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lunedì 25 giugno 2018

In uscita il mio libro sulla strage dimenticata di Casale di Brisighella



Me lo disse per la prima volta mia madre, una ventina di anni fa. Era la prima volta che ne parlava. E man mano che avanzava nel racconto le si chiudeva la gola e le se inumidivano gli occhi: "I tedeschi arrivarono urlando, cattivi, guidati dai fascisti. Entrarono in casa, rovistarono dappertutto, rubarono quel poco che c'era nella dispensa. Poi presero mio babbo che era già anziano, lo picchiarono e lo portarono via. Dicevano: voi amici dei partigiani, kaputt, kaputt... La sera dopo sentimmo delle raffiche di mitra giù in fondo alla valle, pensammo che l'avessero fucilato... Al mattino scendemmo in paese, ai bordi della strada c'erano cinque cadaveri, tutti giovani. I fascisti li deridevano, poi ci costrinsero a scavalcare i corpi. Ricordo le mosche che si posavano sui loro visi, il sangue rappreso..".

E' una costante dei ricordi dell'orrore. Chi ha vissuto quei momenti sulla propria pelle, quasi sempre se li tiene dentro. Ho conosciuto un sopravvissuto di Auschwitz, Armando Gasiani, che per 25 anni è stato in silenzio con tutti, anche con sua moglie. Poi ha visto "La vita è bella" di Roberto Benigni e si è sbloccato: da allora porta in tutte le scuole la sua testimonianza, trasmette la memoria ai ragazzi "perché non accada mai più". Mia madre aveva 15 anni in quell'inizio di agosto del 1944. Abitava in una casa nella valle di Tura, nei monti sopra l'abitato di Casale, nel comune di Brisighella, ai confini tra Romagna e Toscana. Una zona "rossa", chiamata "piccola Urss", dove già all'inizio del secolo scorso e fino agli anni Venti, prima che il Fascismo prendesse il potere e sospendesse tutte le libertà, le elezioni le vincevano regolarmente i comunisti. Una valle di famiglie antifasciste, che davano aiuto e supporto logistico alla Resistenza, dove tre mesi prima, il 23 aprile 1944, era stato assassinato dallo spietato brigatista nero "Pirtò" il professor Renato Emaldi, un intellettuale borghese di Fusignano diventato comunista, ricercato dai fascisti, che il Pci aveva mandato su quei monti per convincere i giovani e organizzare le prime formazioni della lotta partigiana, e che in una delle case della Valle, il "Casone", aveva trovato riparo.

La sera del 2 agosto sulla statale "Brisighellese" i partigiani di Palì, che comandava il Distaccamento Celso Strocchi in appoggio alla 36esima Brigata Garibaldi, avevano compiuto un attentato contro una camionetta tedesca, un ufficiale era rimasto ucciso. Il giorno dopo scattò la rappresaglia nazi-fascista nelle valli circostanti, arrestarono una trentina di maschi, tutti contadini anziani, saccheggiarono le loro case portando via viveri e animali, due le incendiarono. Subito volevano fucilarli tutti, per "dare l'esempio", per stroncare sul nascere il sostegno della popolazione alla lotta partigiana. Come avevano fatto qualche settimana prima a Crespino, sull'Appennino (44 civili trucidati, tra cui diverse donne, due ragazzini, il prete). Come avrebbero fatto da lì a poco, molto più in grande, con le orrende stragi di Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema. Poi accadde qualcosa di imprevisto, ci fu una successione rapidissima di eventi e colpi di scena: i capi locali del Fascio indirizzarono la rappresaglia contro cinque "traditori" brisighellesi eccellenti - tra cui un generale, un colonnello e un conte - che avevano osato criticare il Duce e sostenere Badoglio; ma l'intervento di una contessa amica del feldmaresciallo Kesselring e del comandante del presidio tedesco della provincia di Ravenna salvò loro la vita; al loro posto, e al posto dei contadini delle valli di Casale, finirono davanti al plotone di esecuzione cinque ignari giovani detenuti nel carcere delle SS a Forlì, etichettati come "ribelli comunisti". Che poi furono gettati in una fossa comune e dimenticati da tutti.

Di quell'eccidio si era persa la memoria. Forse perché le vittime non erano del luogo. Forse perché nessuno aveva voglia di ricordare quei fatti che sconvolsero la vita delle famiglie delle valli di Casale. Fatto sta che fino a pochi anni fa dell'accaduto si sapeva ben poco. Due righe in un resoconto ufficiale tedesco, qualche brano di diario e qualche ricordo, spesso vago, trasmesso dai più vecchi. Una piccola via intitolata ai "Martiri di Casale". Niente di più. Io ne avevo scritto, riportando la testimonianza di mia madre, nel mio primo libro, "Arriverà quel giorno... Lettere dal fronte e dai campi di prigionia" (Pendragon, 2000). Ma mi era rimasta la curiosità e anche il desiderio di riparare al torto di quella "dimenticanza".

Così, con l'aiuto di due brave volontarie dell'Anpi - Luciana Laghi e Tiziana Montanari - ho ripreso le ricerche, scoprendo dettagli e verità nascoste. Il primo frutto di questo lavoro è arrivato il 5 agosto dello scorso anno, quando, per iniziativa dell'Anpi, dei Comuni interessati e della Chiesa, c'è stata l'inaugurazione di una stele (realizzata dall'artista Mirta Carroli) e la prima commemorazione ufficiale in memoria dei caduti. Luciana e Tiziana hanno recuperato l'identità di due delle cinque vittime, io ne ho raccontato le storie: uno era un ragazzo di 25 anni di Forlì, invalido civile; l'altro un 36enne di Prato, padre di tre figli; entrambi non c'entravano nulla con la Resistenza, vennero arrestati per strada, trasformati per caso in "ribelli comunisti". Le altre tre vittime, invece, 74 anni dopo, sono ancora sconosciute. 

Su tutta la vicenda ho quindi scritto un libro, "L'eccidio dei martiri senza nome - La strage dimenticata di Casale di Brisighella: storia, testimonianze e verità nascoste", edito da Pendragon, con la prefazione della storica Dianella Gagliani e la post-fazione della segretaria regionale dell'Anpi, Anna Cocchi. Il libro ricostruisce per intero gli avvenimenti, in gran parte sconosciuti, di quei giorni, riporta le testimonianze di chi c'era, racconta le storie personali e famigliari dei martiri conosciuti, la resa dei conti che scattò tra i capi locali del fascio e i "traditori del Duce", i processi che si celebrarono a fine guerra alla Corte d'Assise Straordinaria di Ravenna, le sentenze di condanna e il successivo, rapido ritorno in libertà dei complici fascisti dell'eccidio tedesco. Un lavoro che vuole, soprattutto, restituire un pezzetto di memoria alle famiglie dei morti e alle loro comunità. Nella speranza che serva a stimolare altre ricerche per dare un nome anche alle altre tre vittime ancora ignote. 

Il libro sarà disponibile, in anteprima, alla cerimonia di commemorazione che si terrà il 5 agosto prossimo a Casale di Brisighella. Da settembre sarà nelle librerie. Seguiranno presentazioni.

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