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venerdì 3 gennaio 2014

L'insopportabile malapianta dei concorsi e delle selezioni "ad personam" negli uffici stampa pubblici

Sempre più rari. Quasi sempre finti. Spesso truffaldini. Sono i "bandi sartoriali" per giornalisti cuciti addosso ai vincitori predestinati dalle pubbliche amministrazioni di ogni colore e di ogni latitudine. Sono i concorsi e le selezioni che servono non a prendere i più bravi ma a parare il culo ad amministratori e dirigenti. Quelli che fin dall’inizio hanno già scelto i loro “fiduciari” per i posti disponibili, ma non sanno o non vogliono prendersi la responsabilità di nominarli direttamente, anche quando la legge glielo consentirebbe, ad esempio per gli incarichi ad alta professionalità o per gli incarichi di tipo politico. Oppure vogliono, semplicemente, evitare l’interrogazione o l’esposto dell’oppositore di turno che – in caso di chiamata diretta - chiede come mai per quel posto non si è preceduto a una selezione pubblica. Oppure, ed è la pratica peggiore ma molto diffusa, vogliono semplicemente “farsi belli”, andare sui media come quelli che fanno le cose per bene, che perseguono il merito nell’interesse dei cittadini e dell’ente che rappresentano. Di tutto questo verminaio non se ne può veramente più.

Gli ultimi casi
Le ultime due finte selezioni di cui ho conoscenza diretta sono state fatte al Dams di Bologna e al Comune di Crema. Nel primo caso veniva offerto un posto da addetto stampa per un anno, con contratto co.co.co. da 20mila euro. Alla selezione, per soli titoli, hanno partecipato più di ottanta giornalisti. In palio c'erano 30 punti: 15 venivano assegnati a chi aveva (testuale nel bando) "esperienze professionali maturate presso amministrazioni del Comparto Università nei peculiari ambiti di attività del profilo e con le caratteristiche del profilo medesimo, con contratto di lavoro subordinato e non subordinato". Indovinate quanti avevano quel requisito e hanno preso quei 15 punti? Uno solo. Il vincitore, ovviamente.

Nel secondo caso, a Crema, il nuovo sindaco cercava un addetto stampa. Selezione per titoli, contratto part-time di pubblico impiego da 18 ore alla settimana per 800 euro lordi al mese. Offertina così così, ma con la fame di lavoro che c'è sono arrivate ugualmente 200 domande, da mezza Italia. In prima battuta ne vengono selezionate 25 e il sindaco, a quel punto, decide di chiedere ai selezionati una prova scritta da remoto, on line. La procedura è insolita, per niente trasparente (chi valuta chi e con quali criteri?) ma sembra propendere a una selezione meritocratica. Su 25 concorrenti ne vengono selezionati 4 che vengono chiamati dall’amministrazione a un colloquio supplementare. A quel punto, e solo a quel punto, la giunta che fa la selezione finale (anche questa una curiosa pratica) dice papale papale che è pregiudizievole la presenza quotidiana in ufficio, 3 ore al giorno per 6 giorni. Il che equivale a dire che serve la residenza in zona, dal momento che 3 dei 4 finalisti risiedono uno tra Milano e Como, uno a Parma e l’altro a Bologna, cioè a ore di auto, quindi interessati a modalità diverse di lavoro (telelavoro, ad esempio) perchè se devono fare presenza quotidiana in ufficio si mangiano il magro compenso in viaggi. Un solo concorrente, peraltro dei 4 l'unico non giornalista, è di quelle parti. Indovinate chi è stato scelto.

Un malcostume diffuso.
Ma perché si devono prendere per il sedere in questo modo le persone? Si rendono conto o no questi dirigenti pubblici, questi sindaci o assessori, che così facendo non fanno l’interesse del loro ente o della loro comunità? Che, anzi, macchiano il loro stesso mandato e danno un contributo straordinario all’antipolitica?

La disoccupazione anche tra i giornalisti ormai è diffusissima. Gli editori non assumono più, vogliono fare i giornali senza giornalisti. I posti da giornalista nelle pubbliche amministrazioni sono una merce sempre più rara. E le poche selezioni che ancora si fanno nove volte su dieci sono truccate. E’ un malcostume diffuso contro il quale l’Ordine e il sindacato dei giornalisti fanno ancora troppo poco.

Alla “concorsopoli” dei giornalisti ho dedicato un bel po’ di lavoro negli anni passati. Per un certo periodo ho monitorato selezioni e concorsi pubblici in tutta Italia. Ho documentato come la gran parte dei bandi fosse redatta in maniera non conforme alla legge, che prevede ancora come unico requisito obbligatorio (ripeto, obbligatorio) per l’ammissione alle selezioni sia l’iscrizione all’Albo dei giornalisti. Gli altri titoli – dalla laurea alle lingue, dall’essere pubblicista piuttosto che professionista, fino alle precedenti esperienze lavorative – possono servire per alzare i punteggi ma non per escludere i concorrenti. Ho segnalato le violazioni continue alla legge 150 che regola l’attività giornalistica negli uffici stampa pubblici, in particolare per la mancata netta separazione che dovrebbe esistere tra i ruoli di portavoce e addetto stampa. Ho denunciato, in particolare, la pratica dilagante dei bandi e delle selezioni “ad personam”, raccontando ciò che avevo avuto modo di incrociare direttamente.

