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mercoledì 28 febbraio 2018

Il 4 marzo, il Paese reale e noi elettori di sinistra: quel che la politica non dice

Dimentichiamoci per un attimo dei talk show, della politica virtuale e delle sparate elettorali. Proviamo a vederla dalla parte del Paese reale e di noi elettori di sinistra.

Il quadro è desolante. Si respira un'aria di distacco, rassegnazione e sfiducia crescente nella politica. La mediocrità della classe dirigente di tutti i partiti, a partire dai leader, è disarmante. Renzi ha perso la sua spinta propulsiva e sembra diventato voto-repellente. Berlusconi è cotto, una figura pietrificata e imbarazzante. Salvini è il nuovo fascismo: vangelo, rosario e manganello. Di Maio è tale e quale il replicante Dima Ios di Crozza: un robot programmato al computer. I padri (e le madri) nobili della politica italiana degli ultimi decenni ridotti tristemente ai margini: Prodi che sostiene una lista dell'1%, Bonino che si appiglia a Tabacci per riportare i radicali in Parlamento, Bersani e D'Alema che per rilanciare la sinistra si affidano a Grasso, Fratoianni e Civati. 

Ovunque si guardi, non si vede un progetto credibile, un'idea davvero convincente di Paese, un'utopia da inseguire. La campagna elettorale è solo "contro": contro gli immigrati soprattutto, poi contro l'Europa, contro le tasse, contro la legge Fornero; e anche contro quelli che dovrebbero essere i vicini di casa: Renzi contro D'Alema (e viceversa), Salvini contro Berlusconi (e viceversa), Di Maio contro i suoi candidati "impresentabili" e sembra pure contro Grillo. 

La legge elettorale, poi, è la ciliegina sulla torta. Con il divieto del voto disgiunto costringe gli elettori a votare per liste e candidati di coalizioni innaturali, spesso lontane dalla propria appartenenza politica e dal proprio sentire (il caso di Casini candidato per il Pd a Bologna è il più clamoroso). Con i listini bloccati toglie agli elettori la possibilità di scelta delle persone da votare. Con il ritorno all'impianto sostanzialmente proporzionale, drogato però dalle coalizioni di collegio in chiave anti-grillina, porterà quasi certamente a maggioranze impossibili e all'ingovernabilità. 

Se va come dicono i sondaggi, l'elettore andrà a votare sapendo che il suo voto conterà poco o nulla. Che, nella migliore delle ipotesi, gli schieramenti che si sono combattuti in campagna elettorale si metteranno d'accordo dopo il 4 marzo (grande coalizione, governo istituzionale o del presidente). Oppure che, nella peggiore, si dovrà tornare presto alle urne con una nuova legge elettorale: una bella beffa per chi fino all'altro ieri si sentiva dire che la notte delle elezioni si sarebbe saputo chi aveva vinto e chi avrebbe governato per i prossimi cinque anni. 

Sempre che l'ondata populista e xenofoba che spira in Italia e in Europa non regali alle destre coalizzate il 40% dei consensi e la maggioranza assoluta sei seggi in Parlamento, che sarebbe un disastro per il Paese e il secondo incredibile autogol (dopo quello del referendum costituzionale) di Renzi e del governo Gentiloni che ha imposto a colpi di fiducia il Rosatellum proprio per arginare i populisti e la destra; salvo poi che la coalizione potenzialmente vincente l'ha fatta la destra, mentre a sostegno del centrosinistra sono rimaste solo alcune artificiose liste civetta.

La fiera degli errori dell'ex "enfant prodige" della politica italiana (passato in un lampo dalla rottamazione al "tafazzismo", che è prerogativa della sinistra), andrà a ingrossare il partito dell'astensione, che sarà certamente il primo partito alle elezioni del 4 marzo. Un calo consistente dei votanti potrà forse attenuare il prevedibile crollo del Partito democratico e della mini-coalizione di centrosinistra, all'interno della quale è probabile un risultato sopra al 3% della lista Bonino (scelta dai radical chic che non ce la fanno a votare Renzi ma non vogliono voltare le spalle al Pd). Ma un risultato dei democratici sotto al 25% del Pd di Bersani (a quell'altezza è stata mestamente fissata l'asticella della "non sconfitta" dopo l'ubriacatura del 41% alle europee e della vocazione maggioritaria) sarebbe un'altra sonora bocciatura per Renzi. E anche se il Pd di oggi è Renzi e il segretario ha già detto che non ne mollerà la guida in caso di sconfitta, è difficile immaginare che con un simile risultato possa restare in sella, sopratutto se non ci saranno i numeri per l'inciucio con Berlusconi e i centristi per cui si dovrà a tornare a votare. Vanificando, in tal caso, anche il riequilibrio della rappresentanza politica in Parlamento della parte proporzionale del Rosatellum.

Se Atene piange Sparta non ride. A meno di clamorose sorprese, la lista di Liberi e Uguali sembra infatti avviata a un risultato modesto: difficile immaginare che LeU al 5-7% possa riequilibrare i rapporti di forza nel centrosinistra e aprire la strada a un nuovo corso del Pd, più spostato a sinistra, nel segno dell'Ulivo, che rimane il grande assente sempre rimpianto dagli elettori del nostro campo. Difficile anche che l'antipolitica continui a far lievitare i Cinquestelle, che probabilmente pagheranno gli scivoloni sui rimborsi e le candidature e che, soprattutto, con la leadership di Di Maio assomigliano sempre più agli odiati partiti: perciò è prevedibile che avranno un buon risultato ma inferiore alle attese. A essere premiati potrebbero essere invece le destre e in particolare quelle di Salvini e Meloni appoggiate dai neofascisti di CasaPound e Forza Nuova. I frutti inquietanti della loro politica che parla alle pance e agli istinti peggiori degli italiani si sono già visti a Macerata, ma cavalcano un sentimento e una paura diffusi, anche negli strati più popolari e di sinistra.

Questa, ahinoi, è la prospettiva che gli elettori di sinistra e il Paese reale hanno davanti. Non c'è da stare allegri. Dopo il 4 marzo ci aspetta un'Italia divisa, inquieta, incattivita, con una situazione politica confusa, i conti sempre in disordine, meno welfare, più precariato e una società che ribolle. Votiamo dove ci porta il cuore, sperando che nel nuovo Parlamento ci sia un po' più di rosso. E incrociamo le dita.

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