Il Pd che per i suoi detrattori è un morto che cammina, prova a rianimarsi. Liberato dalla presenza transgenica di Renzi, "il campione che ci ha lasciati al 18% e oggi spiega che vuole annientarci" (Gianni Cuperlo), cerca di ritrovare la sua anima popolare e di sinistra, il gusto dell'analisi e della discussione, dell'elaborazione programmatica e dei pensieri lunghi. Rincuorato dalla "piazza delle sardine" - 15mila persone in Piazza Maggiore grazie all'iniziativa social di quattro ragazzi che hanno oscurato il lancio della campagna elettorale di Salvini per le regionali del 26 gennaio dando coraggio e visibilità alla Bologna e all’Emilia-Romagna che non vuole rassegnarsi al fascioleghismo dilagante - tenta di riallacciare la connessione sentimentale col suo popolo che in larga parte l'ha abbandonato a favore dell'astensionismo, dei Cinquestelle e anche della Lega.
Cerca di ricucire il rapporto con la società civile - soprattutto con i giovani e le donne - a cui si rivolge per trovare idee, proposte, un terreno comune di battaglia politica. "Perché da soli non ce la facciamo", chiarisce Cuperlo che da presidente della nuova fondazione culturale del Pd ha aperto venerdì i lavori della convenzione delle idee "tutta un'altra storia", il quasi congresso dei democratici nel bellissimo e affollatissimo Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo a Bologna. "Il primo passo verso il rilancio e la ricollocazione politica del nostro partito. Idee forti per fermare la destra e l'odio, per riunire questo Paese e offrire una opportunità di cambiamento", afferma il segretario Nicola Zingaretti chiudendo la tre giorni bolognese a Fico, la disneyland del cibo, dove l'assemblea dei democratici approva anche il nuovo statuto del partito che non prevede più l'automatismo segretario uguale candidato premier, introduce le adesioni e le consultazioni online.
In sala tremila accreditati, gente in piedi in tutte le giornate della convention e duemila persone alla cena di auto finanziamento con Zingaretti e il governatore Stefano Bonaccini, sabato sera al Centro Eventi Dumbo. Più ex diesse che ex margheritini. Più teste bianche e grigie, ma anche una discreta presenza di giovani e donne, soprattutto nei laboratori tematici, negli interventi e nelle testimonianze dal palco. Seduti tra il pubblico tutti i big del partito, assieme a diversi esponenti delle forze sociali e imprenditoriali, del mondo cattolico, del volontariato, della cultura, della scienza, dei movimenti e delle associazioni della società civile e di cittadinanza attiva. Discorsi e commenti in diretta streaming sui principali social. Nelle pause, sul maxi schermo scorrono immagini di piazze piene, delle manifestazioni di Fridays For Future, di situazioni e figure simbolo: gli immigrati dei barconi, le lotte dei braccianti schiavizzati al Sud, Greta Thunberg, Giulio Regeni, Liliana Segre di cui Iaia Forte legge la toccante testimonianza di sopravvissuta ad Auschwitz, con tutto il pubblico che si alza in piedi ad applaudire. L'impressione, ascoltando l'umore della platea, è quella di un popolo di centrosinistra che ancora c'è e resiste, che è più forte delle divisioni, dei personalismi e degli errori dei suoi dirigenti, che si aspetta dalla nuova leadership uno scatto di orgoglio, credibilità, unità. Un popolo in cerca di un partito che sappia rialzare la testa, ritrovare la forza e il coraggio di spendersi non in nome del politically correct e del governismo, bensì per le idee e i valori propri della sinistra. Un partito capace di cogliere e indirizzare le istanze di chi vuole cambiare il Paese nel segno della giustizia sociale, dello sviluppo sostenibile, della qualità del lavoro, dell'uguaglianza e della solidarietà, dei diritti civili in questo mondo sconvolto dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione.
