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martedì 5 settembre 2017
"I comunisti nella terra dei preti": storia di una passione. Vi racconto come e perché è nato questo libro
Ormai ci siamo. Domenica 10 settembre un'anteprima di riscaldamento alla FestaUnità di Ravenna (ore 21 alla libreria, area Pala De Andrè). E sabato 16, a partire dalle 10 nella Casa del Popolo di Brisighella, la prima vera presentazione, quella a cui teniamo di più, che il mio socio Viscardo Baldi, co-autore del libro, sta lavorando per trasformare in un evento che coinvolga tutti coloro che questa storia l'hanno costruita, vissuta, condivisa, o anche solo rispettata. A moderare l'iniziativa sarà Gabriele Albonetti. Dialogheranno con gli autori gli storici che hanno recensito il libro (Alberto Malfitano, Dianella Gagliani, Marco Serena) e alcuni dei protagonisti della storia del PCI, interverrà Vasco Errani. Il programma prevede anche l'inaugurazione di una targa dedicata ai costruttori della Casa del Popolo e, per finire, un buffet per tutti i partecipanti.
Nel libro c'è la storia degli uomini e delle donne che attraverso le loro vicende personali, sociali e politiche hanno fatto la storia del Pci a Brisighella. E' la storia dei "comunisti nella terra dei preti", ovvero di una città guelfa per eccellenza, dalle profonde radici cattoliche, madre di 7 cardinali e patria di vari potentati religiosi, assieme a Faenza "isola bianca" della Romagna comunista, repubblicana e mangiapreti. Sono 70 anni di storia, dal 1921 quando nacque il Partito comunista d'Italia al 1991 quando il Partito comunista italiano cambiò nome e diventò Partito democratico della sinistra. Ma sono anche 70 anni di storia di un'intera comunità: dai moti anarchici e social-comunisti dell'inizio del secolo scorso alle prepotenze e alla violenza del Ventennio fascista; dalle atrocità della guerra alla Resistenza e alla liberazione dall'occupazione tedesca; dalla rinascita civile e democratica, al trionfo della Dc del 18 aprile 1948 e alla Guerra Fredda; dagli anni del boom economico, alle lotte di classe tra poveri e ricchi e alle contestazioni Sessantottine; dalla grande avanza del Pci degli anni Settanta al Compromesso storico e alla triste stagione del Pentapartito. Tutte vicende che Brisighella ha vissuto direttamente. Una grande storia, quella del Pci, raccontata con lo sguardo di una piccola comunità. Il tentativo di restituire il ricordo e l'onore a chi ci ha creduto, e la memoria di un pezzo significativo della loro storia recente a tutti i brisighellesi.
Quando Viscardo mi propose di scrivere questo libro, parecchio tempo fa, io avevo da poco perso il lavoro, dovevo fare i salti mortali con le collaborazioni per tirare avanti (dura la vita dei precari, anche da giornalisti) e non avevo tempo e possibilità di dedicarmi a un lavoro impegnativo di ricerca e scrittura, per di più non retribuito. Ma non mi convinceva nemmeno l'idea originaria che aveva mosso Viscardone: scrivere un libro storico sul Pci a Brisighella. L'intento era encomiabile: la sua volontà di ricordare una storia che non c'è più per i tanti compagni e le tante famiglie che l'hanno vissuta, attraverso le ricostruzioni storico-politiche, i documenti e le foto che lui, da segretario del Pci e anche dopo, ha conservato gelosamente nell'archivio del Partito, all'interno della Casa del Popolo che i comunisti costruirono con le proprie mani, la propria fatica e i propri soldi negli anni Cinquanta, che oggi è ancora lì, ristrutturata, più bella di prima e ancora viva. Ma io non sono uno storico, sono un giornalista, tutt'al più un narratore. Un libro così, da storico, non sarei stato in grado di farlo, non avrei avuto le competenze necessarie per scriverlo. Per cui subito dissi no a Viscardo e presi tempo, con l'impegno di riparlarne più avanti.
