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giovedì 22 settembre 2022

Le elezioni del 25 settembre: sulla Terra l'incubo della guerra e l'angoscia per il futuro, mentre la politica italiana sembra stare su Marte

Pensi alle elezioni politiche di domenica e hai l’impressione di vivere su Marte. Sulla Terra cresce l’angoscia per la terza guerra mondiale che incombe, il dolore per la distruzione e le vittime della crisi climatica che questa volta ha colpito le Marche, la preoccupazione per la pandemia che riprende quota, il timore per un autunno-inverno che si annuncia lacrime e sangue con le bollette di luce e gas alle stelle, le paghe sempre più misere, lo sfruttamento, la povertà e le disuguaglianze che dilagano. Ti aspetteresti che di questo si occupasse la politica, di qualsiasi colore e a tutte le latitudini. Che la pace, l’ambiente, la salute, la giustizia sociale fossero al centro della campagna elettorale, le priorità per tutte le forze politiche. Invece su Marte si parla d’altro. A destra di Dio, Patria e Famiglia, immigrati da respingere, reddito di cittadinanza da abolire, flat-tax, presidenzialismo, autonomia differenziata. Al centro di Draghi, Agenda Draghi, Draghi ancora premier anche se lui non vuole. Nel Pd, invece, di chi non votare: gli amici di Putin e Orban, i sovranisti, gli euroscettici, chi non si allinea a Biden e alla Nato. Tutti con parole chiave piuttosto ansiogene: “credo”, “pronti”, “scegli”. E con slogan che dividono il mondo tra buoni e cattivi: “noi o loro”, “prima gli italiani”, “dalla parte giusta”.


Temo che non finirà bene. E che domenica andrà anche peggio di quel che finora ci hanno detto i sondaggi. Può essere che gli eventi degli ultimi giorni, e in particolare la paura per ciò che potrebbe accadere dopo le minacce di Putin e l’escalation della guerra tra Russia e Usa per interposta Ucraina, convincano un certo numero di indecisi, delusi e astensionisti di sinistra ad andare a votare e a votare la coalizione del Pd. Le professioni di atlantismo e europeismo della Meloni, il frettoloso pentimento di Salvini e Berlusconi che solo ora dicono di avere cambiato opinione sull’amico Vlad, segnalano che qualcosa forse sta cambiando nel sentire di fondo dell’elettorato. Ma non credo che sarà sufficiente a modificare di molto, o a ribaltare l’esito previsto. Questa campagna degli assurdi e degli errori si chiuderà con una sconfitta che poteva essere evitata se il centrosinistra non si fosse frantumato. Un “campo largo” potenzialmente competitivo e in crescita ma perdente in partenza per la propria incapacità di unirsi, come invece anche questa volta, pur divisi su quasi tutto, sono riusciti a fare nel centrodestra. Il “non posso allearmi con chi ha fatto cadere Draghi” di Letta è diventato un harakiri politico. Certo, i Cinquestelle hanno compiuto giravolte ed errori madornali, ma la legge elettorale e la logica imponevano comunque la ricerca di un accordo. No, non rimpiangeremo mai abbastanza l’Ulivo.


Oggi credo che tutti l’abbiano compreso e molti siano pentiti. Ma è incredibile come nella direzione Pd decisiva nessuno abbia avuto la forza e il coraggio di dire che la mossa di scaricare il M5S era suicida. Nessuno che abbia avuto l’onestà intellettuale di spiegare quali sarebbero state le conseguenze. Nessuno che abbia detto che era assurdo estromettere Conte per prendersi Di Maio. La sua scissione è stata vista dal M5s come un atto di guerra, un tradimento. Il Pd l’ha invece accolta con favore, come una opportunità, salvo poi vederla rapidamente trasformarsi in zavorra. Considerare il Movimento in via di estinzione, sopravvalutare il peso di Di Maio e la popolarità di Draghi sono stati tragici errori. Lo specchio di una politica sempre più lontana dal mondo e dalla vita reale, come osserviamo con sconcerto crescente anche sulla guerra e sul clima. Il Rosatellum e il voltafaccia di Calenda, poi, hanno fatto il resto. Da lunedì penso che ci sarà molto da ricostruire a sinistra. Sperando di non finire, nel frattempo, sotto le macerie.

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