Dalla tre giorni bolognese sembra emergere il profilo di un “nuovo Pd”, più spostato a sinistra. Più Corbyn che Blair. Significativa l'ovazione riservata a Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, che sabato mattina ha illustrato il suo manifesto programmatico in favore di politiche più radicali. E ancor più significativo è l'applauditissimo discorso di Cuperlo, che citando Barca dice: "Il nuovo sta negli occhi di chi guarda. Dobbiamo riscoprire il senso e il valore di parole come radicalità e conflitto. E riporre per sempre nel cassetto la parola rottamazione". La voglia di un recupero identitario la si coglie anche nel linguaggio. "Care compagne e cari compagni", ha esordito nel suo saluto il sindaco di Bologna, Virginio Merola, imitato dal segretario regionale, Paolo Calvano e da altri dirigenti nazionali. E fa una certa impressione ascoltare di nuovo quell'incipit considerato per anni superato e ormai desueto. La voglia di più sinistra è testimoniata anche dai grandi applausi strappati dall'intervento di Maurizio Landini, ad alzo zero contro trent'anni di politiche neoliberiste: “La sinistra - dice il segretario della Cgil - nelle varie forme in cui è andata al potere in Italia e in Europa, è stata corresponsabile della nascita del populismo. Quando l’autore del jobs act disse che quel provvedimento era la cosa più di sinistra mai fatta, mi sono chiesto: allora io non sono di sinistra?". Ma traspare anche dalle parole del vice segretario, Andrea Orlando, che ha chiuso la seconda giornata di lavori con queste parole: "È venuto il momento di recuperare il contatto con il popolo. E anche di rimettere al centro il bisogno di cambiare la forma del capitalismo. Serve un pensiero profondo. Abbiamo bisogno di idee. Un leader ce lo abbiamo ed è Zingaretti. Il leader carismatico è stato l'anticamera del successo di Salvini". Siamo all’archiviazione definitiva del renzismo. Non solo della cultura del capo, ma di un impianto politico e culturale basato sulla visione ottimistica della modernità e sulla retorica del libero mercato. Con la rottura a sinistra considerata la condizione sine qua non per conquistare i voti moderati. E in questo, forse, non è solo al renzismo che si dice addio, ma anche ad alcuni capisaldi fondativi del Pd. Torna, inoltre, una visione critica del capitalismo e del neo-liberismo come non la si sentiva da tempo.
Anche il clima interno pare cambiato. Non più solo sfiducia e rassegnazione, ma speranza. Si respira la voglia di togliersi dall'immobilismo e di ripartire. La "piazza delle sardine" aleggia nel Salone, in molti interventi, nei commenti in sala e sui social. "E' stata la risposta di un popolo che non si fa prendere in giro", commenta Zingaretti. Per tutti è una iniezione di fiducia. La sollecitazione del popolo di quella sinistra "ritirata nel bosco" (Pierluigi Bersani) che dice al Pd: svegliati. Che spinge i democratici a gettare il cuore oltre l'ostacolo delle difficoltà, che sono tutt'altro che superate. I sondaggi per le regionali non sono tranquillizzanti. Il vento di destra che alle europee ha portato la Lega a essere il primo partito nell'ex Emilia rossa non è cessato. La sinistra prevale nelle principali città, ma nelle aree rurali, nel ferrarese, in alcune zone della Romagna e dell'Emilia occidentale, la destra è ancora avanti. Si profila un testa a testa tra i due schieramenti, anche se il governatore uscente, Stefano Bonaccini (sabato è stato presentato il simbolo per le regionali: il logo Pd con la scritta "Bonaccini presidente" in bianco su campo rosso), sopravanza di gran lunga nel gradimento degli elettori la sfidante Lucia Borgonzoni, la inconsistente candidata della Lega che ha finora rimediato solo figuracce (da sottosegretaria alla Cultura confessò candidamente che non leggeva un libro da tre anni, a "Un giorno da pecora" disse che l'Emilia-Romagna confina anche con il Trentino e l'Umbria, recentemente ha attaccato la sanità e i servizi sociali che restano per tutti il fiore all'occhiello di questa regione).
