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venerdì 6 giugno 2014

Corruzione e disoccupazione, così l'Italia non cambia verso


Tangentopoli che riesplode in maniera clamorosa e bipartisan tra Expo e Mose. Il passato che ritorna con le stesse facce, gli stessi meccanismi e le stesse imprese di vent’anni fa. Il senatore di Forza Italia (Galan) al centro dei mille affari, che vive nella villa da sogno sui Colli Euganei, secondo l’accusa ristrutturata gratis dall’impresa del corruttore suo amico da cui avrebbe ricevuto anche, e per diversi anni, una "paghetta" da un milione di euro l’anno, che non trova di meglio che dare la colpa alla segretaria.

Il sindaco di sangue blu e renziano della prima ora (Orsoni) che abita in uno dei più bei palazzi nobiliari sul Canal Grande, tra Rialto e Ca’ Foscari, accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti per circa mezzo milione di euro, che pur essendo uomo di legge sembra negare l'illegalità, e le proprie responsabilità, scaricando la colpa sul suo comitato elettorale; proprio come facevano i Greganti, i Frigerio e i Cusani di Tantentopoli che rubavano “non per sé ma per il partito” (anche se al partito il primo cittadino di Venezia non è mai stato iscritto, e ora i renziani del Pd, paradossalmente, sembrano per questo volerlo rinnegare).

Il governo che dovrebbe “cambiare verso” all’Italia sembra voler evitare la stanca litania della fiducia nella magistratura, delle mele marce, del “chi ha sbagliato paghi ma le opere devono andare avanti”. Ma non sfugge alla tentazione di scaricare tutte le colpe sulla "vecchia politica" e di invocare l’inasprimento delle pene attraverso l’accusa di “alto tradimento” per i politici corrotti (non è chiaro se con o senza fucilazione alla schiena) e il “daspo a vita” per i ladri di soldi pubblici.

Sembra davvero un Paese senza futuro quello che emerge dalle cronache di questi giorni. Un Paese che nel giro di dieci giorni è passato dall’euforia per il trionfo elettorale di Renzi, alla depressione per i dati sulla ripresa che non c’è e sulla disoccupazione che invece continua a galoppare, all’incubo della corruzione che tutto si mangia, compresa la speranza del cambiamento.

I dati sull’economia, in particolare, sono da panico. L’Istat ci dice che siamo tornati a quasi 40 anni fa, esattamente ai livelli del 1977: tasso di disoccupazione al 13,6% che sale a un imbarazzante 46% tra i giovani con punte del 61% al Sud, 120mila aziende in meno, 3,5 milioni di italiani senza lavoro, sempre più italiani che vanno a cercare fortuna all’estero come negli anni più bui del secolo scorso (quasi 100mila all’anno, soprattutto giovani), mentre pure gli immigrati cominciano a lasciare il nostro Paese (3% in meno). “Stiamo strisciando sul fondo”, ha commentato Squinzi, sorvolando però sulle responsabilità gravi della nostra classe imprenditoriale che sempre più spesso sembra capace di creare innovazione e sviluppo solo con i soldi pubblici, o con “l’aiutino” della corruzione.

In questo stato di emergenza continua in cui da almeno vent’anni vive il Paese, si sono create due “emergenze sociali” particolarmente drammatiche; quella dei giovani che non trovano lavoro e quella dei cinquantenni che l’hanno perso.

Ai primi la combinazione tra disoccupazione, lavori precari e riforma Fornero ha tolto il futuro. I dati Istat dicono che ora anche i contratti a termine e di collaborazione sono in vistoso calo (rispettivamente meno 3,1 e 5,5%), e davvero non si riesce a capire che necessità e urgenza ci fosse di un’altra legge che rendesse più flessibile il lavoro.

Per i secondi il ministro Poletti ha detto di lavorare a una legge ad hoc, probabilmente nell’ambito del “jobs act” annunciato da Renzi. Ce ne sarebbe un gran bisogno, dal momento che stiamo parlando di circa 500mila disoccupati che hanno ormai perso ogni speranza di poter trovare una nuova occupazione. Mezzo milione di persone che in molti casi hanno una famiglia con uno o più figli, spesso anche genitori anziani di cui prendersi cura, che improvvisamente si ritrovano senza più un reddito e cadono nella disperazione perché anche la cassa integrazione o l’indennità di disoccupazione sono finite. 

Poletti ha detto che se avesse i soldi farebbe subito una riforma, un contratto specifico per il reinserimento di molti cinquantenni; e uno scivolo per la pensione anticipata, attraverso la formula del prestito della previdenza detraibile mensilmente dall’assegno, per quelli che non possono essere ricollocati. C'è da augurarsi che non finisca come per il decreto sui contratti a termine, e che i soldi il ministro li trovi al più presto. Diversamente il rischio è che non solo la sorte delle famiglie, ma anche la pace sociale e la convivenza civile diventeranno ad alto rischio.

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