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venerdì 30 novembre 2018

Aiuto, ho smarrito lo smartphone, sono perso! Quando la tecnologia invece di liberarci ci rende schiavi

Oggi avevo perso il cellulare. L’ho ritrovato dopo un paio d’ore di panico, dal gommista dove l’avevo lasciato. Assieme al sollievo mi è venuta una riflessione, probabilmente banale, sicuramente amara. Per quelle due ore mi sono sentito ostaggio, quasi schiavo di quella tecnologia che da qualche anno tutti ci portiamo in tasca. Le vecchie agende telefoniche cartacee ormai sono un ricordo. Una rarità i telefoni fissi o a gettoni da cui poter chiamare. Sono andato di persona ma il gommista intanto aveva chiuso bottega. Il suo numero di cellulare era memorizzato nel mio cellulare. Per fortuna una impiegata gentile di un'officina vicina aveva quel numero e mi fatto fare la telefonata dal suo ufficio.

Trovato l'egofono, come lo chiama Michele Serra. Ce l'ho di nuovo in tasca. Ma in testa resta questa brutta sensazione: che se un giorno dovessi rimanere senza smartphone e computer; se un giorno questo mondo digitale, iper tecnologico e sempre connesso per un qualsiasi motivo dovesse andare in tilt, tu non sapresti più che fare: come comunicare, come e dove ritrovare i tuoi contatti, le tue password, i tuoi ricordi; come arrivare a destinazione senza il navigatore e come accendere un fuoco e farti due spaghetti senza le istruzioni di Google. Di più: rimane la sensazione non di aver perso un oggetto, bensì un bel pezzo della tua vita.

È mai possibile - mi sono chiesto - che se uno perde, o gli si rompe, o gli rubano lo smartphone o il pc si debba sentire depredato della sua vita? C’è qualcosa che tocca in questa modernità. Qualcosa che non va al servizio degli umani in questa overdose di tecnologia di facile consumo. Qualcosa di malato in questo mondo che va sempre più di corsa, che è sempre più connesso, in rete, ma dove - paradossalmente - si perde la memoria, il sapere del vivere quotidiano. Qualcosa di perverso se basta consultare Google per fare i ministri, se basta padroneggiare i social per diventare vice presidenti del Consiglio, e se probabilmente basterà dominare la rete per diventare dittatori.

Senza parlare - tornando terra a terra - della nostra privacy che consegniamo a questi malefici egofoni. Dati personali, dati sensibili, foto, video, relazioni, gusti, intimità: tutto mettiamo lì dentro; tutto a disposizione dei grandi motori di ricerca. Provate a fare una ricerca - ad esempio di una casa, di un lavoro, di un corso - dal vostro cell o pc. Da subito, ad ogni pagina web che aprirete, su qualsiasi giornale on line, via Sms, WhatsApp, Messenger, vi compariranno offerte di tutto e di più su ciò che avete cercato; e se avete messo in rete anche il vostro cell (e se non l'avete fatto voi, ci pensano loro a trovarlo), vi arriveranno telefonate a go-go dai call center: offerte sempre più mirate, sempre più vicine a voi e alle vostre esigenze, sempre più insistenti e accattivanti.

Siamo diventati tanti piccoli denti di questo mostruoso ingranaggio consumistico; ostaggi più o meno consapevoli del grande marketing globalizzato. Poi senti Trump che incita gli americani al boicottaggio di Huawey perché con quegli smartphone a poco prezzo i cinesi li spiano: vogliono essere i soli a farlo, con i loro carissimi IPhone e i loro giganti del web. Però se fai una qualsiasi pratica, vai in banca o compri un cellulare nuovo, ti fanno mettere firme a ripetizione, su malloppi di fogli di carta, per le autorizzazioni sulla privacy; moduli in cui il diniego è solo formale, che se anche lo metti è ininfluente, come la cancellazione del tuo numero dai tabulati delle aziende che si servono dei call center. Questo mentre la politica continua a varare inutili e spesso ridicole leggi a tutela della privacy.

Fine del pippone. Comunque ho deciso: da oggi riprendo in mano le mie vecchie agende telefoniche cartacee e le aggiorno, mi salvo le mie cose private in una chiavetta poi le cancello dallo smatphone e dal pc, poi mi iscrivo a un corso di sopravvivenza.

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