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mercoledì 19 marzo 2014

L'imbroglio della spending review

La chiamano in inglese, spending review. In italiano, revisione della spesa, farebbe già un altro effetto, più preciso e vicino alla realtà. Gli ultimi governi - da Berlusconi a Monti, da Letta a Renzi - se ne riempiono la bocca. Il nuovo premier la chiama spending e basta. Forse perchè così dà l'idea della spesa e non della revisione. Per i disastrati bilanci dello Stato e i disperati tentativi di acquisire risorse per tentare il rilancio della nostra asfittica economia, è diventata la panacea di tutti i mali, il jolly da giocarsi su tutti i tavoli della ripresa.

Ma nella realtà è un grande inganno. Giacchè, in generale, non di sola razionalizzazione della spesa pubblica si tratta, che sarebbe cosa buona e giusta, bensì di tagli spesso selvaggi al welfare e di un ulteriore inaccettabile attacco ai redditi medio bassi, alle famiglie più disgraziate e alle pensioni.

Perché i tagli dei costi della politica, la vendita delle auto blu, la lotta agli sprechi ministeriali sono sì sacrosanti e da perseguire, ma incidono pochissimo nel mare magnum del nostro deficit: sono “sbagiuzze”, come dicono a Bologna. 

Perché il gettito vero, la cassa, si fa pescando proprio lì, nei milioni di famiglie a medio e basso reddito, tra i pensionati, tra gli sfortunati che consumano più sanità e servizi sociali.

A leggere le anticipazioni e le proposte del piano Cottarelli che il governo Renzi si appresta a fare suo - e da quanto si può capire nella versione extra-large per trovare i soldi necessari a onorare la promessa dei mille euro l'anno in più in busta paga a chi ne guadagna meno di 25mila - c'è da trasecolare. 

Si va da un nuovo blocco del turn over e delle retribuzioni nel pubblico impiego (misure in vigore giá da 5 anni) con l'obiettivo di rottamare 85mila dipendenti, a un nuovo assalto alle pensioni (con il blocco delle indicizzazioni per quelle che superano i 1.400 euro al mese e un prelievo forzoso a quelle che superano i 2.000-2.500 euro al mese), fino ai vergognosi tentativi di colpire le reversibilità pensionistiche alle vedove e agli orfani e di togliere gli assegni di accompagnamento a chi ha la disgrazia di avere un disabile in famiglia.

Nel primo caso, si pensa, addirittura, di togliere la pensione alle vecchiette che hanno avuto un marito caduto o disperso nell'ultima guerra, oltre che di ridurre o annullare l’assegno che oggi spetta (dal 20 al 60% della pensione) a chi ha perso il coniuge, il padre o la madre, semmai morti dopo vite di lavoro e contributi versati senza potersi godere l’agognata pensione. 

Nel secondo si prospetta di cancellare l'indennità a chi deve assistere un genitore malato di alzheimer o un figlio in carrozzina ma ha un reddito personale superiore a 30mila euro o famigliare superiore a 45mila euro. 

E questa sarebbe razionalizzazione della spesa? No. La chiamano spending rewiev, ma è l'ennesimo imbroglio ai danni dei poveretti. E sarebbe particolarmente odioso se a sostenere il piano, o a non correggerne almeno i tratti di ingiustizia sociale, fosse il governo presieduto dal segretario del Pd, ovvero di un partito che dovrebbe difendere, in primis, le categorie che la spending review vuole colpire, oltre che i valori della sinistra.

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