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mercoledì 8 maggio 2013

Per Maurizio Cevenini e Stefano Tassinari

Esattamente un anno fa, l'8 maggio 2012, Maurizio Cevenini si toglieva la vita gettandosi dalla finestra del suo ufficio nella torre della Regione. Il giorno prima era morto di malattia Stefano Tassinari, che invece aveva combattuto per anni come un leone per la vita. Oggi, nel primo anniversario della scomparsa di due amici veri, ripubblico il ricordo e i pensieri che scrissi in questo blog su Maurizio e Stefano.


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Finora non ce l'ho fatta. Ma oggi vado a portare anche il mio saluto a Maurizio Cevenini nella Sala Rossa del Comune. Allora un ricordo di lui e qualche considerazione in questo blog, per fissarne la memoria, devo e voglio farla.

Lo conoscevo da tanti anni, Maurizio. E per 5 anni ci ho pure lavorato insieme, quando lui era presidente del Consiglio provinciale e io capo ufficio stampa della Provincia. Ci frequentavamo poco ma c'era tra noi un rapporto che a me piaceva. Era fatto di poche parole, qualche sms, rare discussioni serie, giochi di sguardi e battute, una simpatia di fondo. Credo anche una stima reciproca e una certa sintonia. La prima forse dovuta alle origini popolane che ci accomunavano e alle strade in salita che entrambi avevamo dovuto percorrere. La seconda sicuramente ascrivibile alla passione comune per la politica e per il calcio. Una volta, tramite la sua segretaria tuttofare Tamara, mi regalò una maglia del Bologna per mia figlia grande, pure lei appassionata di calcio. In un altro paio di occasioni mi aiutò a risolvere qualche problemino di salute nella "sua" Villalba. Era così Maurizio, aveva mille impegni e migliaia di contatti ma non diceva mai di no a nessuno, e se poteva ti dava una mano, ti riservava una sorpresa gradita, un pensiero. Una persona buona e gentile, come è stato detto da molti.

Fin qui qualche piccolo ricordo personale. Poi ci sono l'aspetto umano di Maurizio e la dimensione pubblica del Cev. Se c'era una persona che pensavi non sarebbe mai potuta finire così, quello era Maurizio. Come si fa a pensare che una persona così iperattiva, presidenzialista, generosa, sempre allegra e solare, amata da tutti i bolognesi e quindi realizzata, possa togliersi la vita? E in quel modo, poi? Per questo sono rimasto doppiamente sconvolto, senza parole. Me lo sono immaginato in quei momenti nel suo ufficio, solo e disperato ma deciso a farla finita, e mi sono venuti i brividi. Avrei voluto solo fare e invocare silenzio.

Poi però senti il bisogno di capire, se si possono capire queste tragedie, ciò che scatta nella testa e nell'animo delle persone quando decidono di farla finita. In quel modo, poi. E allora ti metti a leggere, a cercare i particolari, a ripensare a certe storie, a riflettere. Chiedi aiuto a chi gli era più vicino di te per riuscire a capire. Ma non ne vieni a capo. Il giorno prima di Maurizio è morto Stefano Tassinari: giornalista, scrittore, amico mio anche lui. Era malato di cancro da 8 anni. Ma ha continuato a lavorare, a fare progetti, iniziative. Quando lo incontravi ti parlava della sua malattia con una serenità perfino disarmante. Ha lottato come un leone, fino all'ultimo e spesso in solitudine per la vita. Cevenini, che aveva migliaia di amici ma evidentemente era solo, la vita se l'è tolta. Com'è difficile capire. Com'è complicata la bestia umana.

Infine la dimensione pubblica. Molte delle cose che sono state scritte da alcuni bravi colleghi dei media bolognesi sul Cevenini politico, sono azzeccate e sicuramente vere. E' vero che conoscevamo tutti il Cev ma sapevamo poco di Maurizio. E' sicuramente vero che la frattura tra la persona e il personaggio si è acuita, in modo drammatico, dopo la rinuncia a correre da sindaco, «il sogno di una vita». Rinuncia dovuta a un'ischemia ma forse provocata dalla sua fragilità, dalla paura di essere inadeguato a ricoprire quel ruolo così "sacro" e impegnativo nella Bologna di Dozza, Zangheri e Imbeni. Lui, il volto sereno e positivo del Pd ma anche il politico sui generis; lui con il suo improbabile staff, forse si è sentito inadeguato a guidare la città, quindi a coronare il suo sogno. Perchè Maurizio era, come è stato scritto, "assolutamente imperfetto, ma era autentico".

E' altrettanto vero che quando, reduce dalla malattia, pronunciò quella famosa frase, "la mia corsa si ferma qui”, l'uomo era già visibilmente provato e avvilito, e da allora non è stato più lo stesso di prima. E' vero anche che il Cev era amico di tutti ma non tutti erano suoi amici. E che il Pd non l'ha certo trattato bene. Perchè i dubbi sulla sua capacità amministrativa c'erano, eccome. Anche se il segretario Donini dice che erano esterni e non interni al partito, riferendosi evidentemente ai dirigenti del mondo cooperativo e probabilmente a qualche intellettuale. E' vero, infine, che la cosa che al Cev sarebbe piaciuto continuare a fare era il presidente del Consiglio comunale (o del Consiglio regionale), quel ruolo "da presentatore", come lui stesso diceva, che peraltro gli si addiceva alla perfezione: la sua seconda dimensione dopo il sogno da sindaco. E non glielo hanno lasciato fare. Nè in Comune, nè in Regione.

Tutte queste cose sono vere. Ma bastano a spiegare una scelta così drammatica ed estrema? Io credo di no. Credo che la ragione vera del perchè anche uno come Maurizio decida di farla finita, in quel modo, rimanga un grande mistero. Un mistero inesplorabile con la razionalità, forse spiegabile con gli effetti della malattia. Un viaggio nella psiche e nell'animo umano in cui non mi arrischio e non voglio entrare. Un abisso che non si può spiegare con la logica, men che meno con la logica politica. Anche perchè, da politico, il Cev era comunque piazzato bene: consigliere regionale (un posto che per averlo tanta gente in questo Paese è disposta a tutto, come insegna la Minetti), consigliere comunale, in pole position per un seggio da parlamentare alle prossime elezioni. Che per "il fiol dal barbir" non mi pare un brutto traguardo.

La politica, o meglio i partiti, non sono propriamente il luogo dei buoni sertimenti e della qualità dei rapporti umani. Anzi. Però in qualche intervista, commento e ricordo su Cevenini questa volta un po' d'umanità vera l'ho intravista. Speriamo sia il regalo, e al tempo stesso l'eredità da coltivare, che Maurizio lascia alla sua Bologna. A me, come penso alle persone che l'hanno conosciuto meglio, resta il rammarico di non aver capito qual era la dimensione vera del suo dramma dopo la malattia e il ritiro dalla corsa a sindaco, che avrebbe sicuramente vinto. Ma non so, non credo che capirlo sarebbe servito a qualcosa.

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