Però a Brisighella io sono legato, il Pci è stato anche parte della mia famiglia e della mia vita, la mia scuola giovanile. E l'idea di contribuire a realizzare quel sogno nel cassetto di Viscardo, raccontando però quella storia a modo mio, mi intrigava. Così quando sono andato in pensione l'ho chiamato e gli ho detto: Viscardo, ci sto, ma la storia del Pci bisogna scriverla raccontando chi erano le persone che l'hanno costruita, le loro storie personali e famigliari, la società e le vicende brisighellese nei diversi periodi, nel loro contesto storico. Bisogna fare un libro diviso in due parti: una narrativa - ed è la parte che forse sono capace di fare io - e una storico-documentale, che è la parte che puoi curare tu. L'idea l'ha convinto e siamo partiti.
Siamo andati a cercare i pochi sopravvissuti di questa storia, le loro ex mogli o vedove (ex mariti o vedovi non ne abbiamo trovati), i loro figli, nipoti, compagni e amici e abbiamo cominciato a raccogliere le loro testimonianze, i loro ricordi. E mano a mano che andavamo a intervistare queste persone si aprivano dei mondi: emergevano squarci di storia in gran parte sconosciuti, si scoprivano vicende e tratti di quei personaggi che nessuno aveva mai raccontato, venivano alla luce documenti, aneddoti, foto e soprattutto episodi - dai più drammatici dei periodi fascista e della guerra a quelli spesso tragicomici del dopoguerra - di cui finora si sapeva poco o nulla.
Chi sapeva o aveva mai raccontato le storie dell'umile calzolaio Domenico Ragazzini, Mingò, che aprì la prima sezione del PCdI nella porta accanto a quella dei futuri cardinali Cicognani? Chi ha mai scritto delle torture subite in carcere che portarono alla morte Luigi Fontana, pure lui calzolaio, fondatore del Partito a Brisighella assieme ai fratelli Menotti, Amerigo e Pietro Poggiali, che di mestiere facevano i "canapini", realizzando le corde dalla canapa? Chi conosceva la storia dell'ex anarchico fognanese Amedeo Liverani, Ravasol, che fu condannato a 9 anni come sovversivo, divenne comunista in carcere e quando tornò a casa organizzò il primo gruppo di 15 combattenti partigiani che salirono da Sant'Eufemia verso Monte Colombo, assieme a Ermenegildo Gildo Montevecchi e Renato Emaldi, il professore di Fusignano riparato sui nostri monti per sfuggire ai fascisti che ebbe un ruolo fondamentale nel convincere i giovani a scegliere la lotta armata e che in questi stessi monti fu poi assassinato? E chi aveva mai saputo del diario scritto in carcere, come Antonio Gramsci, da Gildo Montevecchi? Chi ha mai scritto cosa fecero Sesto Liverani, Palì, e lo stesso Gildo, nei loro mandati come primi sindaci comunisti di Brisighella, uno nominato dal CLN e l'altro eletto? E chi aveva mai raccontato, come hanno fatto Bruna Alpi e Alba Ponti, i loro mariti Sante Moretti e Amos Piancastelli - principali costruttori del PCI di massa e di governo degli anni Sessanta e Settanta - così intensamente, nel loro intimo, nel loro vivere quotidiano, nella vita difficile imposta alle rispettive mogli e famiglie dalla loro dedizione totale al Partito, all'idea comunista e alla causa dei più deboli?
Ci sono voluti 9 mesi per scrivere questo libro, e uno per convincere Viscardo che il titolo "I comunisti nella terra dei preti" era quello giusto. "Non mi piace per niente", disse quando glielo proposi. Poi è diventato il primo convinto sostenitore del titolo, che - mi pare - è un bel titolo e racchiude bene il senso di questa storia. Una compagna diversamente giovane mi ha scritto: "Il libro l'ha letto prima mio fratello e ora l'ha portato a nostra sorella che è in ospedale: le tiene compagnia, leggendolo fa esercizio di memoria, gli fa tornate alla mente tanti momenti vissuti. Grazie. Io ne comprerò un'altra copia per passarla ai miei figli ... debbono conoscere". Mi ha commosso. Sì. ci sono voluti 9 mesi di lavoro ma ne valeva la pena. Grazie a Viscardo. Grazie a Amos che non c'è più ma è sempre stato con me durante questo viaggio. Grazie a Primavera Baldi che se n'è andata dopo poco avermi raccontato la storia di suo zio Luigi Fontana, che ci teneva tanto venisse scritta da qualcuno. Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato a raccontare questa bella storia. "la storia di una passione", come l'ha definita lo storico Alberto Malfitano. E grazie a tutti quelli che avranno voglia di leggerla.
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