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mercoledì 22 gennaio 2014

Quel che non va del "Renzusconi"

Se si votasse domani, il risultato fosse lo stesso del febbraio 2013 e prevalesse quindi la coalizione di centrosinistra, alla nuova Camera dei deputati scomparirebbero i 37 deputati di Sel, i 6 del Centro democratico di Tabacci e i 5 della Sudtiroler Volkspartei, mentre il gruppo del Pd passerebbe da 292 a 334 eletti; nel centrodestra sconfitto scomparirebbero la Lega Nord (oggi 18 deputati) e i Fratelli d’Italia (9), mentre il Pdl salirebbe da 97 a 131 deputati. Dei partiti di centro sopravviverebbe, per un soffio, Scelta civica (37 deputati) e uscirebbe dal Parlamento l’Udc di Casini; iI M5S di Grillo passerebbe da 108 a 115 deputati.

La proiezione sugli ultimi sondaggi.
Se invece si votasse domani e i risultati fossero quelli dell’ultimo sondaggio Ipsos del 20 gennaio scorso, il centrosinistra vincente raggiungerebbe il 35,9%, si prenderebbe il premio di maggioranza e 340 seggi, tutti però assegnati al Pd, non avendo nessuno degli alleati raggiunto il 5%. Il centrodestra, con Alfano alleato di Berlusconi, con il 35,4% dei voti, si aggiudicherebbe 183 seggi, di cui 143 a Forza Italia e 40 al Nuovo centro destra. Il Centro (Scelta civica e Udc) rimarrebbe sotto la soglia dell’8% per i partiti non coalizzati e resterebbe fuori dalla Camera, così come Lega Nord, Sel, Centro democratico e Svp. Infine, nel caso in cui Alfano si alleasse con Monti e Casini invece che con Berlusconi, il centro ballerebbe sulla soglia minima del 12% necessaria alle coalizioni per entrare in Parlamento. Se la superasse, la coalizione centrista otterrebbe 56 seggi, ma tutti attribuiti al Ncd, l’unico a superare la soglia del 5% per i partiti che si coalizzano. I grillini, invece, con il 20,8% dei voti, oscillerebbero tra 98 e 107 seggi a seconda delle scelte di Alfano.Lo stesso risultato, ma a parti rovesciate, ci sarebbe, naturalmente, in caso di vittoria della coalizione di centrodestra.

Il Renzusconi secondo Crozza.
Sono questi gli effetti delle prime simulazioni dell’Italicum, la nuova legge elettorale frutto del “Renzusconi” che, come ha detto Maurizio Crozza a Ballarò, “ha il corpo spagnolo, la testa del Porcellum, le gambe di Renzi e, soprattutto, il culo di Berlusconi”. Battute a parte, emergono chiaramente già da queste prime proiezioni dell’Ipsos i limiti e le contraddizioni di quello che dovrebbe essere il nuovo sistema elettorale. Una legge che rappresenta sicuramente, con l’introduzione del doppio turno eventuale (nel caso nessuna delle coalizioni raggiunga il 35% dei voti), un passo avanti sostanziale verso la governabilità rispetto alla vecchia legislazione, ma anche un impianto che alimenta dubbi e mantiene nodi rilevanti da sciogliere.

6,6 milioni di voti senza voce.
Le questioni sul tappeto, fermo restando l’impianto generale, sono sostanzialmente tre.

La prima è la soglia minima differenziata per poter accedere alla Camera dei deputati: 5% per le liste che si coalizzano, 8% per quelle che vanno da sole. Soglie entrambe molto alte. Un meccanismo che, come si vede dalle proiezioni, mette un impedimento forte al criterio della rappresentanza e dell'uguaglianza di ogni singolo voto. Secondo una simulazione del deputato Pino Pisicchio (Centro democratico), sulla base delle politiche 2013 sarebbero addirittura 6,6 milioni gli elettori che rimarrebbero senza rappresentanza in Parlamento se l’Italicum non verrà modificato.

E le richieste di modifica, su questo punto, sono pressanti da parte non solo dei partiti più piccoli ma anche di diversi costituzionalisti. Tanto che ieri, mercoledì, c’è stato subito un primo rinvio alla Commissione affari costituzionali della Camera che doveva iniziare l’esame del testo dell’accordo. La Lega, che è ad alto rischio esclusione con la nuova legge (3,9% alle ultime politiche), si è impuntata e il relatore, Paolo Sisto di Forza Italia, pare stia lavorando a una norma “salva Carroccio” recuperando la norma del Porcellum che prevedeva un paracadute per i partiti regionali: una soglia più bassa per i simboli che avessero raggiunto il 10% almeno in tre regioni.

Soglia bassa per il premio di maggioranza.
La seconda questione dubbia, anche costituzionalmente, è quella della soglia relativamente bassa (il 35%) necessaria a far scattare il premio di maggioranza che assicura alla coalizione vincente il 53 o 55% dei seggi. L’obiezione dei critici è che non si possono mettere soglie minime così alte per l’ingresso in Parlamento e, parallelamente, un tetto di coalizione così basso per far scattare i bonus. Secondo diversi osservatori occorrerebbe alzare quella soglia al 40%, anche per non rischiare di incorrere nella bocciatura della Corte costituzionale.

Liste bloccate indigeribili.
Ma il più forte limite dell’Italicum è il terzo, quello delle liste bloccate che prospetta un altro Parlamento di nominati. Anche se più “corte” in virtù di circoscrizioni più piccole, peraltro non ancora disegnate, la designazione da parte delle segreterie e quindi l’impossibilità per gli elettori di votare il proprio candidato appare difficilmente digeribili da un’opinione pubblica che non si fida assolutamente più dei partiti. Le liste “corte”, inoltre, già si sa che non saranno corte tutte allo stesso modo: più sarà grande la circoscrizione, più sarà lunga la lista. E questo alimenta i dubbi sulla costituzionalità della norma, dopo i rilievi della Corte.

I sostenitori dell’Italicum osservano che chi invoca le preferenze ignora, o s’è dimenticato i guasti che l’era delle preferenze aveva generato: clientele, voto di scambio, e via discorrendo. Ma allora vigeva il proporzionale. Oggi siamo in un’altra stagione, c’è il maggioritario sostanziale, l’elettore che può scegliere la coalizione vuole poter scegliere anche il candidato. E non può bastare l’impegno per ora del solo Pd a fare le primarie. Occorrerebbe quanto meno una norma di legge che rendesse obbligatori per tutti i partiti meccanismi trasparenti e partecipati di selezione delle candidature.

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