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sabato 23 febbraio 2013

Elezioni: la posta in gioco, i 6 candidati premier e la profezia di Nanni Moretti



Qualche riflessione prima del voto alle politiche. Dico subito che la campagna elettorale non mi è piaciuta per niente. Tutte quelle balle, quelle grida, quelle promesse stomachevoli; l'assenza di confronti veri tra i candidati, tipo quello Bersani-Renzi-Puppato-Tabacci alle primarie Pd per intenderci; le immagini dei cani in braccio, delle carezze ai bambini e le "foto di gruppo" che prevalgono sui problemi, le proposte e le prospettive di questo nostro paese. Alla fine mi ha così stancato che ho smesso di seguirla e ho quasi staccato la spina.

Dico subito, inoltre, che tra i candidati premier Bersani mi è sembrato di gran lunga il più serio e credibile di tutti.

Aggiungo che mi ha fatto piacere la presenza di Nanni Moretti al suo fianco sul palco a Roma e il suo "endorsement" per il Pd, dopo che un po' di anni fa aveva sentenziato: "Con questi dirigenti non vinceremo mai!". Pensando a quanto il regista sia stato lungimirante nei suoi film sul Caimano e sul Papa, confido anche nella sua previsione: "Lunedì festeggeremo la liberazione di 60 milioni di cittadini dagli interessi di uno solo".

Spero, cioè, che sia alla Camera sia al Senato vinca la coalizione Pd, Sel e Psi, si possa fare un governo che non sia obbligato all'alleanza con Monti, non dipenda dai voti di Casini e Fini, e nemmeno dalla benedizione dell'alta finanza, di Merkel e Obama. Prevedo che il centrosinistra vincerà sicuramente alla Camera, che Grillo farà "boom" ben al di là delle pur generose previsioni fatte dai sondaggisti, che Berlusconi farà fatica ad arrivare secondo e che Monti e Ingroia faranno "flop". Più difficile, col Porcellum, prevedere come finirà al Senato; quindi, in definitiva, prevedere se si vincerà oppure no.

La posta in gioco è molto alta. A me pare uno spartiacque storico, tipo quello del 18 aprile 1948. Allora vinsero i moderati, la Dc e gli Stati Uniti. Questa volta potrebbe anche non andare così. Anche se i moderati sono ancora maggioranza in questo paese. Ma sono cambiati i tempi ed è cambiata soprattutto la prospettiva. Non si tratta soltanto di voltare pagina politicamente in Italia, ma anche di costruire in Europa (e nel mondo) un'alternativa credibile al liberismo sfrenato di questi ultimi decenni, la speranza di un futuro di segno diverso da quello dominato dall'economia di carta, dalle Borse e dalle Banche, dai business dei ricchi e dei potenti. Un futuro direi più umano, più vicino alle persone e alla natura, dove il benessere non si misuri solo sulla quantità di denaro e di beni che possediamo, ma dalle maggiori possibilità di lavoro, da uno sviluppo sostenibile e dalla qualità dei servizi, da società più civili, giuste e solidali. Se in Italia e in Europa (la Germania, dopo la Francia) questa idea si farà strada anche alle elezioni questa speranza di un futuro diverso potrà forse prendere corpo. Così la penso io.

Tornando sulla terra, in Italia, domani e lunedì è probabile che riusciremo a toglierci finalmente di torno Berlusconi. E se sarà così, gran parte del merito lo dovremo a Napolitano, che l'ha disarcionato e con Monti ha difeso, se non altro, il buon nome e l'onore dell'Italia nel mondo. Penso che lo rimpiangeremo il Capo dello Stato. Hanno fatto piacere le sue foto nello studio Ovale e gli elogi di Obama. Fanno meno piacere il tifo degli americani, dell'Europa e della grande finanza per il Monti-bis e per continuare le sue presunte "coraggiose riforme".

Monti ha avuto sicuramente il pregio di evitare il "default" all'Italia, di ridare dignità e credibilità internazionale al nostro paese. Ma solo chi continua a tenere le redini mondiali dell'economia virtuale, di carta, arrivata a 12 volte il valore dell'economia reale, può sostenere che abbia fatto buone e coraggiose riforme. Non lo possono certo dire i lavoratori, la maggior parte delle imprese, i pensionati, i giovani e le donne di un paese oggi impoverito e con meno Stato sociale. Men che meno lo può dire quella parte di società che si ispira a criteri di equità, solidarietà, giustizia, cioè alle cultura della sinistra.

La riforma delle pensioni è stata indecente: una canagliata sociale. Negare la pensione a chi ha lavorato 40 anni (quaranta), decidere d'emblée che si dovrà lavorare fino a 67 anni e più per avere diritto a un assegno calcolato col sistema contributivo, quindi un assegno misero considerando le paghe da fame e il precariato diffuso, è un'operazione che sicuramente ha fatto gioire chi guarda solo ai saldi di bilancio, ma ha modificato profondamente e negativamente il nostro welfare ipotecando il futuro di intere generazioni e in particolare dei giovani. E questo senza considerare la vergogna degli esodati.

