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giovedì 16 ottobre 2014

I 60 anni del Mulino: da culla e pensatoio dell'Ulivo al nuovo corso renziano

Il Mulino compie 60 anni e li festeggia con una due giorni a Bologna, venerdì 17 e sabato 18 ottobre. In programma quattro grandi appuntamenti: un workshop sul mondo universitario, un convegno sulla scuola, un incontro con gli studenti delle scuole superiori e la “lectio magistralis” del governatore di BankItalia, Ignazio Visco (sabato nell’Aula magna dell’Università in Santa Lucia) dal titolo di una canzone di Bob Dylan di 50 anni fa, “Perché i tempi stanno cambiando”, a simboleggiare che “bisogna attrezzarsi al cambiamento per cogliere le nuove opportunità e non solo i rischi".

Gli appuntamenti questa volta non sono come al solito nella storica sede dell’Associazione, della Casa editrice e della rivista Il Mulino, in Strada Maggiore 37, ma in diversi luoghi della città, tra la Sala Borsa, l’Archiginnasio e le principali librerie, a testimoniare la volontà di promuovere all’esterno la propria attività culturale.

Tra i protagonisti ci sarà Romano Prodi, che venerdì in San Domenico discuterà sul tema “chi governa il mondo?” con Sabino Cassese e Angelo Panebianco. Ma ci saranno anche, tra gli altri, Fabrizio Saccomanni, Lorenzo Bini Smaghi, Massimo Cacciari, Andrea Segrè, Andrea Cammelli, Carlo Galli, Valerio Onida e Gian Luigi Beccaria.

Uno slogan dal sapore renziano.
Filo conduttore delle varie iniziative uno slogan dal sapore renziano: “Futuro al presente”. Uno slogan forse rivelatore di un mutamento in atto anche al Mulino, che negli ultimi vent’anni è stato culla e pensatoio dell’Ulivo di Prodi, vale a dire dell’alleanza tra le diverse anime laiche e cattoliche del centrosinistra, mentre oggi sembra guardare con molto interesse alla “vocazione maggioritaria” del Partito democratico pigliatutto di Matteo Renzi.

Il Mulino rimane comunque un unicum nel panorama culturale italiano. Tutto cominciò con l’omonima rivista, nel 1951, a cui seguì nel 1954, per l’appunto 60 anni fa, la casa editrice nata con l’obiettivo di sprovincializzare la cultura umanistica italiana. Risale invece al 1965 la nascita dell’Associazione, cresciuta attorno alla rivista dove, nel 1976, arrivò come correttore di bozze Edmondo Berselli, che poi sarebbe diventato uno dei più importanti giornalisti e scrittori italiani e alla rivista sarebbe tornato come direttore editoriale dal 2002 al 2008.

Nel “cenacolo” del Mulino hanno girato molti studiosi e intellettuali legati dall’impegno civile: dagli stessi Onida e Visco al politologo lvo Diamanti, dal sociologo Bruno Manghi al filosofo Massimo Cacciari, dal politologo Michele Salvati al giornalista Gad Lerner. E dalle stanze di Strada Maggiore 37 è passato un bel pezzo della politica italiana del dopoguerra: da Prodi a Giuliano Amato, da Arturo Parisi al fondatore Luigi Pedrazzi, che così ricorda le origini: “Eravamo cattolici ma non democristiani, laici ma non laicisti, aspramente critici dell'Unione Sovietica ma non anticomunisti. Uno strano soggetto”. 


Il "laboratorio" bolognese del centrosinistra e dell'Ulivo.
Ma non c’era solo il Mulino. A completare il “laboratorio” bolognese c’erano l’Istituto Cattaneo (nato nel 1965 per iniziativa degli stessi intellettuali della rivista Il Mulino) e le società di studi economici Prometea (fondata da Beniamino Andreatta nel 1974) e Nomisma (fondata nel 1981 da un gruppo di economisti tra cui Prodi). Centri che sono stati fabbriche di talenti, di affermati economisti (da Franco Bernabè a Massimo Ponzellini, da Patrizio Bianchi a Filippo Taddei) e che hanno sfornato un discreto numero di ministri: da Nerio Nesi a Paolo De Castro, da Giorgio Ruffolo ad Alberto Clo, da Giulio Santagata a Piero Gnudi.

