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Amilcare Piancaldini con la moglie e i tre figli: in basso Giorgio. |
È morto un altro degli ultimi testimoni delle stragi nazifasciste che tra l’estate e l’autunno del 1944 insanguinarono l’appennino tosco-emiliano: Giorgio Piancaldini, figlio di Amilcare, fucilato assieme ad altri quattro giovani a Casale di Brisighella il 4 agosto 1944. Un episodio di cui si era persa la memoria, che ho ricostruito e raccontato nel 2018 nel libro “L’eccidio dei martiri senza nome” (Pendragon). Senza nome perché tre delle cinque vittime sono tuttora ignote. Assieme all’Anpi di Brisighella riuscimmo invece a rintracciare i parenti delle altre due e - attraverso loro e ad altre testimonianze e ricerche – a ricostruire i fatti. Un lavoro che ha portato alla creazione di un luogo della memoria, con una stele realizzata dall’artista Mirta Caroli e, dal 2017, all’inizio di agosto, alla commemorazione dell’eccidio.
Giorgio se n’è andato da qualche mese ma l’ho saputo soltanto ieri. Abitava a Prato. L’avevo visto l’ultima volta alla cerimonia dell’anno scorso a Casale, poi eravamo andati a pranzo assieme. Stava ancora bene, qualche mese dopo si è ammalato. Mi dispiace molto. Ne approfitto per rivolgere attraverso queste righe un pensiero e un abbraccio a tutte le persone che l’hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, e per riproporre un pezzo della sua storia.
“Era una casa contadina, isolata, non distante da a un piccolo borgo - mi raccontò Giorgio Piancaldini, l’unico figlio superstite di Amilcare -. Dopo l'8 settembre nella zona ci fu una retata dei nazifascisti. Cercavano i disertori e i maschi abili alla guerra per mandarli al fronte o deportarli in Germania. A chi veniva preso, tuttavia, era lasciata un’alternativa: andare a lavorare per la Todt, la grande struttura paramilitare tedesca impegnata nella costruzione della Linea Gotica. Il babbo, che doveva sfamare la famiglia, decise di andare: lì almeno la paga era assicurata”.
Quando nell'estate del 1944 l'avanzata degli Alleati verso Nord raggiunge i monti della Romagna-Toscana e comincia perforare la Linea Gotica, il capo squadra della Todt raduna i lavoratori presenti nel cantiere a monte di Bagno di Romagna e dice a tutti di tornarsene a casa. Amilcare Piancaldini si incammina assieme a un gruppetto di compagni lungo la strada che conduce alle Balze di Verghereto. Sono euforici, pensano che sia finalmente finita, di essere liberi. Ma una pattuglia di camicie nere li scambia per “ribelli”, li ferma, li conduce a Sarsina, dove vengono interrogati e picchiati. Al termine, sono quasi tutti rilasciati tranne Amilcare e due parenti della moglie Egina, che vengono arrestati e portati nel carcere politico delle SS in via Salinatore, a Forlì. Non si è mai saputo bene perché.
Con Giorgio Piancaldini |
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La presentazione del libro nel teatro di Brisighella, nel 2018 |
Una volta identificato il cadavere, il Comune scrive a Egina. “Mia madre andò a Brisighella, gli fecero vedere i pochi effetti personali di papà, riconobbe gli zoccoli che portava sempre ai piedi. Poi, siccome era troppo povera per poter pagare il trasferimento della salma e la sepoltura a Prato, decise di lasciarlo lì, nel cimitero di Casale”. Amilcare venne sepolto in terra, in una cassa di legno povero, sotto una semplice croce anch'essa di legno. “A visitare la sua tomba andai per la prima volta negli anni Cinquanta. Mi ci portò mio cognato. Ricordo la croce di legno vicino alla cappella e al muro di cinta del cimitero. C'era il nome, la data di nascita e di morte. Qualche anno dopo l’hanno dissotterrato e hanno messo i suoi resti nell'ossario”.
“Di lui vivo ho pochissimi ricordi – mi raccontò Giorgio Piancaldini - ero troppo piccolo allora. Però mi è rimasta in mente l’immagine di lui quando, a Capanne, lo vidi arrivare dalla stradina che portava alla casa della nonna con sottobraccio un cavallino a dondolo. Ci ho giocato tanto con quel cavallino. Dalle testimonianze che ho raccolto da grande e dai racconti di mia madre, ho capito che era una persona semplice, generosa, che si adoperava per gli altri. I vicini dicevano che al sabato e alla domenica, quando non lavorava per la Todt, andava ad aiutarli nei lavori nei campi. Mamma invece mi ha sempre detto che lei e il babbo erano molto innamorati”.
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