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giovedì 28 agosto 2014

Il dopo Errani nell'Emilia rossa che si è scoperta democristiana e la sfida tra i fratelli coltelli Bonaccini e Richetti


BOLOGNA. C’era una volta l’Emilia rossa, simbolo del comunismo riformatore all’italiana, della piccola e media imprenditoria privata e cooperativa che assicuravano sviluppo e benessere, della passione per la politica e del buongoverno. Una regione dove il PCI (Partito comunista italiano) raggiungeva il mezzo milione di iscritti (su 4 milioni di abitanti), ‘l’Unità’ aveva redazioni in tutte le città e diffondeva quasi la metà delle copie nazionali (che allora erano 130-150mila), le feste dedicate al quotidiano fondato da Antonio Gramsci erano il principale evento culturale e di popolo di tutte le estati.

Oggi c’è una regione che è ancora tra le più ricche e avanzate d’Italia, ma dove la crisi morde, il piccolo e bello non regge più, l’innovazione si è fermata, il distacco tra cittadini e politica non è diverso da quello delle altre regioni, il PD (Partito democratico) fatica ad arrivare a 70 mila iscritti, ‘l’Unità’ è precipitata a 20mila copie e ha sospeso le pubblicazioni. Ciò che sopravvive di quel passato sono le feste, anche se con meno volontari e più personale pagato, e il loro ‘marchio’ che ora Matteo Renzi vuole rilanciare; ma a ‘babbo morto’, come si dice da queste parti, con il giornale che non c’è, dove ‘l’Unità’ potrebbe non essere più l’omaggio alla storica testata (feste de ‘l’Unità’) bensì una più generale aspirazione politica del popolo del centrosinistra (feste dell’unità). E’ il vento del nuovo corso renziano, il ‘Gian Burrasca rottamatore’ fiorentino che ha sconvolto l’anima ex comunista dell’Emilia-Romagna facendola scoprire un po’ democristiana.

Piero Ignazi: “E’ cambiato tutto”.
“E’ cambiato il mondo e sta cambiando tutto, anche l’Emilia rossa”, dice il politologo Piero Ignazi, docente universitario di politica comparata, saggista, già direttore del Mulino, la rivista-pensatoio che ha fatto di Bologna uno dei centri della politica italiana. “Basta pensare allo sfondamento di Renzi in quella che era la roccaforte di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema, e a com’è cambiato il mondo cooperativo, che oggi è un gigante economico e finanziario con un peso fortissimo sulla politica, come dimostra la nomina del ministro Giuliano Poletti.”

La Regione scossa dalle inchieste.
Oggi c’è anche una Regione messa a dura prova da due terremoti: quello vero, della terra, che tra 20 e il 29 maggio 2012 ha colpito uno dei distretti industriali più importanti d’Italia facendo 27 morti, centinaia di feriti e decine di migliaia di sfollati e cassintegrati; e quello giudiziario, che dal 2010 ha registrato una serie di inchieste della magistratura sulla ‘malapolitica’ che hanno seriamente danneggiato l’immagine dell’Emilia rossa e la presunta ‘diversità’ positiva dei suoi politici ‘perbene’. Prima l’incriminazione per peculato e truffa dell’ex vice presidente regionale Flavio Delbono (poi sindaco ‘breve’ di Bologna, dal 25 giugno 2009 al 17 febbraio 2010, quando fu costretto alle dimissioni per gli sviluppi dell’inchiesta conclusasi poi con il patteggiamento della condanna), quindi gli avvisi di garanzia per le ‘interviste televisive a pagamento’ e per le ‘spese facili’ da parte dei consiglieri regionali di tutti i gruppi (inchiesta tutt’ora in corso), infine la condanna in appello per falso ideologico del politico più in vista: l’autorevole e potente Vasco Errani, da tre legislature governatore dell’Emilia-Romagna, presidente della Conferenza Stato-Regioni, uomo forte del Pd non solo a Bologna ma anche a Roma, che subito dopo si è dimesso.

