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mercoledì 24 agosto 2016
Terremoti, i crolli e le morti che i governi non sanno fermare
Per noi emiliani che quattro anni fa abbiamo vissuto sulla nostra pelle la distruzione, le morti e la paura del terremoto (20 e 29 maggio, due scosse di magnitudo 5.9 e 5.8 che provocarono molti crolli nei centri storici e nelle aziende del cratere, con 27 morti, 350 feriti e diverse migliaia di sfollati), lo scenario che emerge dal disastroso sisma che ha devastato Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto è sale sulle ferite, un dolore profondo che si rinnova, un forte sentimento di vicinanza e solidarietà che sentiamo con le popolazioni colpite.
Non è un caso che dalla nostra regione poche ore dopo la prima terribile scossa siano subito partiti uomini e mezzi per rafforzare l'opera di primo soccorso e che già nella prima giornata del terremoto sia stata organizzata una colonna della Protezione civile con un centinaio di volontari, strutture e servizi in grado di dare riparo e assistenza a 250 sfollati.
Non è una peculiarità solo emiliana, sia chiaro. Pur nella drammaticità della situazione, con interi paesi distrutti in un'area vastissima del centro Italia, dove morti, feriti e sfollati aumentano di ora in ora, è evidente a tutti la mobilitazione, l'impegno e anche l'umanità della macchina dei soccorsi e dei primi interventi di emergenza. E ha ragione il premier Renzi a dire che in queste occasioni l'Italia sa dare il meglio di sé.
Eppure c'è un pensiero fisso che mi accompagna fin dalle prime ore di questa nuova sciagura, una rabbia che mi sale dentro: perché, mi chiedo, ancora in Appennino dopo l'Irpinia, l'Umbria, le Marche, l'Aquila, la stessa Emilia (anche se qui, nel cratere del sisma del 2012, l'Appennino era nascosto sotto la pianura alluvionale)? Perché in questo Paese a ogni terremoto, forte sì ma neppure violentissimo, si contano i crolli e i morti, mentre in altri Paesi evoluti terremoti con magnitudo ben maggiore fanno meno danni e molte meno vittime? Perché dopo ogni tragedia siamo bravissimi a dire "mai più" ma poi non cambia mai niente o quasi, fino alla prossima sciagura e al prossimo "mai più"?
E allora lo devo dire, anche se mi secca molto alimentare polemiche in un momento come questo, dove serve invece l'aiuto concreto e lo slancio solidale di tutti. Io penso che i crolli e i morti per terremoto, così come per le frane e le ricorrenti alluvioni, nella nostra bella Italia continuino perché nessuno fa niente di concreto per mettere davvero in sicurezza questo Paese. E non solo al Centro-Sud. I crolli e i morti si contano regolarmente anche negli edifici più recenti, spesso anche in quelli pubblici, perché prevalgono gli interessi di costruttori senza scrupoli, del malaffare e delle mafie del cemento, in molti casi con la complicità corrotta delle amministrazioni pubbliche. I crolli e i morti nelle aziende emiliane ci sono stati perché i capannoni industriali non erano "legati", le travi erano solo appoggiate, e questo perché le normative antisismiche non c'erano ed era conveniente per le imprese risparmiare sulla sicurezza. I crolli e i morti si susseguono a ogni terremoto sul nostro Appennino perché nell'azione dei nostri governi, locali e nazionali, prevale il "pensiero corto" della ricerca del consenso elettorale rispetto a quello lungo del "bene comune". Così tolgono la tassa sulle prime case e distribuiscono bonus piuttosto che investire nella prevenzione, che come è noto porta pochi voti, dare incentivi o sgravi fiscali per mettere in sicurezza i nostri splendidi borghi medievali che rapprentano un "unicum", e potrebbero essere anche una grande risorsa economica se adeguatamente tutelati e valorizzati.
Ecco, l'ho detto. Col cuore vicino alle vittime di questa nuova tragedia. Con la rabbia verso un sistema politico ed economico che a parole promette agli italiani che "nessuno verrà lasciato solo" ma nei fatti non fa niente per cambiare il corso delle cose.
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