“Prodismo” e Ulivo sono nati in quel contesto. Anche se la definizione di “laboratorio del centrosinistra” sta stretta al Mulino, che è stato un prodigio di convivenza di culture politiche, personalità di spicco e appartenenze accademiche. In quel luogo si ritrovavano cattolici democratici come Pietro Scoppola e Andreatta, socialisti riformisti come Gino Giugni e Federico Mancini, intellettuali vicini al Pci come Gianfranco Pasquino e laici anche piuttosto anticomunisti come Nicola Matteucci e Angelo Panebianco.

L'intervista a Beniamino Andreatta che avviò l'alleanza tra ex Dc ed ex Pci.




Comunque sia, è nel cenacolo bolognese che nacque l’alleanza tra post-democristiani e post-comunisti, nella prima metà degli anni Novanta. Il muro di Berlino era caduto da poco. Tangentopoli aveva devastato la Dc, il Psi e alcuni partiti minori come il Psdi e il Pli. Solo il Pci si era parzialmente salvato dalle inchieste del pool milanese di “Mani Pulite”. Ma Achille Occhetto aveva fatto la “svolta della Bolognina” cambiando nome al partito.

Col Partito democratico della sinistra (Pds) aveva aggregato altre forze progressiste e varato la sua “meravigliosa macchina da guerra”. Ma le elezioni politiche del 1994 le vinse, a sorpresa, Silvio Berlusconi, che era da poco “sceso in campo” sdoganando gli ex fascisti e ricompattando il fronte del centrodestra, che è da sempre maggioritario in Italia. Pochi mesi dopo era arrivata la rottura con la Lega di Umberto Bossi, seguita dai forti contrasti tra Berlusconi e l’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro e del “famoso” avviso di garanzia (anticipato dal Corriere della Sera) al premier che a Napoli stava presiedendo una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata.

Beniamino Andreatta, che negli anni Sessanta in una storica conferenza all’università americana di Bologna “Johns Hopkins” aveva già schierato il Mulino in favore del centrosinistra (poi i sociologi americani avrebbero trovato nella rivista i loro divulgatori italiani; cosa che permise agli intellettuali cattolici, liberali e socialisti di confrontarsi senza le barriere imposte dalle ideologie del tempo e di dialogare con i comunisti), l’11 gennaio 1995 , quando era capogruppo dei popolari alla Camera, in una intervista a “l’Unità” apriva all’alleanza tra il Ppi e la sinistra. E il 2 febbraio 1995, al termi­ne di una riunione nel suo ufficio di Monte­citorio con Gio­vanni Bianchi e Nicola Mancino, annunciava la candidatura di Romano Prodi alla Presidenza del Consiglio. Pochi giorni dopo Prodi sciolse la ri­serva e accettò.

Il nuovo corso del Mulino: "E' cambiato il mondo" Oggi le cose sono cambiate. "E' cambiato il mondo", dice il politologo Piero Ignazi, che è stato uno dei tanti direttori illustri del Mulino. "Basta pensare allo sfondamento di Renzi in Emilia-Romagna, alla crisi del centrodestra e al mondo cooperativo, che oggi è diventato un gigante economico e finanziario con un peso fortissimo sulla politica, come dimostra la nomina del ministro Giuliano Poletti."

E anche se non segue certo le contingenze della politica, il Mulino ora guarda avanti, ad altri scenari, a un mondo che vede ovunque l’economia liberista in crisi, ma vede anche appannarsi la stella di Barak Obama, la crisi drammatica dei socialisti francesi e delle socialdemocrazie in Germania, Inghilterra e Scandinavia, dove Renzi appare come l’unico leader vincente nella sinistra europea. Se la sua sia la nuova sinistra o il ritorno del grande centro che fu con la Dc ancora non si sa.







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