Da Bersani a Renzi, il grande ribaltone.
L’Emilia-Romagna il 2 dicembre 2012, alle primarie di coalizione per la scelta del candidato premier del centrosinistra, aveva dato al suo figliol prodigo, Pierluigi Bersani, che di quella Regione era stato presidente prima di Errani, la spinta decisiva a vincere - con oltre il 60% dei consensi - la sfida contro il ‘rottamatore’ venuto da Firenze a insidiare la leadership nazionale ed emiliana del Pd. Ma le elezioni, quelle vere, andarono male. La vittoria annunciata del centrosinistra si trasformò in quella che Bersani coniò, con una delle sue metafore più tristi, nella ‘non vittoria’ (“abbiamo non vinto”, commentò). Poi è finita come sappiamo: il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha affidato a Enrico Letta l’incarico di formare un governo e l’alternativa propugnata da Bersani per ‘smacchiare il giaguaro’ è finita in soffitta a vantaggio delle ‘larghe intese’. E soltanto un anno dopo l’investitura di Bersani, esattamente l’8 dicembre 2013, alle primarie per la segreteria nazionale del Pd, gli emiliano-romagnoli hanno ‘cambiato verso’, affidandosi in massa a Renzi, il ‘rottamatore’ diventato ‘salvatore’, che hanno premiato con ben il 71% dei voti, contro il 15% appena di Gianni Cuperlo, sostenuto – pur senza troppa convinzione – dai leader dell’ex Pci-Pds-Ds.

Il politologo: “Ma l’Emilia è sempre rossa”
L’Emilia rossa ha dunque cambiato la sua anima? E’ diventata meno rossa? “Niente affatto”, dice deciso Piero Ignazi, “l’Emilia-Romagna è sempre stata rossa è oggi lo è ancora di più, basta guardare al risultato delle europee. E’ ora di capire, e accettare, che non c’è più il PCI-PDS-DS; che non ci sono più la DC (Democrazia cristiana) e la Margherita. Oggi c’è il Pd che, con i suoi pregi e i suoi difetti, ha raggiunto il 41% dei consensi in Italia. E nel Pd non ci sono più le vecchie correnti e i diversi posizionamenti. Ormai c’è un solo corso, quello renziano: il resto è il vecchio. Ma è sempre e comunque il partito a determinare il vincitore e il nuovo corso. Anche se oggi è molto diverso e più leggero del passato. E’ stato così con la svolta di Achille Occhetto alla Bolognina, è così anche con la rottamazione renziana”.

Il silenzio di Errani dopo la ‘debacle’.
Errani - che nel ‘vecchio corso’ di Bersani era il braccio destro (era lui a presiedere quello che i giornali chiamavano il ‘tortello magico’ dell’ex segretario, che comprendeva il piacentino Maurizio Migliavacca, l’imolese Massimo Marchignoli e il ravennate Vladimiro Fiammenghi), ma che è stato anche ‘pontiere’ con Renzi costruendo con l’ex sindaco di Firenze un rapporto di reciproca stima, da quando il tentativo del candidato premier è naufragato si è politicamente ‘silenziato’, concentrandosi nel lavoro egregio che fin dall’inizio ha svolto (e che tutti, amici e avversari, gli hanno riconosciuto) come commissario straordinario alla ricostruzione post-terremoto, oltre che nella difesa del suo personale onore morale, politico e istituzionale minacciato dall’inchiesta che l’ha coinvolto.

La vicenda ‘Terremerse’.

Una curiosa storia, quella di Terremerse, la cooperativa presieduta dal fratello del governatore, Giovanni Errani, che ottenne dalla Regione – secondo la magistratura indebitamente - il finanziamento di circa un milione di euro per la ristrutturazione di una cantina. Per dimostrare di non avere favorito l’azienda del fratello e la propria estraneità alla vicenda, Errani presentò a suo tempo una memoria ai magistrati. Ma i collaboratori che la predisposero inserirono, malauguratamente, informazioni non veritiere sull’iter della pratica. Un autogol che è costato a Errani l’incriminazione per falso ideologico. Forse un peccato veniale, tanto che i giudici di primo grado hanno creduto all’estraneità e buona fede del governatore, e l’hanno assolto. Ma la Procura ha presentato appello e in secondo grado ha avuto ragione. Subito dopo la condanna a un anno, Errani ha annunciato le sue dimissioni, pur respingendo con forza l’accusa e annunciando ricorso in Cassazione. “Ho troppo rispetto delle istituzioni per restare al mio posto”, ha detto rivendicando la sua innocenza e correttezza ma confermando anche “fiducia e rispetto della giustizia”.

