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mercoledì 8 ottobre 2014

Giornalisti, l'Ordine nel caos dopo la riammissione dell'agente "Betulla"

L'Ordine dei giornalisti è nel caos. La decisione di reintegrare Renato Farina, alias “l’agente Betulla”, presa all’unanimità dal Consiglio regionale della Lombardia (assente il presidente, Gabriele Dossena) ha fatto scattare le indignate dimissioni del consigliere nazionale Carlo Bonini, inviato di Repubblica. Il suo “j’accuse” all’organo di autogoverno dei giornalisti guidato dal presidente Enzo Iacopino, trova parecchi consensi nella categoria: dal Comitato di redazione di Repubblica ai consiglieri dell’Ordine del Lazio, dai colleghi di Nuova Informazione e Autonomia e solidarietà, alla minoranza di Liberiamo l’informazione del Consiglio nazionale. 

E sembra aver avviato dimissioni a catena nell’Ordine: da quelle del consigliere della minoranza di sinistra, Pietro Suber, a quelle di Stefano Natoli, uno dei padri del regolamento sulla formazione professionale continua che dall’inizio di quest’anno è diventata obbligatoria (per legge) anche per i giornalisti. Con l’ex segretario nazionale, Giancarlo Ghirra, che arriva a prospettare l’abbandono dell’Ordine professionale, che è ormai governato dai pubblicisti, non difende più l’autonomia e la deontologia giornalistica, e sembra “irriformabile”, dal momento che per mantenere lo status quo si rinvia continuamente, da anni, la riforma della legge istitutiva che risale a mezzo secolo fa ed è diventata palesemente inadeguata.

La resurrezione dell’agente “Betulla”.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine aveva radiato Renato Farina nel 2007 in quanto collaboratore retribuito del Servizio segreto militare italiano, per l’appunto con il nome in codice "Betulla". Ma alla vigilia della sanzione disciplinare l’ex vice direttore di Libero si era cancellato dall’Albo, rendendo così vano il giudizio dei colleghi. Per questo motivo la Cassazione aveva poi annullato la delibera di radiazione. Dopo aver respinto una precedente richiesta di re-iscrizione, l’Ordine lombardo, il 3 settembre scorso, ha dato il via libera.

Bonini non ci sta. “Sette anni sono stati un tempo sufficiente a questo Ordine per trasformare la notte in giorno, la vergogna e il discredito in perdono e resurrezione”, scrive infatti il giornalista. Ma per il presidente Iacopino, “Bonini sbaglia bersaglio” e “sembra avere le idee confuse”. "Le critiche per il reintegro di Renato Farina infatti – sostiene Iacopino - vanno rivolte al Consiglio regionale della Lombardia, che ha preso la decisione, non al Consiglio nazionale". E Franco Abruzzo, ex presidente regionale dell’Ordine, sostiene che i consiglieri lombardi “non avevano altra strada che la riammissione, anche per evitare un processo penale a loro carico per abuso di ufficio e omissione di atti d’ufficio".

Il “j’accuse” di Bonini: “Il silenzio è dei complici”.
Scrive Bonini nella lettera inviata martedì 7 ottobre al presidente Iacopino e ai membri del Consiglio nazionale: “Farina ebbe tra i suoi ‘target’ spionistici anche il lavoro giornalistico per Repubblica del sottoscritto e di Giuseppe D'Avanzo. La sua riammissione all'Ordine oltraggia la memoria di D'Avanzo e quello che egli ha dato al giornalismo”. Per questo, continua “io, da oggi, separo la mia strada dalla vostra e rendo pubblica questa lettera. Perché nessuno, un giorno possa dire, 'non sapevo, 'non c'ero’, 'nessuno me lo ha detto’. Perché il silenzio è dei complici”.

L’inviato di Repubblica lancia poi una durissima accusa alla maggioranza del Consiglio nazionale dell’Ordine. “Un anno fa – scrive - ho accettato di candidarmi perché ero convinto, e resto convinto, che se si vogliono cambiare le cose, sia necessario mettersi in gioco, anche a rischio di perdere, perché nella sconfitta non c'è vergogna, se leale. Ritenevo di essere in compagnia di colleghi che, pur pensandola diversamente da me, con me condividessero i principi di questo mestiere. O, comunque, un orizzonte etico minimo. Che nulla è irriformabile. Mi sbagliavo. E non prenderne atto sarebbe un inganno. Sono consapevole di aver perso la mia battaglia qui dentro. E sono consapevole di lasciare un lavoro a metà. A cominciare da un progetto di Riforma dell'Ordine su cui mi ero impegnato".

Nel mirino anche il “caso” Lucianelli.
Nel mirino di Bonini e della minoranza che si richiama alle componenti “di sinistra”, c’è anche la nomina nella Commissione di esame per giornalisti professionisti di Giovanni Lucianelli, un altro giornalista al centro di controverse vicende. “Lucianelli ha un mentore professionale d'eccezione – scrive Bonini - l'ex senatore e pregiudicato Sergio De Gregorio, e una lunga storia professionale che definire opaca è un eufemismo".

D’accordo con Bonini l’altro consigliere nazionale dimissionario, Pietro Suber. “Tutti i tentativi di cambiamento dell’Ordine – scrive Suber - si sono frantumati contro un muro: quello dei tanti consiglieri che non solo vogliono difendere uno status quo indifendibile da qualsiasi punto di vista, ma che negano di fatto gli stessi principi fondanti dell'Ordine”. "La triste pantomima dei tentativi di riforma, tutti più o meno finiti nel nulla – continua Suber - la riammissione di Farina e il caso Lucianelli, sono solo gli ultimi punti di non ritorno. A questi si aggiunge la miopia di un Consiglio nazionale che continua ad arroccarsi dietro alcuni privilegi senza capire che la barca sta affondando e che ci siamo sopra tutti, professionisti e pubblicisti, garantiti e meno garantiti".

Le dimissioni di Natoli e la provocazione di Ghirra.
Intanto dal Comitato tecnico scientifico dell’Ordine di è dimesso Stefano Natoli, giornalista del Sole 24 Ore, pure lui della minoranza, che è stato uno dei principali artefici del regolamento sulla formazione professionale obbligatoria. Sostiene Natoli che nell’Ordine e nella categoria sull’obbligo formativo “c’è troppa demagogia a buon mercato, accompagnata da troppa colpevole disinformazione”. Tanto che “si vive la formazione come un fastidio e non come un’opportunità”.

Ma a far discutere è soprattutto la “provocazione” dell’ex segretario nazionale dell’Ordine, Giancarlo Ghirra, leader di Liberiamo l’informazione. “Questo Ordine non può andare avanti così – scrive Ghirra - noi ci siamo presentati alle elezioni con lo slogan 'o si cambia o si chiude', ma il presidente Iacopino non vuole cambiare, non spinge su alcuna riforma. La sua direzione, autoritaria e autocratica, spinge invece verso la chiusura. Così i giornalisti italiani perderanno uno strumento di autogoverno che avrebbe senso se fosse moderno, trasparente, democratico ma non può andare avanti con una gestione burocratica e un carrozzone di 144 consiglieri oltre ai dodici del Consiglio di disciplina”.

Per questo Ghirra si rivolge ai giornalisti e chiede loro se è il caso di rimanere in un Ordine “dove non si riesce a cambiare niente”, oppure se non è meglio “uscire e continuare a dare battaglia dall’esterno”. Dove al centro della battaglia, a quel punto, potrebbe esserci la proposta di soppressione dell’Ordine.



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