Post più popolari

martedì 19 novembre 2013

Il Pd di Renzi, l'Emilia rossa di Cuperlo e la crisi della sinistra

Povero Pd! Il partito "nato a freddo", dal notaio, con separazione dei beni tra ex comunisti ed ex democristiani più che dalla comunanza di idee e valori, e comunque mai nei cuori degli elettori di sinistra, vincitore mancato delle ultime elezioni, costretto dai propri errori e da Napolitano alle larghe intese e ora ridotto a celebrare il rito delle primarie tra divisioni politiche, tesseramento truccato e scambi di accuse velenose tra i leader.

Renzi, il rottamatore figlio della cultura Dc-Ppi-Margherita, esulta perchè ha vinto a livello nazionale la corsa alla segreteria tra gli iscritti: "Visto, non sono un corpo estraneo come dice D'Alema. Vinco anche nel partito. E lui, che ha distrutto la sinistra, per la prima volta dopo vent'anni perde il congresso". Cuperlo, candidato della componente ex Pci-Pds-Ds dice che la vittoria politica è sua. Che la sua "nazionale di bob dei Caraibi", come Maurizio Crozza ha definito la sua sfida impossibile con Renzi, ha ribaltato tutte le previsioni. "Ci davano al 5%, siamo quasi al 40%. Matteo non ci ha asfaltati. La partita per le primarie aperte dell'8 dicembre tra chi come me difende i valori della sinistra e l'idea di un partito organizzato e radicato nel territorio, e chi come Renzi ha in testa un non partito acchiappatutto, è ancora tutta da giocare".

E mentre Bersani e i bersaniani dell'ex "tortello magico" (Errani, Migliavacca, Fiammenghi, Marchignoli) tacciono, D'Alema ricambia con la sua proverbiale cattiveria il futuro segretario del Pd. "Renzi è un tardo blairista con echi liberali. Ha poche idee ma confuse (come direbbe Flaiano). Non è adatto a fare il leader del più grande partito italiano. E' spiritoso, brillante, ma anche superficiale e ignorante. La sua dialettica vecchi-giovani è falsa. E ora vince grazie a De Luca, Bassolino, Veltroni, Franceschini. E' lui, ormai, l'uomo dell'establissement. Il rischio è che trasformi il Pd nella peggiore Democrazia cristiana".

Povera Emilia rossa! Qui ad esultare sono i sostenitori di Cuperlo, perchè il loro candidato ha superato di 300 voti il sindaco di Firenze (43,6% contro 42,3%), vincendo largo (61%) solo nel capoluogo e di stretta misura nelle ex enclavi ex comuniste di Modena e Ravenna e nella (ex?) grillina Parma. Ma i colonnelli renziani, a cominciare dal coordinatore della campagna del rottamatore, il segretario regionale uscente ed ex bersaniano Stefano Bonaccini, dicono che la vittoria politica è loro, che hanno pareggiato nella terra che era più ostile al sindaco di Firenze, che la conquista di sette territori (Rimini, Reggio Emilia, Piacenza, Cesena, Ferrara, Imola e Forli) contro quattro "è uno straordinario risultato". Sottolineano che nella ex roccaforte rossa imolese, dove il sindaco Manca sta con Renzi, hanno stravinto e che nella Ravenna di Vasco Errani, Cuperlo è arrivato primo per soli 11 voti (1.230 contro i 1.219).

Ma sia i renziani che i cuperliani, nella loro rincorsa a chi si può consolare di più, dimenticano che nell'Emilia-Romagna dove ai tempi di Berlinguer il Pci faceva mezzo milione di iscritti e la domenica mobilitava decine di migliaia di persone per diffondere fino a un milione di copie de l'Unità, nelle 642 assemblee di circolo che si sono svolte per questa campagna hanno partecipato al voto appena 27.819 iscritti dei 70-80mila superstiti nel Pd. Cuperlo è primo con 12.032 voti, poco più della metà di quanti ne raccoglieva il "sindaco dello stadio", Maurizio Cevenini nella sola Bologna, che poi non resse il successo delle primarie per fare il sindaco vero della città.

Non dicono nulla di un partito che appare in gran parte evaporato, sfiduciato, con uno scollamento crescente tra base e vertice, con gli iscritti mortificati da un meccanismo assurdo che con la scelta delle primarie aperte a tutti per eleggere il segretario, li fa contare niente nella scelta del leader e della linea politica, con le feste de l'Unità che si riducono e faticano anno dopo anno, con un'astensione crescente alle elezioni politiche e un distacco dalla politica che ha portato il Pd a scendere al 37% e Grillo a salire al 25%, nel febbraio scorso.

Quel che è certo è che neppure salire sul carro del vincitore sembra giovare al rilancio del Pd. I dirigenti dell'(ex) Emilia rossa ed ex bersaniana, dopo la sconfitta del loro leader erano passati in massa con il rottamatore. Il segretario regionale Bonaccini, che ha scalzato l’ex sindaco di Piacenza Roberto Reggi nel ruolo di coordinatore delle primarie di Renzi, scavalcando il rampante ex presidente dell’Assemblea legislativa regionale ora deputato, Matteo Richetti, soprannominato il “JFK di Fiorano”. I cooperatori guidati dal presidente nazionale di Legacoop, Poletti e diversi intellettuali del Mulino, storico pensatoio della sinistra.

Poi l’ex presidente della potente Associazione dei Comuni (Anci) e sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, l’ex segretario Pd e capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, oggi entrambi ministri di primo piano nel governo Letta. E ancora: un folto gruppo di sindaci guidati dal primo cittadino del capoluogo Bologna, Virginio Merola, che una volta diede del “golpista” a Renzi poi, quando a settembre maturò la giravolta, venne sonoramente contestato alla festa dell’Unità. Con lui ci sono Roberto Balzani (Forlì), Andrea Gnassi (Rimini), Paolo Lucchi (Cesena), Giovanni Malpezzi (Faenza) e i primi cittadini delle ex roccaforti dalemiane prima e bersaniane poi, Ravenna (Fabrizio Matteucci, ex segretario regionale del partito quando Giorgio Guazzaloca conquistò Bologna al centrodestra) e Imola (Daniele Manca).Tra i segretari uscenti delle federazioni stanno col “rottamatore” il probabile successore di Bonaccini alla segreteria regionale, Paolo Calvano (Ferrara), Roberto Ferrari (Reggio Emilia) e Marco Di Maio (Forlì).

Questo schieramento di dirigenti non è però bastato a Renzi per vincere anche in Emilia-Romagna e ha fatto risaltare una volta di più la distanza che c'è tra base e vertice del partito.

Divisi i prodiani, orfani di un candidato che li rappresenti. Non potevano certo stare col candidato dell’odiato D’Alema, ma nemmeno stanno con Renzi. Nonostante la vicinanza culturale e la comune matrice cattolica, non hanno alcun feeling col “rottamatore”, che in passato cercò invano “l’endorsement” del professore ed è sospettato di essere tra i cospiratori che, per l'elezione del Capo dello Stato, spinsero 101 parlamentari Pd a pugnalare nel segreto dell’urna il padre fondatore del Pd. Tanto che alcuni prodiani, a cominciare dalla portavoce Sandra Zampa, si sono addirittura schierati con Pippo Civati. 

Forse sarà un caso, o un'abile mossa comunicativa di Civati come dice qualcuno. Fatto sta che in città, proprio nei giorni delle primarie degli iscritti, sono ricomparsi dei grandi manifesti che inneggiano all'Ulivo di Romanone Prodi.






Nessun commento:

Posta un commento