Dopo 14 anni si chiude l’era di Vasco.
Con le sue dimissioni si è chiusa, con sei mesi di anticipo, l’era Errani. Per 14 anni la Regione Emilia-Romagna si è conformata al suo stile fatto di concretezza, basso profilo e pochi riflettori. Classe 1955, originario di Massa Lombarda, cresciuto a pane e politica nella Ravenna che fu di Arrigo Boldrini (il comandante Bulow che inventò la Resistenza nelle valli) e Benigno Zaccagnini (il partigiano Tommaso Moro diventato segretario della Dc), dove il papà di Massimo D’Alema, Giuseppe, organizzò la tipografia clandestina de ‘l’Unità’ (a Conselice) durante il fascismo, Errani diventò prima segretario della potente federazione del Pci poi, dopo aver visto sfumare la nomina a sindaco della città, all’inizio degli anni Novanta venne chiamato da Bersani, all’epoca presidente della Regione, a fare il suo capo di gabinetto. Quindi fu promosso ad assessore al turismo e, dal 2000, per tre volte, è stato eletto governatore. Con il suo pragmatismo e la sua capacità di mediazione, ma anche come politico di vecchia scuola (qualcuno sostiene ‘togliattiana’), è sempre riuscito a mettere d’accordo le diverse anime di un partito che proprio tranquillo e compatto in Emilia-Romagna non lo è mai stato.

Bilancio positivo, forte impegno per il terremoto.
“L’eredità che lascia è pesante”, conferma Ignazi, “Errani è una persona di grande qualità e capacità di governo. Direi un politico non del modello contemporaneo, che non ama le battute e l’esposizione, quasi eccentrico. L’Emilia-Romagna è stata da lui ottimamente amministrata in questi 15 anni, con una perdita di slancio nell’ultima legislatura compensata però dalla grande determinazione e incisività con cui ha affrontato il dramma del terremoto, contribuendo in modo decisivo a far ripartire un territorio messo in ginocchio da un sisma che, per la prima volta, ha colpito le fabbriche oltre alle città”.

Primarie il 28 settembre, elezioni a novembre.
Il decreto del governo che deve fissare la data delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria ancora non c’è. L’ipotesi che circola è quella di domenica 16 novembre. Saranno, in entrambi i casi, elezioni anticipate per le dimissioni dei rispettivi governatori (Giuseppe Scopelliti, esponente del NCD-Nuovo centro destra, è stato sospeso in base alla legge Severino dopo aver riportato in primo grado una condanna a sei anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici per abuso d’ufficio e falso ideologico, per fatti risalenti a quando era sindaco di Reggio Calabria).

In Emilia-Romagna il centrosinistra cercherà l’erede di Errani con le primarie di coalizione, convocate per il 28 settembre dopo molti tentennamenti, figli della tentazione di cercare un accordo tra i vecchi leader del Pd (Bersani, D’Alema, Errani) e Renzi su un candidato unitario che mettesse d’accordo tutti, a quel punto senza nemmeno il bisogno di passare per l’investitura popolare. Subito era circolato il nome di Graziano Delrio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ed ex sindaco di Reggio Emilia, ma l’ipotesi pare sia stata accantonata. Poi si è cercato e infine trovato l’accordo su Stefano Bonaccini, segretario regionale del Pd, ex bersaniano, poi diventato il braccio destro di Renzi alle primarie del 2013 per la leadership dei democratici e ora membro della segreteria nazionale con la responsabilità degli enti locali.

Pd spaccato tra renziani della prima e seconda ora.
L’obiettivo dei leader vecchi e nuovi era di individuare un candidato che consentisse di saldare le divisioni del recente passato tra l’anima ex comunista (poi ex Ds) e quella ex democristiana (poi ex Margherita) e di guardare avanti con spirito unitario, a un Pd senza più ex. Ma il Pd del nuovo corso si è spaccato come quello del vecchio corso, questa volta tra renziani della prima e seconda ora. Per poi affidarsi alle decisioni del ‘capo’ per scegliere il candidato ‘vincente’.