La situazione nazionale non aiuta di certo. Il governo giallorosso è il convitato di pietra della convention. Se ne parla poco e mal volentieri. Non scalda i cuori di nessuno. Crea imbarazzo. C'è sempre la spina nel fianco di Renzi, prima sponsor e ora sabotatore del Conte 2. C'è la sofferta alleanza con i Cinquestelle, che resta un grande punto interrogativo. Tanto più dopo il disastro umbro e il no di Di Maio ad altre alleanze con i democratici nelle regioni, a cominciare dall'Emilia-Romagna. Un no che complica la vita alla conferma di Bonaccini. Il Pd è consapevole che se si perde qua crolla tutto anche a Roma. E c'è comunque la convinzione - lo ha ripetuto chiaramente Zingaretti - che non si può continuare a stare al governo assieme da avversari, se non c'è una svolta e non matura una visione comune. "L'altra storia" che il segretario vorrebbe scrivere per gli anni Venti di questo secolo, "perché sia diversa da quella drammatica del secolo scorso", improntata "a costruire un Paese migliore, che torni a essere felice e non debba più avere paura del futuro", per essere credibile ha bisogno di camminare su più gambe, e tutte che camminino nella stessa direzione, "insieme per cambiare il mondo". Oggi questa condizione, questo sentire comune non c'è. Ci sono invece le ambiguità dei Cinquestelle, che hanno un capo, Di Maio, che sembra ancora orfano di Salvini e ostile all'alleanza a sinistra, che non si sono ancora liberati del populismo e della demagogia, che non hanno saputo costruire una classe dirigente degna di tale nome con la quale sia possa lavorare efficacemente insieme, ipotizzare la costruzione di un campo largo alternativo alla destra. Lo stesso Dario Franceschini, che nel suo intervento ha difeso la scelta del governo con il M5S, dice che la motivazione originale, quella per fermare Salvini e il suo delirio dei pieni poteri, "ora non basta più, serve un salto di qualità e una nuova prospettiva politica". Ma invita a insistere, perché "il fatto che sia difficile non è una buona ragione per rinunciare al tentativo di costruire un'alleanza politica con i Cinquestelle". A cominciare, dice, dallo "ius culturae", che va approvato al più presto. Un cambio di passo che è chiesto anche dalla segretaria della Cisl, Annamaria Furlan, che dal palco lancia un appello ad abrogare subito i decreti sicurezza di Salvini e del Conte 1.
Ma è soprattutto Barca a tratteggiare nel suo lungo intervento il nuovo profilo della possibile ricollocazione politica del Pd più a sinistra. La sua è una diagnosi spietata sui mali prodotti dalla modernità: la rivoluzione digitale e tecnologica che è andata paradossalmente a discapito delle persone e della giustizia sociale, l'aumento delle disuguaglianze, la redistribuzione del reddito solo a vantaggio dei ricchi, la società liquida che ha indebolito e reso precario il lavoro, la globalizzazione che ha dato più potere al capitale e ai privati togliendolo alla politica e al pubblico, l'impoverimento dei territori, della provincia e delle periferie che hanno alimentato la rabbia dei cittadini e fatto da volano all'exploit della Lega, il profondo cambiamento del senso comune che ha portato a considerare il pubblico peggio del privato, la povertà una colpa, ciò che non funziona da buttare invece che rimuovere gli ostacoli per farlo funzionare come dice la Costituzione. Tutto questo, sottolinea Barca, "è anche il frutto della subalternità della sinistra alla forma mentis liberale e dell'incapacità del modello socialdemocratico di evolversi, di andare oltre i successi conseguiti considerando la tecnologia e la globalizzazione non un impedimento ma una opportunità per cambiare in meglio il mondo".
Come farlo? "Osando un cambiamento radicale", dice Barca. Anche perché "non si combatte il vento di destra con le politiche moderate". Mettendo in campo "il progetto di una società nuova". Dove il lavoro e la salute sono saldamente al centro. Riscoprendo "il valore del conflitto". Come nel Sessantotto, "per non rassegnarsi all'esistente e provare a cambiare davvero le cose". Cercando alleanze in Italia e in Europa "con altre forze radicali, anche liberaldemocratiche, purché interessate a cambiare il sistema". E riappropriandosi di alcuni vecchi strumenti del Novecento, "perché l'essenza del capitalismo non è cambiata". Poi lancia una proposta rivoluzionaria rivolta al governo per i giovani: "Dare a ogni diciottenne un contributo di 15mila euro: un trasferimento universale, non condizionato, teso a rafforzare la protezione collettiva dei giovani e a dare loro una migliore opportunità di costruirsi un futuro”. Una misura, dice, che costerebbe 8-9 miliardi di euro e che potrebbe essere finanziata con una patrimoniale ad hoc.
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