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lunedì 17 dicembre 2012

Giornalisti, l'Ordine sempre più nel disordine. Un pubblicista novantenne presiede il Consiglio di disciplina

Dunque saranno i pubblicisti a guidare il Consiglio di disciplina che vigila sulla deontologia dei giornalisti italiani. Affossata la riforma dell'Ordine, Governo e Parlamento hanno varato una leggina che regola la vita degli Ordini professionali in tema di deontologia e di formazione permanente. E il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, guidato da Enzo Iacopino e da una maggioranza di centrodestra dominata dai pubblicisti, si è subito adeguato eleggendo di gran fretta i 12 consiglieri che faranno parte del Consiglio di disciplina nazionale che esaminerà i ricorsi dei colleghi sanzionati dagli Ordini regionali. Questi ultimi chiedevano il rinvio in attesa di avere chiarimenti dal Ministero della Giustizia sui dubbi e le incongruenze della legge, ma la loro richiesta è stata sostanzialmente ignorata dall'Ordine nazionale.

Venerdì 14 dicembre a Roma si è quindi proceduto alla elezione del Consiglio di disciplina, che è il nuovo "tribunale di secondo grado" per le violazioni deontologiche dei giornalisti. Il compromesso di buon senso raggiunto tra maggioranza e minoranza per confermare almeno la Commissione ricorsi in carica (con la sola eccezione di Ida Baldi, che ha rinunciato per altri sopraggiunti impegni), è stato vanificato dai giochi di potere combinati dai capibastone dei pubblicisti che hanno portato all'elezione di Severino Felappi, detto Rino, classe 1923, pubblicista, che in base a una norma alla norma cervellotica della legge che premia la maggiore anzianità sarà presidente del Consiglio di disciplina. Per gli stessi giochi correntizi e le stesse ragioni anagrafiche, in questo caso rovesciate (la più giovane, professionalmente parlando), diventa segretaria Francesca Santolini, pure lei pubblicista e come Felappi appartenente all’area dei cosidetti "galliziani" milanesi.

Gli altri eletti sono: Pino Anzalone, professionista (Basilicata), Antonio Cembran, professionista (Trentino), Dario De Liberato, professionista (Marche), Armando De Rosa, pubblicista (Campania), Elio Donno, pubblicista (Puglia), Paolo Giovagnoni, professionista (Umbria), Saverio Paffumi, professionista (Lombardia), Michele Partipilo, professionista (Puglia), Luisella Seveso, professionista (Lombardia), Laura Trovellesi, professionista (Lazio). A rendere ancora più paradossale la storia, va sottolineato che Felappi e Santolini sono stati anche, tra gli eletti, i consiglieri meno votati. Per completare il quadro normativo va invece precisato che i 12 eletti all'atto della nomina cesseranno di essere consiglieri nazionali e che il Consiglio nazionale di disciplina dovrà essere rinnovato tra pochi mesi, dopo l'elezione del nuovo Consiglio nazionale dell'Ordine. Il regolamento, inoltre, prevede che le decisioni su sanzioni e ricorsi siano prese a maggioranza, con il relatore che non vota.


Così, mentre la riforma dell'Ordine va in archivio e il sistema della formazione professionale (l'altro corno della leggina governativa) ancora deve decollare, l'unica "innovazione" che avanza è lo scorporo della "vigilanza deontologica" dall'attività dei Consigli regionale e nazionale, con contestuale affidamento dei procedimenti disciplinari a organismi esterni (i Consigli di disciplina regionali, addirittura, non verranno eletti dai giornalisti ma nominati dal tribunale). E a livello nazionale a istruire i ricorsi saranno un presidente e una segretaria entrambi pubblicisti.


È l'ennesima dimostrazione del progressivo svuotamento d'identità dell'Ordine, che come dice la parola stessa dovrebbe essere "professionale", cioè di chi svolge la professione di giornalista, e che invece è ormai nelle mani di chi nella vita fa altro, non ha fatto formazione e dato l'esame di Stato, ma presiede un collegio che deve valutare i comportamenti deontologici dei professionisti dell'informazione. Un Ordine perciò sempre più distante dai giornalisti e lontano dai problemi della nostra categoria, come peraltro dimostrato dal bassissimo tasso di partecipazione dei colleghi professionali alle elezioni per il rinnovo dei propri consigli (appena il 10-15% degli aventi diritto).

Diversi Ordini regionali hanno contestato, oltre alla legge governativa, il comportamento del Consiglio nazionale e in particolare del presidente Enzo Iacopino. Concordo in tutto e per tutto con le loro critiche. Il mio parere è che la gestione di tutta la partita della (mancata) riforma dell'Ordine, dei rapporti con il Governo e il Parlamento sia stata gestita in modo approssimativo, personalistico (per non dire paternalistico), ed è infine risultata fallimentare. La mia opinione sull'elezione del Consiglio di disciplina era favorevole al rinvio in attesa di chiarimenti formali del ministero e per ricomporre un quadro unitario tra Ordine nazionale e Ordini regionali. La fretta di mostrarsi zelanti verso il Ministro e nell'applicazione di una legge cervellotica, per di più mentre il Governo sta per uscire di scena,  è sconcertante. Così come è francamente inaccettabile che a presiedere il Consiglio di disciplina sia un pubblicista novantenne.


Per questo ritengo che i consiglieri eletti nel nuovo organismo che non si riconoscono nella gestione Iacopino e nella "sua" maggioranza, dovrebbero dimettersi. Comprendo le riserve di chi dice che così si lascerebbe tutto il campo della disciplina "agli altri", ma "gli altri" fanno già il bello e il cattivo tempo nell'Ordine  per cui restare o no negli organismi e nelle commissioni che ne sono l'espressione è ormai diventato indifferente, come dimostrano anche alcune recenti e clamorose "assoluzioni" di colleghi per violazione deontologica.

Io non so se mi ricandiderò a consigliere nazionale dopo questa prima e non certo esaltante esperienza. Ma sono certo che potrei farlo solo in nome di una riforma radicale dell'Ordine, che dovrebbe sancire il principio che giornalista è chi si è formato per farlo e lo fa di mestiere. E che, di conseguenza, dovrebbe avere come obiettivo il superamento della divisione tra pubblicisti e professionisti, dando naturalmente ai pubblicisti che fanno la professione la possibilità di diventare professionisti. Con un Consiglio nazionale composto da non più 60-90 consiglieri (oggi siamo 150) che si occupa concretamente dei problemi della categoria, a cominciare dalla formazione, dall'accesso e dalla tutela professionale, senza delegare ad altri la vigilanza sulla deontologia. Solo così, a mio parere, può valere la pena di continuare una battaglia.

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