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domenica 26 gennaio 2014

Giornalisti, l'Ordine che non c'è

Ho appena pagato la quota annuale di iscrizione all'Ordine dei giornalisti. Con almeno due disappunti. Il primo perchè l'Ordine fa pagare ai pensionati la metà della quota e a disoccupati e precari la quota intera. Ma come, da una parte si denuncia lo sfruttamento, si fanno le battaglie per l'equo compenso per i colleghi costretti a lavorare per pochi euro a pezzo senza tutele e ammortizzatori sociali, poi con le quote si premiano i pensionati e si penalizzano gli sfruttati e chi il lavoro non ce l'ha? Il presidente Iacopino, alfiere principe delle battaglie dei precari e degli sfruttati, non ha nulla da dire su questo?

Il secondo, più forte del primo, perchè l'Ordine nazionale, nei giorni scorsi, ha affossato anche l'ultima ipotesi di auto-riforma approvando una ipotesi di "riformetta" che garantisce soltanto lo status quo e le consorterie dei pubblicisti che oramai fanno il bello e il cattivo tempo nel Consiglio nazionale, con la complicità dello stesso presidente Enzo Iacopino.

Autoriforma mancata, pubblicisti padroni del Consiglio nazionale.
Nell'ultima seduta il Consiglio - organismo di quasi 150 membri che per costi di funzionamento, indennità e rimborsi spese si mangia una consistente fetta delle nostre quote di iscrizione - ha prima bocciato le proposte di riforma più radicale dell'Ordine presentate dalla minoranza interna (Albo unico dei giornalisti, possibilità per i pubblicisti che fanno i giornalisti di diventare professionisti, laurea o master obbligatorio per l'accesso alla professione, Consiglio nazionale ridotto a 60 membri), poi ha svuotato perfino l'ipotesi di riforma minimale approvata da una commissione bipartisan istituita ad hoc.

Così facendo, l'Ordine professionale dei giornalisti si è di fatto consegnato, forse definitivamente, ai 50mila e passa pubblicisti che di regola non fanno i giornalisti di professione ma altri mestieri, coltivando nel tempo libero la passione per la scrittura; oppure, come purtroppo sempre più spesso accade, iscritti ad altri ordini professionali che solo perchè sono riusciti ad avere il tesserino da pubblicista vengono a dettare le regole in casa nostra, a chi il giornalista lo fa di mestiere.

Un paradosso evidente. Aggravato dal fatto che la legge ha tolto al Consiglio nazionale dell'Ordine quello che fino allo scorso anni era il suo ruolo principale di tribunale d'appello per le violazioni deontologiche, affidando questo compito ai consigli di disciplina. Ragion per cui all'Ordine, oltre ai compiti istituzionali legati alla tenuta dell'Albo, oggi è affidata fondamentalmente soltanto la formazione professionale.

Un aggiornamento formativo che da quest'anno diventa obbligatorio per tutti gli iscritti attivi, siano essi pubblicisti o professionisti. Ma che è propedeutico soprattutto per chi questo mestiere lo fa per davvero e non certo per chi scrive un pezzo ogni tanto per una rivista o un giornaletto, o per le schiere di avvocati, commercialisti e geometri che affollano l'Albo e il Consiglio nazionale. Invece è proprio da costoro che il sistema formativo sarà governato.

Ha ancora senso mantenere l'Ordine?
Diversi colleghi, in considerazioni di questi fatti e di queste contraddizioni, mi chiedono se abbia ancora senso che esista l'Ordine dei giornalisti. A uno, in particolare, che lo vede come un inutile ostacolo alla libertà di espressione e ne auspica l'abolizione a favore del libero esercizio dell'attività giornalistica, ho risposto così:

Non bisogna confondere la libertà di parola (Art 21 Costituzione "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione") con la regolamentazione dell'attività giornalistica. Il giornalista è un professionista, come un medico o un architetto. Per questo motivo è e deve essere soggetto a regole precise per poter esercitare la professione: si deve formare, deve superare un esame di Stato, è tenuto a osservare le regole e le carte deontologiche.

L'Ordine dei giornalisti è nato sotto il fascismo ed è rinato nel 1963 contro le prevaricazioni, per tutelare l'autonomia e la libertà dei giornalisti da editori e padroni vari. Rimane quasi una eccezione in Europa. Ma in tutta Europa anche dove non ci sono Ordini ci sono enti, leggi e prassi che seguono gli stessi principi enunciati sopra. Il problema è che l'Ordine professionale dei giornalisti (soprattutto quello nazionale) è ormai diventato un inutile carrozzone burocratico, e oggi è ostaggio di chi professionista non lo è: i pubblicisti, altra anomalia tutta italiana. Serve a dare un ruolo a qualche giornalista "illustre", uno strapuntino a tanti colleghi pensionati e ad assicurare piccole sacche di potere e clientele a pochi capi-bastone che controllano i pacchetti di voti dei pubblicisti, visto che tra i professionisti ormai va a votare per l'Ordine meno del 5% degli aventi diritto.


Cresce il divario con i giornalisti, e sulla formazione è caos.
Questo Ordine è sempre più lontano da chi questo mestiere lo fa tutti i giorni, dai problemi veri della categoria, dagli stravolgimenti che sta subendo il mondo dell'informazione, dei media e della nostra professione (pensiamo solo alla rete). Un Ordine ormai inutile. E irriformabile.

Un discorso che vale anche per la formazione professionale obbligatoria, alquanto contestata da una gran parte dei colleghi. Se fosse pensata e organizzata bene - con un albo di formatori certificati e non i soliti amici degli amici, con l'aggiornamento periodico sulle leggi, le carte e la deontologia, con i corsi sulle nuove tecnologie e sui new media - servirebbe, eccome, a salvaguardare la qualità e la credibilità dei giornalisti, l'unico nostro vero valore aggiunto che purtroppo oggi è assai decaduta. Ma non mi pare che sia ciò che sta accadendo. Mi pare, al contrario, che, prevalgano la burocrazia e il business. Mi pare che per la parte deontologica, gratuita, si profilino offerte molto all'acqua di rose. E che per il resto dell'aggiornamento, a pagamento, si stia mettendo in piedi un meccanismo che porterà tanti soldi a pochi soggetti e pochi benefici professionali a tanti colleghi. Ma spero di sbagliarmi.

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