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mercoledì 30 luglio 2014

L'Unità, il Pd e noi che non vogliamo morire democristiani

L’Unità è morta, viva l’Unità. Rinascerà, ne sono certo. E’ troppo forte il legame che il quotidiano fondato da Antonio Gramsci ha, da sempre, con la sua comunità per scomparire e non tornare più. E anche se oggi è diventato un giornale più piccolo e povero rispetto al passato, l’Unità mantiene comunque la capacità di parlare al popolo della sinistra, di rappresentare l'anima, quasi sempre scomoda, di quella parte del Paese che non si rassegnava prima a morire berlusconiana e non si rassegna ora a morire democristiana. Altro che brand da tutelare: l’Unità è il simbolo di una storia che non si può cancellare. Per questo tornerà.



Per me l’Unità è stata un sogno professionale e politico realizzato, la mia università e una bella fetta della mia vita. Ci sono nato e cresciuto in questo giornale. Due anni da collaboratore, sei da giornalista a tempo pieno ma assunto dal Pci con contratto da metalmeccanico, dieci da cronista fino a redattore capo, infine altri tre di ritorno, da soldato semplice e tappabuchi con contratti a termine. A l’Unità mi assunse Massimo D’Alema, nel 1989, ma il periodo del praticantato lo pagò la federazione Pci di Ravenna, all’epoca guidata da Vasco Errani, mentre il mio capo redattore, a Bologna, era Rocco di Blasi.

Negli primi anni Novanta l’Unità, sotto la direzione di Walter Veltroni, l’Unità raggiunse uno dei suoi apici. Con una media di oltre 150mila copie giornaliere, trainate anche dai libri e dalle videocassette in allegato che riempirono le nostre case, divenne il quarto quotidiano italiano. Il giornale aveva due dorsi nazionali (con l’Unità due che si occupava in modo approfondito di cultura e società) più gli inserti di cronaca locale, firme prestigiose di editorialisti, opinionisti e collaboratori e uno stuolo di giornalisti.

Poi, nel 1995, il direttore Walter Veltroni mi mandò ad aprire e dirigere l’edizione romagnola di “Mattina”, il giornale di cronaca locale che veniva venduto “a panino” con l’Unità. E quando “Mattina” chiuse, sempre Veltroni spedì l’allora vice direttore Piero Sansonetti a Bologna per nominare il nuovo redattore capo delle cronache emiliano-romagnole, tornate dentro l’Unità: dalla consultazione tra i colleghi spuntò a larga maggioranza il mio nome. Due anni dopo, alla fine del 1999, toccò purtroppo a me sperimentare il dolore e l’angoscia della chiusura delle cronache locali (tre redazioni a Bologna, Modena e Reggio con 42 giornalisti assunti più i poligrafici e i collaboratori) seguita, l’anno dopo (corsi e ricorsi della stessa storia), dalla chiusura per diversi mesi de l’Unità. Quindi so cosa provano oggi i colleghi, che abbraccio tutti.

Professionalmente, il periodo Veltroni è stato il più bello. Il giornale aveva peso e spessore. Ma non aveva alle spalle, come purtroppo non l’ha mai avuta, un’azienda. Le colpe del Pci-Pds-Ds-Pd, sotto questo aspetto, sono macroscopiche. Anche negli anni d’oro non c’è mai stata una cultura editoriale e imprenditoriale che sapesse coniugare gli obiettivi giornalistici e politici de l’Unità con il contributo sempre generoso dei suoi lettori e con i bilanci. Per questo, a un certo punto, si sono dovute vendere pure le case del popolo costruite col sacrificio dei militanti per far fronte ai debiti de l’Unità. E lì qualcosa si è rotto nel rapporto tra partito e giornale.

Va detto anche che l’Unità non è mai stata comoda e allineata al partito editore, ha sempre mantenuto autonomia di giudizio e pluralità di opinioni: ma questo è un pregio, non un limite. E’ stato così quando era “organo” del partito e lo è diventata sempre più quando è rimasta soltanto il giornale “fondato da Antonio Gramsci”, di area e non più di partito.

Negli ultimi anni si è avuta spesso l’impressione che l’Unità fosse perfino tollerata a fatica dal Pd. E quando segretario del Pd è diventato Matteo Renzi, la distanza è apparsa a volte incolmabile. Non so se abbia ragione Luca Landò, quando ipotizza che il PD possa aver lasciato chiudere l'Unità per liberarsi del suo collettivo di giornalisti in maggioranza non renziano pensando di fare poi rinascere “il marchio” con una leadership renziana. Ma mi sembra una ipotesi abbastanza verosimile. Finora si sono sentite, da parte del Pd, solo parole di solidarietà e qualche vaga promessa di impegno per rilanciare l’Unità, ma non si è visto nessun fatto concreto. I prossimi mesi ci diranno come rinascerà questo nostro amato giornale: se con la stessa anima o ... cambiando verso.



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