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martedì 26 giugno 2018

La disfatta elettorale della sinistra che non sa più fare la sinistra

I risultati parlano chiaro: vincono la Lega e la destra in tutte le sue sfumature, si confermano tra luci e ombre i Cinquestelle, crolla definitivamente il Pd, scompare la sinistra, cala ulteriormente la partecipazione al voto, scesa ormai stabilmente a livelli americani. Le urne dicono anche che l'alleanza Lega-Cinquestelle piace agli elettori e funziona, non è solo un matrimonio d'interessi, risponde a un desiderio - per quanto disperato e velleitario - di cambiamento e protezione, di fatti concreti e non di parole. Perché ovunque, da Nord a Sud passando per le ex regioni rosse, la gente non ne può più di una situazione socio-economica in continuo degrado, di una politica dove non si capisce cos'è la destra e cos'è la sinistra, delle vecchie classi dirigenti inamovibili e dei loro partiti e partitini. Ma il clamoroso successo della Lega di Salvini ci dice anche, purtroppo, che parlare alla pancia della gente, essere populisti, cavalcare gli istinti peggiori del nostro popolo, aizzare la guerra tra poveri e ai "diversi", teorizzare il sovranismo e il celodurismo dell'uomo forte al comando che ci libera dalle paure e dalle ansie gridando "prima gli italiani", è una strategia che paga e viene premiata dagli elettori. Anche se semina divisione, intolleranza, odio e non può non preoccupare chi, ripensando alla nostra storia recente, vede in questa escalation le impressionanti analogie con gli anni Venti del secolo scorso, che ci portarono dove sappiamo. Tanto più se si osserva quel che sta accadendo in Europa e negli Stati Uniti. Non c'è da stare allegri.

I giornali titolano sullo "sprofondo rosso", sulla caduta degli ultimi fortini della sinistra in Toscana ed Emilia-Romagna: Siena, Pisa, Massa, Imola. Alle quali si devono aggiungere Terni, Ivrea e altre ex città operaie. Ma sono titoli fuorvianti. Di rosso, nelle ex regioni rosse e nelle ex roccaforti rosse, da tempo c'è rimasto ben poco. In generale, la crisi della sinistra nasce da lontano, da quando ha progressivamente smesso di stare dalla parte dei più deboli, dei poveri, dei lavoratori, dei giovani; da quando ha deciso che per stare al potere doveva spostarsi al centro (fino a far eleggere trionfalmente alle primarie un segretario che con la sinistra non c'entra niente) e invece di fare la sinistra si è messa a fare il volto gentile e umano della destra, ma con le stesse politiche liberiste (il precariato è nato con le riforme Treu-Prodi, per poi arrivare al culmine col Job's act). Renzi ci ha messo del suo per liquidare "i comunisti" e l'ala sinistra del Pd. Ma quelli della "ditta" (Bersani, D'Alema e Co.) hanno enormi responsabilità nel non aver saputo indicare - quando erano al potere - una linea politica convincente, di cambiamento in senso più popolare e radical-socialista (alla Sanders o alla Corbyn, per intenderci), per poi non vincere malamente le elezioni del 2013 (con Bersani che diceva: vogliamo vincere, ma poco poco) e infine farsi scalare il partito dal "nientalista" di Rignano (cit. Crozza) che si è dimostrato incapace di guidare un partito plurale, di dare voce e rappresentanza a tutte le diverse anime del centrosinistra, per poi lanciarsi con le sue riforme liberiste "de' noantri" alla illusoria conquista dei voti di Berlusconi e dei moderati.

Parallelamente, nelle regioni e nelle città le amministrazioni di sinistra hanno progressivamente perso contatto con il loro tradizionale blocco sociale ed elettorato popolare, attuando politiche più vicine ai ceti benestanti, agli abitanti dei centri storici, ai diversi centri di potere economico, alle élite sociali e culturali. Sia per la mancanza di nuovo e adeguato personale politico, di sindaci e presidenti all'altezza delle nuove sfide, sia per i progressivi tagli di spesa a Comuni, Province e Regioni, le giunte locali hanno perso gran parte delle caratteristiche che dal dopoguerra in poi le avevano fatte diventare modelli di buongoverno. Hanno smesso di aprire asili pubblici, di mantenere decentemente scuole e strade, di far funzionare bene gli ospedali, i servizi sociali e culturali, le municipalizzate, i trasporti. Infine, non sono state più capaci di ascoltare i cittadini e di occuparsi adeguatamente dei loro problemi, dei territori, della qualità della vita nelle periferie, della lotta al degrado urbano, della sicurezza.

Così, in un mondo sempre più in bilico tra pace e guerra, in un'Europa dove tornano prepotentemente alla ribalta gli egoismi nazionalisti, in un'Italia che continua a camminare pericolosamente sull'orlo del baratro, nella realtà virtuale dei social e dei "bar sport dei cretini" (cit. Umberto Eco) che spesso allontanano le persone invece di avvicinarle, che predicano l'odio più della solidarietà, la sinistra ha perso il suo popolo. Le prime avvisaglie del "distacco sentimentale" nelle regioni rosse c'erano state già vent'anni fa con la caduta delle città simbolo di Parma e Bologna. Da allora il fossato si è via via allargato, fino ad arrivare al 37% di votanti alle regionali del 2014 in Emilia-Romagna. La salita al governo del Pd e l'avvento al potere di Renzi hanno messo il sigillo definitivo alla crisi. Con lo "storytelling" sul Paese che va, con le riforme "di sinistra" che però colpiscono i giovani, i diritti sul lavoro, i salari, la scuola, i territori, con il maldestro tentativo di riformare la Costituzione, coniugati con l'arroganza divisiva e la natura centrista del leader, hanno portato a rendere voto-repellente il Pd.


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