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mercoledì 23 novembre 2022

I mali irrisolti del Pd e la sfida Bonaccini-Schlein per la segreteria

 

Elly Schlein e Stefano Bonaccini

Nelle stime di voto è in caduta quasi libera, al 16%, superato a sinistra dal partito di Conte, insidiato a destra da quello di Renzi e Calenda. Nel “sentiment” di quasi metà del suo popolo è un partito da rifondare. Molti a sinistra pensano che sia irriformabile e che la cosa migliore sarebbe lo scioglimento e la nascita di un nuovo soggetto politico. Secondo l’ultima indagine Demos, il 45% degli elettori del Pd ritiene che debba essere cambiato dalle fondamenta, senza escludere il cambio del nome, mentre aumentano i contrari alle primarie aperte a tutti come metodo per selezionare i segretari. Coloro che credono nella possibilità che il PD possa resistere mantenendo l'attuale (incerta) identità sono ormai solo militanti e apparato. 

Tra gli iscritti e i dirigenti prevale la convinzione, o la speranza, che sia possibile cambiare anche solo cambiando il segretario. E questo perché, nell’era dei partiti personali, è diffusa l'idea che l'identità di una forza politica coincida con l'immagine del suo leader. Ma di segretari ne sono stati cambiati una decina in quindici anni senza cambiare la natura e il progetto di un partito nato male e cresciuto peggio, di ceto politico e potere, sempre più lontano dal “popolo degli ultimi e dei penalizzati” che originariamente lo votava e sempre più partito del ceto medio benestante e delle Ztl, diviso sulle scelte di fondo, in mano a capicorrente e leader sempre meno di sinistra e sempre più democristiani. È difficile immaginare che questa volta andrebbe diversamente, senza ripensare e correggere quel progetto originario. Quel che manca è una visione comune di mondo e di futuro, sono le idee e i contenuti di una chiara linea politica su temi di fondo quali il tipo di sviluppo, la sostenibilità e la crisi climatica, la guerra e la collocazione geopolitica, le diseguaglianze, i diritti.

Eppure, nonostante tutto questo, nonostante le agorà prima e la costituente ora, il dibattito è incentrato sul nuovo segretario dopo la disastrosa gestione Letta. In pole position questa volta ci sono due emiliani, e sarebbe una novità storica se ce la facessero; il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, e la sua ex vice, Elly Schlein. Che, semplificando e forse banalizzando un po’, prefigurano il primo la definitiva collocazione liberal-democratica ma in chiave popolare del Pd, la seconda un partito della sinistra dei diritti ma in chiave radical chic. Astenersi nostalgici del socialismo. E anche della socialdemocrazia. Quel mondo e quelle ideologie sono superati, destinati a finire in cantina. Si guarda oltre, anche se non si capisce ancora bene dove. In attesa di capirlo, sempre secondo Demos Bonaccini sarebbe largamente favorito su Schlein: per lui voterebbe un elettore su tre, mentre la sua rivale è accreditata al momento dell’8% delle preferenze. Vediamo allora di capire un po’ meglio chi sono i due contendenti. 

Stefano Bonaccini viene da una famiglia comunista, padre camionista e madre operaia, si diploma al liceo, comincia a fare politica nella sua Campogalliano e a Modena col Pci-Pds-Ds, aderisce al Pd e nel 2010 ne diventa segretario regionale con la mozione Bersani, che lui sostiene alle primarie del 2012 contro Matteo Renzi. Ma l’anno successivo passa con Renzi e diventa prima responsabile della sua campagna per le primarie del 2013, poi responsabile nazionale degli Enti locali nella sua segreteria. Nel 2014 succede a Vasco Errani alla presidenza dell’Emilia-Romagna, ma viene eletto con meno del 50% dei voti (la prima volta per un candidato della sinistra) e con un clamoroso crollo della partecipazione (appena il 37% di votanti). Nel 2019 si ricandida e con l’aiuto determinante delle Sardine riesce a fermare l’ondata leghista e a battere la candidata di Salvini, Lucia Borgonzoni. In Regione governa con renziani, calendiani e sinistra ed è rimasto in buoni rapporti con Renzi dopo la sua uscita dal Pd; cosa questa che fa storcere il naso ai suoi detrattori, così come certe sue scelte politiche come il voto favorevole al referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari e la battaglia per l’autonomia differenziata delle regioni, che è il cavallo di battaglia della Lega. Se Bonaccini gode di un forte sostegno nella sua regione, altrettanto non si può dire al Nazareno, dove soprattutto Letta e Franceschini sostengono la corsa della Schlein. Una sfiducia ricambiata da Bonaccini, che promette di battersi per superare le correnti interne e cambiare radicalmente il gruppo dirigente nazionale. Anche se è noto l’appoggio alla sua candidatura di Base Riformista, la corrente ex renziana del Pd.

Elly Schlein è invece di origine borghese: padre ebreo americano, madre italiana, tre passaporti (uno italiano, uno americano e uno della Svizzera dove è nata), laurea in giurisprudenza, dichiaratamente bisessuale. Politicamente è la papessa straniera, ma la si potrebbe definire anche l’esule a casa propria, dal momento che non è iscritta al Pd, partecipa da esterna alla fase costituente del Pd e per consentirne la corsa si è dovuto apportare una modifica allo statuto del partito. Nel suo curriculum spicca il ruolo di volontaria alle campagne elettorali americane per Barack Obama, quello da co-protagonista di #OccupyPd (il movimento che nel 2013 occupò alcune sedi del partito, allora guidato da Bersani, all’indomani dell'affossamento della candidatura di Romano Prodi al Quirinale) e la figuraccia sull’immigrazione che quattro anni fa fece fare a Salvini chiedendogli, in un video diventato virale, come mai non avesse mai partecipato a nessuna delle 22 riunioni sul trattato di Dublino che si erano tenute all’Europarlamento dove entrambi sedevano. A Bruxelles era stata eletta nel 2014 nelle file del Pd, per poi passare l’anno dopo a Possibile di Civati, che già aveva sostenuto come segretario dem alle primarie vinte da Renzi. Nel 2020 è invece eletta con la lista Coraggiosa (Articolo uno, Sinistra italiana, Verdi) consigliera regionale dell’Emilia-Romagna, poi nominata da Bonaccini vicepresidente, carica che mantiene fino alla sua elezione a deputata il 25 settembre scorso, candidata con la lista Pd Democratici e Progressisti. 

La sua corsa alla segreteria Pd, ancora in attesa di conferma, appare più orientata alla radicalità, non solo sui diritti ma anche sull’emergenza climatica, sul lavoro e per una posizione più cauta, non apertamente atlantista, sulla guerra e sulle armi a Kiev. Rimane però un corpo piuttosto estraneo al Pd. I suoi detrattori le rimproverano in particolare di curare più l’immagine della sostanza e un eccesso di opportunismo politico. Prima di decidere se andare o no ai gazebo e chi votare, vorrebbero capire meglio cos’è questa fase costituente che si apre, dove vuole andare il Pd, con quali idee, programmi e linea politica. Intanto molti, soprattutto nell’elettorato più di sinistra, criticano due aspetti: il fatto che Bonaccini abbia annunciato l’intenzione – se verrà eletto - di mantenere il doppio incarico di presidente della Regione e Segretario Pd; l’abbandono anzitempo del seggio, della vicepresidenza in Regione e sostanzialmente anche di Coraggiosa da parte di Schlein.

 

 

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