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sabato 12 gennaio 2013

Favia, i rivoluzionari e quelli che la politica "è sempre meglio che lavorare"

Dunque Giovanni Favia lascia il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e va con Rivoluzione civile di Antonio Ingroia. Dopo una lunga meditazione (o trattativa) ha accettato di candidarsi con la lista dell'ex magistrato siciliano che aggrega l'Idv di Di Pietro, i resti di Rifondazione (Prc) e dei Comunisti italiani  (Pdci), cioè quegli odiati partiti (questi tre ormai in rotta, a dire il vero) di quell'odioso sistema politico contro cui Favia e i grillini hanno fino a ieri detto tutto il male possibile. Sarà capolista in Emilia-Romagna per la Camera (che sulla carta significa ottime chances di essere eletto), ma per ora non si dimetterà da consigliere regionale del M5S: lo farà, ha assicurato, anche se non verrà eletto, ma solo alla prossima verifica interna dei grillini, tra sei mesi (che non si sa mai).

E' pur vero che il "Casaleggium" che comanda nel M5S (Gianroberto Casaleggio, quello che ha organizzato le parlamentarie on line, primo grandioso e riuscitissimo esempio di democrazia diretta e virtuale, con ben 20mila votanti in tutta Italia - meno che nella sola Bologna per le primarie del Pd - e Beppe Grillo, paragonato dal suo sodale nientedimeno che a Gesù) ha fatto di tutto per spingere fuori dalla porta Favia e tutti coloro che tra i grillini si sono azzardati qualche volta a dissentire e a chiedere un po' di democrazia. Ma quel dettaglio sulle mancate dimissioni dal doppio incarico (consigliere regionale del M5S e capolista di Rivoluzione civile per il Parlamento), che peraltro accomuna anche altri fenomeni emergenti della politica italiana (tanto per citarne uno, Matteo Richetti del Pd il "JFK di Fiorano" campione di preferenze alle primarie, che però prima di correre si è dimesso solo da presidente dell'Assemblea legislativa regionale e non da consigliere regionale, che non si sa mai), la dice lunga sul personaggio.

La domanda (retorica) che viene spontanea è: ma se la politica fa così schifo perchè dal treno della politica non scende mai nessuno? Intellettuali e calciatori, ricchi e poveretti, lavoratori e nullafacenti, imprenditori e giornalisti, artisti e magistrati: una volta entrati in politica se ne innamorano così tanto che nessuno se ne vuole più andare; mai.  Compresi, da oggi, i campioni dell'antipolitica che dicono peste e corna dei partiti, delle istituzioni, del potere. Quelli come Giovanni Favia, per intenderci. Ma anche come Ingroia, o certi dipietristi e leghisti di casa nostra e non.

Cos'è che li accomuna, li contagia e li tiene attaccati alla poltrona? E perchè quando fanno il gran gesto e dicono "basta, la politica non fa per me" (vero ex direttore del Resto del Carlino, Giancarlo Mazzuca?) poi si scopre che nove volte su dieci si sono fatti da parte perchè in realtà li hanno trombati? Quelli che tornano alla loro occupazione precedente sono rarissimi, vere mosche bianche. A destra come al centro e a sinistra. E non da oggi. Ricordo un'intervistona di un po' di anni fa a un funzionario di partito che conosco (e di cui non faccio il nome) che diceva sul giornale (di cui non faccio il nome), tutto orgoglioso: "Il mio periodo al servizio della politica e della comunità è finito, torno a guidare l'autobus". Sei mesi dopo era già in corsa per rientrare in politica e candidarsi a sindaco (non dico di quale Comune). E da quel che ne so non è ancora sceso.

Sarà perchè è "sempre meglio che lavorare", come si diceva una volta dei giornalisti? Lo disse per primo una firma storica del giornalismo, Luigi Barzini (""Il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi, ma è sempre meglio che lavorare") e Luca Goldoni ci fece il titolo di un libro. Ma ora la gran parte dei giornalisti è precaria, fatta di collaboratori e frelance che guadagnano pochi euro ad articolo, di contratti a termine, poche tutele e molto sfruttamento. E anche quando i giornalisti hanno la fortuna di riuscire a farsi assumere, a parte l'èlite sempre più ristretta di direttori, capi di lungo corso, raccomandati e ancorman, oggi si fanno un mazzo così per uno stipendio sempre più modesto, poco più che da impiegato.

Se si volesse cavalcare l'antipolitica, "sempre meglio che lavorare" si potrebbe dire oggi di tanti politici mediocri che nella vita non hanno mai imparato e praticato una professione, un mestiere vero; di certi paraculi miracolati dalle vecchie logiche di partito e da qualche buona relazione che essendo senza arte nè parte sono disposti a qualsiasi compromesso e "salto della quaglia" pur di restare in politica.  Ma sarebbe riduttivo pensare che questo sia l'unico o anche solo il principale motivo dell'attrazione fatale. No, c'è molto altro: dall'idealità allo spirito effettivo di servizio, dal fascino del potere alla realizzazione del proprio io, passando per i rapporti economici e sociali.  Dire "sempre meglio che lavorare", inoltre, significherebbe fare di tutte le erbe un fascio. E il peggior servizio che si può fare alla buona politica, a un Paese e al suo popolo, è dire "sono tutti uguali".

Perchè non sono tutti uguali i politici. Io ne ho conosciuti tanti di politici-persone per bene: gente motivata, preparata, disinteressata, spinta da passione vera, ancorata a solidi principi etici e morali. Anche se molti erano, lo debbo purtroppo dire, di altre generazioni. E non è tutta sporca la politica. Anzi. Quella politica che tanto pubblicamente si disprezza è in realtà la più nobile delle attività. Perchè la politica siamo noi, è la nostra capacità di organizzarci, affrontare i problemi, essere comunità. Finalità che si sono in gran parte perdute col craxismo e il berlusconismo, ma che bisogna ritrovare in fretta se vogliamo costruire un futuro migliore. Ma per farlo, per attuare quel rinnovamento e quel ricambio della classe politica oggi indispensabili, servono innanzitutto serietà e coerenza. Doti che per primi dovrebbero avere i critici della vecchia politica.

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