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venerdì 23 aprile 2021

Renato Emaldi, il "professore" comunista che convinceva i giovani ad andare in montagna con i partigiani



Una delle passate celebrazioni al cippo

Il 23 aprile del 1944 al "Casone" di Casale veniva assassinato dai fascisti Renato Emaldi, il "professore" comunista di Fusignano mandato dal partito nella zona di Brisighella a convincere i giovani alla lotta armata di montagna. Per ricordarlo, in questo periodo di cerimonie vietate per pandemia, l'ANPI di Brisighella, sezione "Giuseppe Bartoli", ha pubblicato il capitolo del libro "I comunisti nella terra dei preti" che ho scritto assieme a Viscardo Baldi.

Il "Casone" era la casa dei miei nonni. A ospitare e sostenere Emaldi nella sua azione politica e insurrezionale fu anche la mia famiglia paterna, in particolare lo zio Serafino, l'"azdor" di casa, il più comunista e politicizzato di tutti. Il giorno che l'uccisero, con Renato, nel bosco, nel tentativo di nasconderlo e sottrarlo alla cattura, c'era un altro dei miei zii, Dino, allora poco più che ragazzo. Fu testimone di quel vigliacco assassinio. 

Renato Emaldi è il secondo da destra, seduto


Qui i link al sito dell'ANPI 
e al capitolo del libro 
Di seguito, un estratto che ho sistemato per facilitare la lettura. 

Il cippo

"Alto, robusto, capelli castani, viso lentigginoso, vestito sempre elegante con cravatta o papillon, portamento austero, colto e con l’eloquio forbito. Da giovane sembra un dandy. Da uomo maturo - quando si rifugia in montagna per sfuggire ai fascisti che gli stanno dando la caccia - non ha perso il suo fascino: gli piacciono le donne e piace alle donne. Ma è sugli operai, i braccianti, i mezzadri, soprattutto sui giovani che ha un forte ascendente. Diffonde la cultura antifascista, l’idea comunista, la consapevolezza che per cacciare i fascisti e i tedeschi invasori è necessario mettersi in gioco, fare ciascuno la propria parte, rischiare. Nei mesi drammatici dopo l’8 settembre 1943 saranno diversi i giovani delle campagne e delle colline brisighellesi che risponderanno al suo appello, prenderanno un fucile e andranno con i partigiani in montagna a combattere contro la tirannide e per la libertà. Renato Emaldi, il “professore” per alcuni, “l’eterno studente” nel libro a lui dedicato da Gian Luigi Melandri, nasce nel 1888 a Fusignano e ha una cinquantina d’anni quando si stabilisce prima a Fognano poi a Valpiana per nascondersi alle camicie nere, organizzare il Partito Comunista clandestino e i primi gruppi della Resistenza in montagna. Viene da una famiglia di origini nobili e di ideali repubblicano-garibaldini. Suo padre Giuseppe è rettore del Collegio Carducci di Forlimpopoli, dove ha studiato Benito Mussolini. Fin da giovanissimo si impegna nelle lotte studentesche e nel 1914 partecipa da protagonista alla “Settimana Rossa”, rimediando un ordine di arresto: per sfuggire alla cattura si rifugia per alcuni mesi a San Marino. Viene poi graziato e rientra a casa, ma poco dopo viene mandato al fronte. Nella Grande Guerra prende i gradi prima di sergente poi di ufficiale ricevendo anche una croce al merito, lui che è pacifista e restio alle armi. Rientrato sano e salvo, riprende gli studi e si laurea a 33 anni in fisica, all’Università di Bologna. 