La sfida del "JFK di Fiorano".
Il primo ad alzare la mano era stato Matteo Richetti, ex presidente dell’Assemblea legislativa, uno dei più stretti collaboratori di Renzi alle primarie del 2012, chiamato per il suo aspetto e la sua ambizione, il ‘JFK di Fiorano’, ora deputato, che subito ha cominciato a costituire i comitati nel modenese per sostenere la sua candidatura. Ma tra Richetti e Renzi deve essere successo qualcosa a livello personale e il feeling iniziale si è spento. Matteo “JFK” ha mancato la poltrona ministeriale e la guida delle riforme a cui sembrava destinato, a vantaggio di Elena Boschi, poi è entrato in contrasto col segretario sull’adesione del Pd al Pse (lui era contrario), infine ha perso la ‘nomination’ a capogruppo parlamentare a vantaggio della conferma del bersaniano Roberto Speranza.

I comprimari.
Dopo di lui si sono candidati l’assessore uscente Patrizio Bianchi, già presidente di Nomisma e rettore dell’Università di Ferrara, sostenuto dai prodiani, l’ex sindaco di Forlì, Roberto Balzani, il più radicale dei renziani, che vuole rottamare 15 anni di gestione Errani e ‘cambiare verso’ al governo della Regione, e la presidente dell’Assemblea legislativa, Palma Costi.

E’ Stefano Bonaccini il candidato ufficiale.
I big del Pd hanno invece puntato sul sindaco di Imola Daniele Manca, un altro ex bersaniano passato con Renzi, che aveva anche il gradimento di Bersani e il sostegno dello stesso Errani, nonché quello del sindaco di Bologna, Virginio Merola, pure lui salito sul carro di Renzi. Ma su Manca non si è trovata la quadra. Lui ha capito che una parte del partito non lo avrebbe sostenuto e probabilmente lo avrebbe impallinato, così ieri ha annunciato il suo ritiro. A quel punto, dopo molti tentennamenti (all’inizio s’era definito “candidato al 50%”), Stefano Bonaccini ieri sera ha sciolto la riserva ed è così diventato il candidato “ufficiale” del Pd, che avrà come suo principale sfidante proprio l’indesiderato ‘fratello coltello’, Matteo Richetti (tra i due modenesi non corre buon sangue), che sempre ieri ha confermato la sua corsa e presentato il suo ‘manifesto’.

Ignazi: “Stupito da questi metodi da vecchia politica”.
“Comunque vada a finire”, diceva il professor Ignazi, “il balbettio del Pd sulle candidature per la Regione ha offerto l’immagine di un partito bloccato dai veti incrociati e dalle carriere personali che si affida al capo a Roma per nascondere le proprie incertezze. In altre parole, una roba che sa di vecchia politica. Una cosa che mi stupisce molto, perché è in netto contrasto col nuovo corso renziano e con l’enfasi che il Pd mette sulle primarie”.

L’incognita primarie e le sfide per il vincitore.
Il candidato alla fine scelto come ‘vincente’, dovrà comunque passare per le primarie. E lì l’esito non è per nulla scontato, visti i mal di pancia che circolano tra gli elettori di centrosinistra per le meline e gli accordi segreti sulle candidature. Mentre appare scontata la vittoria alle elezioni politiche del candidato che sarà prescelto, vista l’inconsistenza dell’opposizione di centrodestra e l’appannamento grillino. Il nuovo governatore dovrà comunque misurarsi con una Emilia-Romagna che è cambiata profondamente in questi ultimi anni. Una regione dove il sistema delle piccole e medie imprese soffre molto la crisi, dove c’è poca nuova imprenditorialità, con un welfare ancora esteso ma drammaticamente a corto di risorse che ha bisogno, per questo, di essere profondamente ripensato.

Il vincitore alla prova dell'innovazione.
“Qui dove c’è stata nel recente passato la traduzione del miglior riformismo di sinistra”, sottolinea Piero Ignazi, “ora ci sarebbe bisogno di uno scatto nella capacità di innovare, che oggi non c’è più. Pensiamo alle politiche sociali. Il welfare tradizionale non regge più, servono risposte nuove: ma non la delega tout court del pubblico al privato, come è stato in parte fatto con la scuola, bensì il coinvolgimento del privato nelle politiche che devono restare pubbliche”.

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