La legislazione sulle pensioni, modificata "ennevolte" negli ultimi vent'anni e quasi sempre più per fare cassa che per cercare di realizzare una migliore giustizia sociale, è di nuovo nell'occhio del ciclone. L'ultimo paradosso è di pochi giorni fa. Per l'Istat il 2015 è stato un anno pessimo, soprattutto per i più anziani. I morti nel 2015 sono stati complessivamente 653.000, ben il 9,1% in più rispetto all'anno precedente. Il tasso di mortalità è salito al 10,7 per mille, il più alto dal secondo dopoguerra. E la speranza di vita degli italiani, sempre nel 2015 rispetto al 2014, si è accorciata di due mesi per gli uomini (80,1 anni contro 80,3) e di tre per le donne (84,7 anni contro 85).
Si vive due-tre mesi in meno ma per il governo la speranza di vita aumenta
Un fenomeno che preoccupa i medici e la comunità
scientifica, che sono ancora alla ricerca delle cause, ma che lascia del tutto
indifferente la politica. Sì, perché dal primo gennaio 2016 la speranza di vita
aumenta comunque, per legge, di 4 mesi. Così, in barba ai dati sulla mortalità,
da quest'anno si andrà in pensione 4 mesi più tardi, a 66 anni e 7 mesi per le
pensioni di vecchiaia, e 4 mesi più tardi anche per le pensioni anticipate,
contributive, totalizzate e di altre tipologie.
Cosa direbbero Crozza e Cevoli di questo miracolo
Quindi, campiamo di meno per la medicina e la statistica ma
viviamo più a lungo per la legge. Vi sembra un cosa normale? Una legge degna di
un paese civile? Crozza potrebbe inventare una nuova metafora renziana su
questi 2-3 mesi di vita reale in meno a fronte dei 4 di vita legale in più.
Messi i dentini e strabuzzando gli occhi, il premier potrebbe dire:
"Signori miei, preferite intristirvi ad ascoltare i gufi dell'Istat o
farvi stupire dal mio governo del fare che vi allunga la vita di 6 mesi?".
E il mitico assessore "alle varie ed eventuali" del comune di
Roncofritto, Palmiro Cangini, alias Paolo Cevoli, forse aggiungerebbe:
"Fatti, non pugnette".
Cominciarono Berlusconi e Sacconi, poi Monti e Fornero hanno completato l'opera
Cominciarono Berlusconi e Sacconi, poi Monti e Fornero hanno completato l'opera
E' da gennaio 2013 che l'età minima per andare in pensione è
stata agganciata per legge alla speranza di vita. Introdotto nel 2009 dal
governo Berlusconi (ministro del lavoro Sacconi) e modificato dal governo Monti
nel 2011 (ministro del lavoro Fornero), il meccanismo doveva scattare nel 2015,
ma poi è stato anticipato di due anni.
Dovrebbe tenere conto delle modifiche reali, anche in negativo, alla durata
della vita, ma per ora l'aumenta a prescindere. L'adeguamento doveva essere
triennale, poi è diventato biennale. Nel biennio 2016-2018 è tuttora previsto
un incremento di altri 4 mesi, che dovrebbero salire a 5 nel biennio 2018-2010.
Quindi, senza modifiche, nel 2020 l'età pensionabile supererebbe i 67 anni e
per quella anticipata servirebbero 43 anni e 3 mesi di contributi.
Le altre ingiustizie pensionistiche
Le altre ingiustizie pensionistiche
Ma al centro delle critiche ci sono diverse altre questioni:
dagli esodati all'opzione donna; dalla flessibilità in uscita che ancora non
c'è per gli over 55 disoccupati troppo vecchi per trovare un nuovo lavoro e
troppo giovani per andare in pensione, agli assegni pensionistici da fame che
si profilano all'orizzonte per i giovani, i precari e tutti gli autonomi
iscritti alle gestioni separate; dalla "finestra" di ben 21 mesi (tra
la maturazione del diritto e l'erogazione del primo assegno) per chi va in
pensione col sistema della "totalizzazione", alle somme da capogiro
che vengono richieste con la "ricongiunzione onerosa" dei contributi
(un'altra incredibile norma introdotta dal governo Berlusconi e dal ministro
Sacconi) da chi ha lavorato anche come autonomo o nelle gestioni meno
vantaggiose: una sorta di "tangente di Stato" per poter accedere alla
pensione anticipata.
Temi, contraddizioni legislative e vere e proprie
ingiustizie che tornano al centro della scena sociale e politica e della conferenza stampa di martedì 1 marzo alla Camera dei deputati che io ho promosso coinvolgendo i parlamentari Sandra Zampa, Marialuisa Gnecchi e
Giorgio Pagliari, i vertici della Fnsi e delle Associazioni stampa Romana e
dell'Emilia-Romagna. Una iniziativa che ha l'obiettivo di mettere in campo iniziative parlamentari e
sindacali per provare a modificare almeno le norme più odiose delle riforme
Sacconi e Fornero.
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