...Viene bastonato la prima volta dai fascisti a Lugo nel 1921, poi in diverse altre occasioni quando le camicie nere, dopo aver aggredito e ucciso l’ultimo sindaco socialista, Battista Emaldi, vanno al potere anche nella sua Fusignano. A Faenza Renato Emaldi instaura un intenso rapporto politico con un gruppo di intellettuali antifascisti e tra l’estate e l’autunno del 1943 ha un ruolo rilevante nelle manifestazioni organizzate per festeggiare la caduta di Mussolini (il 25 luglio) e l’armistizio (l’8 settembre). Il 26 luglio parla nella Piazza del Popolo a nome del PCdI. Quando la guerra continua, viene nominato rappresentante del PCdI nel CLN di Faenza. I fascisti ricominciano a dargli la caccia e lui per sfuggire alla cattura viene nascosto a Fognano, dal partigiano Amedeo Liverani, (Ravasol), nella casa di una signora che diventerà poi sua amante. Successivamente, quando il cerchio attorno a lui si stringe, si rifugia nella chiesa di Valpiana del prete antifascista don Giulio Bartoli, prozio del poeta Pino Bartoli (partigiano, azionista, poi repubblicano e futuro sindaco di Brisighella). 

A Fognano, Renato tiene stretti contatti con Ravasol - che nel suo diario di partigiano racconterà poi gli ultimi mesi di vita del “professore” - e con Gildo Montevecchi (perseguitato politico, capo partigiano, primo sindaco comunista eletto di Brisighella). Assieme a loro e ad altri comunisti e antifascisti recupera le prime armi (un mortaio, dell’esplosivo, alcune pistole, 25 fucili) e organizza il primo gruppo di lotta partigiana armata: 15 uomini che partendo da Sant’Eufemia salgono in montagna verso Monte Colombo e Cà Malanca agli ordini del comandante "Libero", il capitano di fanteria Riccardo Fedel che ha disertato per unirsi ai resistenti. A fine novembre sfugge per un soffio alla cattura: i fascisti fanno irruzione in casa dell’amante ma lui non c’è più. Secondo una delle ipotesi che verranno fatte per spiegare il suo assassinio, durante la perquisizione le camicie nere si fanno consegnare dalla donna un suo pettine e un fazzoletto che risulteranno decisivi per attirare Emaldi nella trappola mortale in cui cadrà il 23 aprile del 1944. Il “professore” si nasconde per alcuni giorni nella casa di un contadino, ai Poggiali di Casale, poi trova rifugio alla Chiesa di Valpiana. Lì, invece di restare nascosto, tiene i collegamenti tra le squadre partigiane di pianura e le brigate di montagna, riceve dalla federazione del PCdI l’incarico di preparare un opuscolo di propaganda da divulgare tra i giovani, si incontra spesso con Gildo Montevecchi, Ravasol e altri al Casone di Tura, gira casa per casa facendo opera di proselitismo per organizzare un Gap (Gruppo di azione partigiana) autonomo tra Valpiana e la Valle di Tura. Nel frattempo comincia una relazione con la giovane maestrina di 25 anni che insegna nella scuolina del prete a Valpiana. 

Il 23 aprile Ravasol impara che i fascisti hanno scoperto dove Renato si nasconde e che sono già partiti, a piedi, per raggiungere Valpiana e arrestarlo, o ucciderlo. Ravasol incontra Serafino Visani, l’"azdòr" del Casone e il comunista più politicizzato della famiglia, e gli chiede di correre ad avvisare Emaldi del pericolo. Serafino lo tranquillizza dicendogli che il professore è atteso a pranzo proprio al Casone, quindi che a quell’ora avrà già lasciato il suo rifugio. I fascisti, infatti, alla Chiesa di Valpiana non lo trovano. Trovano però, in un cassetto, le tracce della sua presenza: documenti, lettere, un orologio e una penna stilografica. E picchiano selvaggiamente il prete e la maestrina per farsi dire dove è andato Emaldi. Ravasol, nel suo diario, sosterrà che a fare la spia non sono né il prete né la maestra, bensì il contadino del prete, per duemila lire di ricompensa (dopo la morte del “professore” il contadino verrà fucilato dai partigiani). I fascisti puntano sul Casone e organizzano un vasto rastrellamento, da più fronti. Un ragazzo dei Visani, Aurelio, di appena 16 anni, che sta di guardia sui monti, si accorge del trambusto e corre a casa a dare l’allarme. Un altro Visani, il 18enne Dino, viene mandato a nascondere Renato nel bosco, al di là del Rio Pistrino. 

