapore, che porta i passeggeri da Bologna a Faenza e da lì a Marradi dove ogni anno si tiene per quattro domeniche consecutive la tradizionale sagra. Una ferrovia di grande fascino, che potrebbe e dovrebbe essere sfruttata meglio sia per il trasporto pubblico di persone e merci, sia come attrazione turistica in tempi in cui i viaggi nella lentezza e nella natura sono ricercati.
E invece cosa fanno le Ferrovie dello Stato, nel silenzio complice delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna competenti in materia? La tengono al minimo vitale, attaccata al respiratore della sopravvivenza per non farla morire ma senza un progetto di sviluppo con investimenti adeguati. E Rete ferroviaria italiana, che è la società proprietaria dell’infrastruttura, lascia letteralmente andare in malora il patrimonio pubblico di stazioni e caselli che la completa. Qualche anno fa arrivò a mia madre, che ancora aveva la residenza nella stazione di Sant’Eufemia, la comunicazione che il contratto alla scadenza del 31 dicembre 2020 non sarebbe più stato rinnovato. Un preavviso di sfratto, con tanto di sollecitazione a liberare l’immobile alla scadenza, che ha accomunato negli ultimi anni anche altri ex casellanti o ferrovieri in pensione. Tanto che se si percorre la ex statale “Brisighellese” che da Faenza sale verso Marradi si vedono già diversi edifici un tempo abitati in stato di abbandono, in rovina, coperti di vegetazione. Alcuni invece, in precedenza, erano stati venduti a chi li abitava e ristrutturati. Non si sa bene con quali criteri, perché ieri fosse possibile e oggi non più, visto che la situazione è più o meno sempre la stessa.
Prima stranezza. Alla richiesta di chiarimenti su quel preavviso di sfratto, Rfi rispose che mia madre poteva rimanere lì anche senza contratto, purché continuasse a pagare regolarmente l’indennità di occupazione. E così è stato. Quando mia madre è morta, nel dicembre del 2022, ho avviato una complicata interlocuzione con Rfi (un’impresa solo riuscire a parlare con un umano e trovare lo stesso referente della volta precedente) finalizzata a conservare l’uso abitativo di quella stazioncina. Prima di tutto per motivi affettivi. Io lì sono cresciuto e lì ho vissuto con mia madre e i miei fratelli fino ai 25 anni. E in tutti quegli anni ci siamo fatti carico a nostre spese dei lavori per mantenere in buono stato la stazione. Anche se non c’era più la fermata, il casellante e le sbarre si abbassavano e alzavano automaticamente al passaggio dei pochi treni. Ma non solo. Quella caratteristica stazione edificata tra una galleria e un lungo viadotto che scavalca il Rio Cò e il fiume Lamone incrociando la “Brisighellese” è un pezzo di storia della “Faentina”. Inoltre, è il luogo da dove nella primavera del 1944 salirono verso i monti sovrastanti i primi partigiani di quella che sarebbe diventata la 36esima Brigata Garibaldi” Alessandro Bianconcini”, protagonista della Resistenza e di una delle battaglie più cruente con i tedeschi che in ottobre si combatté tra Cà di Malanca e Purocielo, a poche centinaia di metri di distanza da lì, come ricordano i cippi, i sentieri partigiani e un museo visitati ogni anno da migliaia di persone. E fu anche un obiettivo dei bombardamenti alleati che colpirono più volte la ferrovia in quel tratto. Quando sentivano gli aerei, gli abitanti delle case vicino alla stazione si andavano a rifugiare nella galleria. Una volta non fecero in tempo e due donne rimasero gravemente ferite dalle bombe.
Storia a parte, si tratta comunque di un bene pubblico ancora in buono stato che anche solo il buon senso spingerebbe a salvaguardare. Per questo ho sollecitato in tutti i modi Rfi a trovare la modalità per farlo: un nuovo contratto di affitto, un comodato d’uso con finalità socioculturali, l’acquisto. Sempre a voce e mai per iscritto – chissà perché - mi è stato dapprima risposto che un subentro nell’affitto sarebbe stato possibile sono in caso di eredi minorenni della mia defunta madre (morta a 93 anni) e che non era possibile attivare un nuovo contratto o vendere l’immobile perché non c’era la distanza minima necessaria di 4,50 metri dal muro esterno della stazione al binario prevista dalle norme sulla sicurezza ferroviaria. Sono andato a misurare e ho verificato che la distanza è di 5 metri. Quando l’ho comunicato a Rfi, invitando a correggere l’errore, è scattato l’irrigidimento tipico della burocrazia più ottusa. Non è stato disposto alcun sopralluogo per verificare la distanza e l’errore. E, sempre a voce, mi è stato comunicato che comunque, anche se la distanza è regolare, manca l’accesso carrabile e quindi la stazione non si può comunque vendere o affittare. All’obiezione “sono interessato anche senza l’accesso carrabile”, è arrivata, il 1° marzo 2023 dalla direzione compartimentale di Rfi, una pec in cui c’è scritto che “per motivi legati alle esigenze del servizio ferroviario non è possibile alienare l’immobile in oggetto”. Quali siano quelle esigenze non è specificato. E alla domanda di chiarimenti, con invito a considerare comunque altre possibilità di utilizzo, la risposta è stata che non ci sarà nessun altro utilizzo. Quindi che la stazione sarà lasciata vuota, libera di andarsene in malora.
A quel punto mi sono rivolto agli assessori regionali ai trasporti della Toscana e dell’Emilia-Romagna chiedendo un loro intervento per salvare dall’abbandono quella stazioncina. Mi hanno risposto facendo il copia-incolla della pec di Rfi. Ho scritto anche al Presidente e all’amministratore delegato di Rfi, che il 28 settembre scorso mi hanno risposto con una Pec della direzione in cui c’è scritto che, pur apprezzandole, le mie diverse proposte di utilizzo della stazione non possono essere accolte per “assenza delle condizioni minime di sicurezza ferroviaria dettate sia dalla particolare ubicazione del fabbricato, chiuso tra due passaggi a livello”, quando invece è solo uno, “e posto nei pressi dell’imbocco di una galleria”, oltre che “dalla presenza in esso di apparecchiature tecnologiche”. Cosa voglia dire, quali siano le generiche ragioni di sicurezza, cosa sia cambiato oggi rispetto a prima non è dato sapere. Quel che è certo è che un bene pubblico che dovrebbe e potrebbe essere salvato, non lo sarà. E della storica e caratteristica stazione di Sant’Eufemia a breve resteranno probabilmente solo le rovine.
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