I casi più clamorosi.
Ecco un riepilogo dei casi più clamorosi. Alla Regione Calabria cercavano il direttore di un giornaletto istituzionale on-line. Un incarico da ben 120mila euro lordi l'anno. E un bando così smaccatamente personalizzato che chiamai al telefono il dirigente regionale incaricato della selezione per protestare, il quale mi invitò a presentare ricorso. L’ho fatto. Non mi è tornata indietro nemmeno la ricevuta di ritorno della raccomandata.

Alla Regione Sardegna, invece, uscì un bando per assumere 4 colleghi con la qualifica di capo servizio. Tra i titoli richiesti, c'era la conoscenza della lingua sarda. Il mio amico Giancarlo Ghirra, allora segretario nazionale dell'Ordine, mi spiegò che c’era una vecchia legge che equiparava la Sardegna alle Regioni bilingui e che qualcuno l’aveva riesumata per mettere quel requisito ed essere così sicuro che non ci fossero intrusi nella selezione.

Alla Fondazione Cineteca di Bologna il bando per assumere a tempo indeterminato il capo ufficio stampa, addirittura non prevedeva l'iscrizione all'Albo dei giornalisti. In compenso chiedeva la laurea, la conoscenza della lingua inglese, tre anni di esperienza in materia di cinema. Evidentemente il prescelto non era un giornalista.

L'Università di Bologna persevera con un bando per un incarico di lavoro autonomo di quasi due anni, egregiamente retribuito (134mila euro lordi nel biennio). Questa volta assume un "capo ufficio stampa e portavoce", due figure che per legge dovrebbero essere incompatibili tra loro.

Al Comune di Modena, infine, per rinnovare due contratti di lavoro precari in scadenza all'ufficio stampa, viene bandita una selezione pubblica per due co.co.co. della durata di 20 mesi discretamente retribuiti (60mila euro per l'addetto stampa, 80mila per il vice capo ufficio stampa). Arrivano 324 domande. Una commissione seleziona una decina di curriculum (con quali criteri non è dato sapere). I superstiti vengono chiamati a un colloquio che è solo “conoscitivo” della persona, non affonda su competenze, capacità, attitudini. Ma che basta alla commissione per scegliere i due "fortunati". Che, guarda caso, sono il vice capo ufficio stampa e l'addetto stampa uscenti. Ovvero, i due colleghi precari scaduti, immagino validissimi, che vengono rinnovati nel loro incarico per altri 20 mesi.

I ricorsi e il bando virtuoso. 
Ovunque ci si volta, si vede – quanto meno - il trionfo dell’ipocrisia e l’inabissamento dell’etica. Ma dalla denuncia del malcostume intollerabile dei bandi “sartoriali” e delle selezioni pubbliche “truffaldine” dove vincono gli amici degli amici e non i più bravi, qualcosa nasce. In due casi, alla Provincia di Trento e ancora all’Università di Bologna, per due bandi che non rispettavano le normative vigenti (in particolare per i requisiti della laurea e dell’anzianità di servizio), con il sostegno del Sindacato (a Trento) e dell’Ordine dell’Emilia-Romagna (a Bologna) presentammo ricorsi al Capo dello Stato. In un caso, a Trento, il bando venne modificato positivamente prima del pronunciamento del giudice. Nell’altro il Consiglio di Stato respinse il ricorso, ma con motivazioni di tipo procedurale e non di merito.

Anche da quel lavoro di inchiesta e denuncia nasce poi l'iniziativa del sindacato nazionale dei giornalisti (la Fnsi) del bando virtuoso per le assunzioni dei giornalisti nella pubblica amministrazione. Un bando che definisce i criteri che si dovrebbero seguire per la selezione e la contrattualizzazione, che nell’autunno del 2012, su mia iniziativa (allora ero consigliere nazionale) è stato fatto proprio anche dall’Ordine e inserito nella carta dei doveri dei giornalisti degli uffici stampa. Le iniziative di Ordine e Fnsi per promuovere il bando con le pubbliche amministrazioni, tuttavia, complice anche la crisi, sono state poche e non hanno dato risultati apprezzabili. Anche se c’è una Regione, l’Umbria, che ha approvato un protocollo di intesa (Regione, Province, Comuni, Ordine, Sindacato) per la selezione dei giornalisti, la definizione del loro profilo professionale all’interno degli uffici stampa e l’applicazione del contratto giornalistico.

Sindacato e Ordine si muovano.
Iniziative apprezzabili, rimaste però in gran parte sulla carta. Per questo c’è la necessità di rilanciare una battaglia che è anzitutto di civiltà e moralità pubblica soprattutto in questo periodo di crisi, contro ogni “concorsopoli”. I colleghi che sono disposti a sostenerla si facciano avanti. Il Sindacato e l’Ordine dei giornalisti li ascoltino, li organizzino e rilancino l’iniziativa su questo tema.

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