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martedì 11 novembre 2014

L'Emilia-Romagna, le spese facili e il fallimento di una classe politica

Si fa presto a dire “i partiti non sono tutti uguali”. Poi si va a leggere gli articoli sugli avvisi di fine indagine che preludono alle richieste di rinvio a giudizio in Emilia-Romagna e si scopre che dentro ci sono tutti: democratici, cattolici di sinistra centro e destra, berlusconiani e dipietristi, ex fascisti ed ex comunisti, perfino i moralisti grillini.

Piacerebbe poter dire “i politici non sono tutti uguali”. Ma se si scorre la lista degli indagati si vede che sono coinvolti ben 41 consiglieri regionali su 49 (più uno che nel frattempo è deceduto) di tutti i gruppi.

Si vorrebbe che “le Regioni non fossero tutte uguali”. Però se si fa il riepilogo delle inchieste si scopre che sono 17 su 20 quelle finite nell’occhio del ciclone per le “spese facili”.

Si spererebbe, almeno, di poter fare distinzioni sulle spese fatte dai consiglieri regionali con i soldi pubblici, tra chi, semmai, non ha documentato a dovere un viaggio, un pranzo di lavoro al ristorante, o ha considerato in buona fede “attività politico-istituzionale rimborsabile” i costi per la partecipazione a un convegno.

Il bestiario delle spese facili con i soldi pubblici.
Invece la natura di quelle spese contestate appare più o meno la stessa a tutte le latitudini geografiche e politiche: consulenze agli amici di partito e in qualche caso a figli e parenti, viaggi e soggiorni con le segretarie-amanti in hotel per i convegni in qualche città d’arte o luogo di vacanza, pranzi riservati in ristoranti alla moda dove si pagavano 150-200 euro a cranio, tavolate per decine di militanti in trattoria, rimborsi chilometrici per viaggi inesistenti o per finte residenze lontane dall’Assemblea legislativa.

Certo, in Emilia-Romagna non si è arrivati come nel Lazio alle performance di Batman-Fiorito che con i soldi pubblici si era fatto il Suv per muoversi meglio nella neve, o alle feste con i consiglieri travestiti da maiali. Ma non sono mancate le partecipazioni a convegni con accluso “servizio limousine” del capogruppo Pd, i gioielli di Tiffany regalati dal capogruppo Pdl alle segretarie per Natale, le cene di beneficienza “offerte” dalla consigliera Udc poi messe in nota spese, i 30 megafoni acquistati dai Cinquestelle e addebitati alla Regione come “spesa istituzionale”, le interviste televisive a pagamento di tutti i gruppi, per arrivare alle amenità (la tutina da bebè regalata alla collega incinta o i 50 centesimi per la pipì ai bagni pubblici messi a rimborso) e all’ultima, pruriginosa notizia del “sex toy” che sarebbe stato acquistato da una consigliera del Pd, che però ha smentito segnatamente.

Il tutto per un ammontare di 2 milioni e 80 mila euro di soldi pubblici che secondo la Procura di Bologna sarebbero stati spesi illecitamente nei 18 mesi presi in esame dall’inchiesta, tra giugno 2010 e dicembre 2011.

Delegittimata un’intera classe politica
Naturalmente spetterà ai giudici stabilire se quelle “spese facili” costituiscano o no reato, decidere se processare ed eventualmente condannare i 41 consiglieri regionali indagati dell’Emilia-Romagna e gli oltre 500 indagati per peculato, falso e truffa in tutta Italia. Ma quel che è ormai evidente a tutti, tranne a chi ancora non ha tolto il paraocchi, è che una intera classe politica nell’ultimo ventennio ha lavorato per sé più che per il Paese o la Regione di cui doveva essere al servizio. Si è data gli stipendi più alti d’Europa, i vitalizi a 50 anni, i benefit più sfacciati. Ha usato lo Stato come una mucca da mungere, i soldi pubblici per spese spesso privatissime o, nella migliore delle ipotesi, per quelle di partito. Una classe politica non all’altezza dell’eredità dei padri, di mediocri, spesso di nominati o miracolati più che di eletti, lontana dalla vita reale e dai cittadini. Questi, e non altri, sono i motivi per cui la politica è caduta così in basso nell’opinione pubblica, perché il popolo non ha più fiducia nei partiti e gli elettori disertano le urne.

Onore a chi non è coinvolto, ma sistema da rifondare
Non resta che rendere onore ai 7 consiglieri del Pd che mancano all’appello degli indagati in Emilia-Romagna: il governatore dimissionario Vasco Errani, che però è stato condannato in appello per falso ideologico per un finanziamento regionale irregolare alla cooperativa presieduta dal fratello; il candidato alla sua successione, Stefano Bonaccini, che può accendere un cero alla magistratura che l’ha scagionato alla vigilia delle primarie del Pd e gli ha tolto di mezzo il suo principale competitor, Matteo Richetti, detto il JFK di Fiorano, ex braccio destro di Renzi ed ex presidente moralizzatore dell’Assemblea legislativa, finito pure lui nel fango dell’inchiesta per 5mila euro di spese non pertinenti tra cui un soggiorno per due con la moglie sulle rive del Garda; la presidente uscente dell’Assemblea, Palma Costi e i consiglieri Roberta Mori, Luciana Serri, Giuseppe Paruolo e Tiziano Alessandrini. Onore pure alla ex presidente dell’Assemblea, Monica Donini (Federazione della sinistra), e all’ex presidente dell’Arcigay, Franco Grillini (ex Idv ora Gruppo misto). E onore, infine, alle tre Regioni finora escluse dalle inchieste: Puglia, Toscana e Veneto.

Anche se per gli uni e per le altre rimane il dubbio che non sia stata la moralità e l’etica dei comportamenti la ragione del perché finora l’hanno sfangata. Ragione che, più verosimilmente, va ricercata nelle diverse sensibilità e tempistiche della magistratura inquirente.

Le colpe delle Regioni e il rischio astensione in Emilia-Romagna
Perché è chiaro che è il sistema a essere malato. Quel sistema germogliato negli anni dello yuppismo craxiano, della “Milano da bere” e delle “cricche romane”, e lievitato negli anni del berlusconismo. Un sistema, bisogna pur dirlo, in cui le Regioni sono state terreno fertile per l’espansione della malapianta dei privilegi di casta e dello spreco. Anche per questo nell’ex Emilia-Romagna “rossa” - esempio di civismo passione politica e buon governo – è facile prevedere una ulteriore impennata dell’astensionismo al voto delle regionali del 23 novembre prossimo, già assai temuto prima degli sviluppi dell'inchiesta.

Perché, che le “spese facili” siano state reati o solo discutibili “leggerezze”, c’è comunque uno spirito di servizio, un senso dello Stato e un rispetto per le istituzioni e le comunità dei cittadini che si è perso anche da queste parti, e che è tutto da ricostruire se si vuole ridare credibilità alla politica, ai partiti, al “sistema”.

E per combattere la malapolitica non c’è che la buona politica. Che significa, in primis, politici credibili e abolizione di ogni privilegio. Proprio quello che, purtroppo, ancora non si vede.









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