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lunedì 12 maggio 2014

Il divorzio, i cattolici e le riforme 40 anni dopo il referendum che cambiò l'Italia

Quarant’anni fa, il 12 e 13 maggio 1974, 19 milioni di italiani, pari al 59,3% dei votanti (che furono l’87%), votarono no al referendum voluto dalla Chiesa e sostenuto dalla Dc di Fanfani e dalle destre per abolire la legge Fortuna-Baslini (socialista il primo firmatario, liberale il secondo) che quattro anni prima aveva finalmente sancito anche in Italia il diritto per le coppie in crisi di poter divorziare. Il fascismo prima (con i Patti Lateranensi del 1929) e la Democrazia cristiana poi, avevano fatto sì che il nostro fosse rimasto fino ad allora uno dei pochi paesi europei dove questo diritto era negato. La campagna referendaria pro-divorzio, sostenuta fortemente dai radicali e in modo più tiepido dalle sinistre, avrebbe cambiato gli equilibri politici dell’Italia e inaugurato la stagione più felice delle riforme (nel 1978 la 194 che ha depenalizzato l’aborto e la riforma sanitaria, nel 1980 la legge 180 di Franco Basaglia che ha abolito i manicomi, tanto per citare quelle più importanti) in uno dei periodi più tumultuosi e tristi (gli anni di piombo) della nostra storia recente. 




Ma l’influenza negativa del Vaticano e dei cattolici integralisti sui diritti civili non è venuta meno. E oggi, a 40 anni di distanza da quel referendum, l’Italia è ancora – assieme alle cattolicissime Polonia, Irlanda e Malta - uno dei 4 paesi dove per poter divorziare bisogna prima aver trascorso un lungo periodo di separazione (tre anni). Una condizione che rende il divorzio non solo più difficile (i divorzi sono poco più della metà delle separazioni) ma anche “un affare per ricchi”. I costi della doppia causa di separazione e divorzio sono spesso insostenibili per chi vive con uno stipendio normale, e si sommano alle difficoltà economiche in cui si vengono a trovare circa la metà dei coniugi che decidono di dividersi. Tanto che quasi il 60% delle coppie a un anno dalla separazione vivono ancora sotto lo stesso tetto coniugale, mentre l’11% dei separati è costretto a tornare a vivere a casa dei genitori.

Presto, tuttavia, dovrebbe diventare possibile anche in Italia divorziare in tempi accettabili (la media degli altri paesi è 1,5 anni) e in molti casi anche senza dover passare per il tribunale. In commissione alla Camera è stato approvato il testo di Alessandra Moretti (PD) e Luca D’Alessandro (FI) sul “divorzio breve”, che il 26 di questo mese dovrebbe arrivare al voto dell’aula. Prevede la riduzione da tre a un anno del tempo di separazione necessario prima di potersi dividere definitivamente (9 mesi se non ci sono figli minorenni). Uno dei prossimi Consigli dei ministri dovrebbe invece approvare il decreto legge a cui sta lavorando il ministro della giustizia, Andrea Orlando, per ridurre la montagna di 5,4 milioni di cause arretrate che paralizza la nostra giustizia civile.

Il provvedimento del governo mira a ricomporre nell’accordo tra avvocati gran parte dei contenziosi civili che oggi intasano i tribunali, arrivando alla causa “solo quando è strettamente necessario”. Un criterio che, assicura il ministro, varrà anche per le separazioni e i divorzi. Se non ci sono figli minori o disabili e se c’è la consensualità dei coniugi, ci si potrà dividere senza dover andare dal giudice. Dovrebbe bastare, come in Francia, una “procedura conciliativa” gestita dai legali delle parti. Un “percorso di responsabilizzazione delle coppie”, spiega il ministro, che trova conforto nei dati: nel 2013 sono state , infatti, 62mila le omologazioni di separazioni e divorzi consensuali che, in teoria, col nuovo decreto, non necessiterebbero più della causa.

Il “divorzio breve” e la possibilità delle “separazioni senza causa” sarebbero il modo migliore per celebrare il 40esimo anniversario della vittoria dei laici al referendum sul divorzio. Nella speranza che un altro periodo tormentato della nostra storia nazionale qual è quello che stiamo vivendo possa generare, come fu negli anni Settanta, una nuova fortunata stagione di riforme. Possibilmente vere e non solo annunciate. E possibilmente anche buone, e non taroccate come a tutt’oggi qualcuna ci sembra.

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