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mercoledì 30 dicembre 2015

Renzi, l'Ordine dei giornalisti e la libertà di informazione

Ormai l’organizzazione e la partecipazione alla conferenza stampa di fine anno col Presidente del Consiglio è rimasta una delle poche e ultime prerogative dell’Ordine dei giornalisti. Quest’anno, al presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, che denunciava lo “sfruttamento” e lo stato di “schiavitù” in cui versano migliaia di colleghi freelance pagati mediamente (almeno nel Nord-Est del Paese, dove sono stati raccolti dati in proposito) 300 euro netti al mese per fare i giornalisti, il premier Matteo Renzi ha risposto “a brutto muso” che in Italia “la schiavitù non esiste”, che i problemi dell’informazione sono altri (i giornalisti minacciati e uccisi, ad esempio) e che in ogni caso, fosse per lui, l’Ordine dei giornalisti lo abolirebbe “domani mattina”.

L’avversione di Renzi per l’informazione fuori dal coro

Non è stato un bel siparietto. Non tanto perché l’Ordine abbia fatto molto per non meritarsi quell’affondo, anzi: ormai l’ente che dovrebbe governare i giornalisti italiani è un vecchio arnese sostanzialmente inutile, molto dispendioso e irriformabile. Ma perché l’affermazione stizzita di Renzi si inserisce in un contesto di avversione crescente per l’informazione “fuori dal coro”, quella che non osanna abbastanza l’operato suo e del suo governo, o che lui considera addirittura ostile, al pari degli ormai famigerati “gufi”. Un’avversione che era cominciata con l’attacco ai talk-show non graditi (Ballarò, Di Martedì), per poi proseguire alla Leopolda con quello stupido “giochino” del tiro a bersaglio sui titoli dei giornali considerati più “nemici” (Il Fatto Quotidiano, Libero) e sfociare nell’attacco a Iacopino e al suo Ordine alla vigilia di Capodanno.

L’Ordine ormai irriformabile che sopravvive a tutto

A farlo fuori, negli anni, ci hanno provato un po’ tutti, dai radicali a Berlusconi e Grillo, ma l’Ordine è ancora lì, ancorato a una legge del secolo scorso e del tutto inadeguata all’evoluzione e ai profondi cambiamenti che l’informazione e il ruolo del giornalista hanno avuto negli ultimi decenni. E’ un Ordine ormai svuotato di gran parte delle sue funzioni (tolta la deontologia, affidata dalla riforma Severino ai Consigli di disciplina, all’Ordine restano la tenuta degli Albi e la gestione del contestato aggiornamento professionale dei colleghi), ancora incredibilmente diviso tra pubblicisti e professionisti , dove i primi sono più dei secondi e, per via di una legge elettorale demenziale, riescono regolarmente a fare eleggere il presidente nazionale e a condizionare il governo dell’Ente (l’unico caso di un Ordine professionale dove comandano i non professionisti, e dove i professionisti di altri Ordini, come gli avvocati e i medici, hanno libero accesso alle elezioni e ai posti di comando della nostra categoria), con un Consiglio nazionale “carrozzone” di oltre 150 membri che ogni volta che si riunisce costa centomila euro al giorno delle nostre quote annuali di iscrizione. Un Ordine da sempre in guerra col sindacato senza che si capisca il perché (anche se è difficile stabilire chi sta combinato peggio dei due) e che , così com’è e se non verrà radicalmente riformato, ormai non serve più a regolare e tutelare la professione.

Il promemoria del sindacato e la libertà di informazione

In questo contesto, il sindacato dei giornalisti - Fnsi e Usigrai in testa - ha comunque colto l’occasione della conferenza stampa di fine anno, conclusa con l’auspicio del premier di "un 2016 all'insegna della libertà di informazione”, per suggerire a Renzi un “promemoria per le sue prossime slide”. Il promemoria si compone di 5 richieste: una norma contro le querele temerarie;
una legge sulla diffamazione che abolisca il carcere e renda effettivo il diritto dei cittadini a essere informati; nuove regole per regolare finalmente i conflitti di interessi; la riforma radicale dell'Ordine dei giornalisti; la riforma complessiva del Servizio pubblico radiotelevisivo. Manca in questo elenco la questione intercettazioni, che fa il paio con la riforma Rai: due riforme che più che andare a rafforzare la libertà di informazione e il diritto dei cittadini a essere correttamente informati, sembrano rafforzare il potere di controllo e condizionamento del governo. Ma forse è solo l’ennesima uscita di un giornalista “gufo”, buona per la prossima slide.

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