I fascisti arrivano al Casone quando il professore non c’è più. La ricerca continua. Due di loro si travestono da partigiani, con il fazzoletto rosso al collo, vanno verso il bosco e cominciano a chiamare «professore, professore». Emaldi li sente, li scorge, gli sembrano partigiani o sbandati, va loro incontro, li tiene comunque sotto il tiro della sua pistola e li disarma. Gli dicono che sono due ex militari dell’esercito passati con i partigiani di Corbari, che hanno avuto un combattimento, sono riusciti a fuggire e sono venuti a cercarlo per unirsi al suo gruppo. Per rassicurarlo, uno di loro gli mostra un pettine e il fazzoletto sequestrati alla sua amante di Fognano come segno di riconoscimento. Renato si fida, fa recuperare le armi ai due fascisti travestiti da partigiani che si dicono affamati e li invita a seguirli fino al Casone «dove vi daranno sicuramente qualcosa da mangiare». Ma appena oltrepassano il Rio Pistrino uno dei due, Francesco Cattani, fascista faentino soprannominato Pirtò, estrae la pistola di tasca e gli spara prima alla testa poi al petto. 

Tre colpi mortali, verso le cinque del pomeriggio. Dino Visani, testimone diretto dell’agguato, racconterà poi che i due assassini subito dopo cominciarono a festeggiare con una macabra danza attorno al cadavere e che Pirtò gli era apparso da subito un tipo «animalesco, con una faccia da delinquente», mentre l’altro lo aveva insospettito perché «aveva stivali lucidi ed era ben vestito». " ... Poco dopo dal bosco spuntano altri fascisti nascosti: la banda è composta da sette-otto persone di cui tre carabinieri. I fascisti tornano al Casone, prelevano Aurelio, Dino e Domenico Visani per portarli alla caserma dei carabinieri di Fognano e costringono Serafino a prendere un biroccio, a caricarci sopra il cadavere di Renato Emaldi, a coprirlo con una coperta lercia lasciandolo con i piedi penzolanti dal pianale in segno di ulteriore spregio e a trasportarlo fino al cimitero del paese per mostrarlo ai cittadini come un trofeo. I Visani vengono interrogati, minacciati e poi rilasciati. Un sottufficiale “buono” dei carabinieri avvisa Serafino di nascondere al più presto Dino, che ha disertato, «perché se lo imparano i fascisti che non si è presentato nell’esercito repubblichino vengono su e fanno una strage». Il giorno dopo i fascisti arrestano Ravasol, Gildo e altri partigiani.

A un centinaio di metri dal Casone, nei pressi del rio Pistrino e del luogo dell’agguato, c’è ora un cippo che ricorda l’assassinio di Emaldi. Il 23 aprile di ogni anno si tiene la commemorazione di quel professore di Fusignano, figura prestigiosa sul piano politico e culturale, venuto sui monti di Brisighella a dirigere l’attività clandestina del Partito Comunista e ad organizzare la Resistenza. Un “eterno studente” che per convincere i giovani alla causa della libertà e del socialismo scriveva: «Il problema morale, sociale e politico di oggi è un problema eminentemente di educazione. Finché non ci si renderà reso conto dell’importanza dell’educazione per la propria emancipazione, finché si continuerà nella strada fino a oggi percorsa della rassegnazione, dell’indifferenza e della sottomissione, non si farà che prorogare all’infinito la condizione di uomini angariati e vilipesi. I quali ogni volta che, esasperati dalle sofferenze e dalle ingiustizie, verranno spinti dall’istinto di classe ad ergersi in piedi di fronte ai dominatori, essendo politicamente e moralmente immaturi, saranno inesorabilmente sopraffatti e ogni loro anelito sarà, dai vampiri del capitale, soffocato nel sangue... È compito degli uomini che credono nel progresso e nella democrazia fare si che questa gigantesca battaglia si combatta sul terreno di una discriminazione profonda e radicale delle nuove concezioni contrapposte alle precedenti e sostenute dalle nuove armi civili del pensiero e della ragione».

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