E le altre? La riforma del lavoro è un pateracchio che non piace a nessuno, nè ai lavoratori nè alle imprese, e non ha prodotto finora altro risultato che l'ulteriore indebolimento dei diritti faticosamente conquistati con la Statuto dei lavoratori. L'abolizione delle Province è rimasta lettera morta, e comunque dal governo dei tecnici e dei professori ci si sarebbe aspettato ben altro disegno della riorganizzazione dello Stato di quel "compitino" senza respiro, anzi, senza capo nè coda, che era stato scodellato. Senza contare che sui costi della politica (riduzione dei parlamentari e dei loro stipendi in primis) non è stato fatto praticamente nulla. Anche sulle liberalizzazioni le riforme di Monti hanno segnato il passo, e quella degli Ordini professionali è stata definita da tutte le categorie professionali "una riformetta ridicola". E l'elenco potrebbe continuare.

Ma la "non riforma" per eccellenza di Monti è stata la sua candidatura a premier, a capo di una coalizione con Casini e Fini, con la benedizione del Vaticano, dopo che aveva sbandierato a destra e manca il suo "spirito di servizio" per il bene della Nazione e assicurato a tutti che la sua era la "missione a termine di un tecnico". Altro che "riformismo": qui siamo, da un lato, all'Ancien Régime e, dall'altro, ai peggiori vizi della politica: l'incoerenza, il trasformismo, l'incapacità di scendere una volta conquistata la poltrona, il potere.

Su Berlusconi non c'è molto da dire. Ormai non ci sono più parole per lui: le abbiamo già spese tutte. L'imprenditore diventato potente con i soldi della mafia e le televisioni regalategli da Craxi, poi sceso in campo a difesa dei propri molteplici interessi, ha tentato di ammaliare ancora gli italiani promettendo la restituzione in contanti dell'Imu, 4 milioni di posti di lavoro, la cancellazione di tutte le tasse alle imprese e il ri-ponte sullo Stretto, ma non mi pare che ci sia riuscito. Al politico che fa il comico ormai non crede più veramente nessuno. E lui non fa più ridere, nemmeno quando fa le "battute eleganti" con l'impiegata ("Lei viene? Quante volte viene?"). Non credo che accadrà, ma se gli italiani dovessero ancora premiare Berlusconi dopo tutto quello che ha combinato e continua a combinare, penso che non ci resterebbe che cantare "Io non mi sento italiano" di Giorgio Gaber http://www.youtube.com/watch?v=5aWYkwV-pn0 e prendere la residenza in Francia.

E di Ingroia e Giannino che si può dire? Il magistrato e la coalizione che lo sostiene (la sinistra radicale e ambientalista, quel che resta dell'Idv di Di Pietro) sono la rappresentazione plastica di quella "sinistra tafazzi" che gioca sempre per fare vincere la destra e poter così issare la propria inutile testimonianza-bandiera d'opposizione. Sul personaggio, poi, rimando all'Ingroia di Crozza, che lo racconta meglio di qualsiasi altro http://www.youtube.com/watch?v=67T4Sa86jgI.

Su Giannino, invece, dopo le figure di merda rimediate con il master e le due lauree inesistenti, smentito perfino da Mago Zurlì sulla sua millantata partecipazione inesistente allo Zecchino d'oro, rimando alle parole di Francesco Merlo nel suo bel ritratto apparso su Repubblica. Scrive tra l'altro Merlo: "Stendiamo un pietoso velo sulla roboante lista di questi grandi liberali che rimasero sedotti dalle sue parole e non certo dalle sue lauree". E continua: "Oggi Giannino è inseguito dall’esecrazione di quegli stessi intellettuali che lo avevano glorificato e sventolato come una bandiera, a cominciare dal professore Zingales che lo ha denunziato a soli cinque giorni dal voto consegnandolo alla macchina del fango dei giornali di Berlusconi che, con la loro proverbiale e famosa innocenza, lo stanno trattando come il diavolo perché è a Berlusconi che forse Giannino poteva rosicchiare qualche punto in percentuale. E si distinguono proprio quei colleghi che lo ebbero come direttore a Libero Mercato".

Infine Grillo. E' stata la vera star della campagna elettorale e sarà la vera "sorpresa" alle elezioni di domenica e lunedì, dove potrebbe arrivare a sfiorare il 20% dei voti. A spianargli la strada è stata la mala-politica, cioè la pessima prova che la politica ha dato di sè in questi ultimi decenni, sia a destra sia a sinistra. Come dargli torto quando grida agli sperperi del denaro pubblico, alla corruzione, agli scandali delle banche e delle cordate che le sorreggono, ai privilegi dei politici.

Ma Grillo, campione della comunicazione e della battuta e gran trascinatore di folle, a me pare un esaltato che non accetta il confronto, non tollera il dissenso, vaneggia sulla democrazia diretta e del web, salvo scoprire che alle "parlamentarie" hanno votato appena in 10.000 persone in tutta Italia e che sono bastati i voti di parenti, amici o condomini per fare conquistare ai candidati il pass per in Parlamento. E sul piano delle proposte, come potenziale premier, mi sembra uno che, come direbbe Flaiano, ha "poche idee ma confuse".

Per me il comico genovese che fa il politico è un altro dei dittatori pazzi, o "un imbroglione" come lo ha definito Curzio Maltese su Repubblica, di cui questo paese periodicamente si innamora. Ma in virtù del suo slogan preferito ("tutti a casa") e delle sue trovate geniali ("Arrendetevi, siete circondati dal popolo, non vi faremo del male"), trascina e fa ridere i delusi di destra e di sinistra, tenta gli astensionisti e penso che alla fine avrà una valanga di voti.


















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