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lunedì 20 agosto 2012

"Telemarketta", la paginata di domenica su l'Unità

Di seguito i pezzi della nuova paginata su "telemarketta" che ho scritto per domenica 18 agosto su l'Unità.

TITOLO D'APERTURA:

INTERVISTE TV, UN CASO FA DISCUTERE IL PD
Il consigliere Casadei su Teleromagna in un format promozionale a pagamento
Monari:  "Ma questa è un'altra storia" Il Pd: "Cercano di coinvolgerci"

E adesso provano a tirare dentro anche il Pd, che quando “tele-marchetta” è esplosa ha preso le distanze dalla pratica ingannevole dei messaggi e delle presenze a pagamento spacciate come informazione giornalistica. Pratica «immorale» aveva detto il presidente dell’Assemblea legislativa, Matteo Richetti. «Noi non c’entriamo, non facciamo queste cose», aveva precisato il gruppo consiliare. I “grillini”, ma anche il Pdl e la Lega, avevano insinuato dubbi, sostenuto che i consiglieri Pd promuovono la propria visibilità in Tv senza bisogno di contrattini e tariffe da 2-300 euro a comparsa, con i soldi che la Regione - Giunta e Consiglio - dà alle emittenti locali per la comunicazione istituzionale, oltre che con il supporto dei due uffici stampa - di Giunta e Consiglio - che premierebbero la maggioranza a discapito delle minoranze. E ieri, sul Fatto Quotidiano on line è comparso il titolo atteso: «Anche il Pd paga apparire in Tv», poi ripreso dai siti dei principali media locali e nazionali. Si cita il consigliere Thomas Casadei, che - come gli altri - avrebbe pagato con soldi pubblici per andare su Teleromagna e Telerimini. Senza chiarire, tuttavia, di che apparizione si tratta; se è - come per gli altri che hanno pagato 7 Gold ed È Tv - un’intervista o una ospitata negli spazi informativi propri dell’emittente, o un programma redazionale riconoscibile di comunicazione politica. Senza chiarire quindi se anche lì c’è stato inganno o se si tratta invece di una trasmissione legittima. Casadei non ci sta a finire sulla graticola. «Non ho mai pagato per essere intervistato o andare ospite nelle trasmissione generaliste di informazione e attualità - precisa - ho invece partecipato al programma “La mia Regione” di Teleromagna, un contenitore progettato e mirato a una comunicazione politico-istituzionale del tutto legittima per far conoscere le attività del gruppo e dei consiglieri democratici. Nella trasmissione questa caratteristica autopromozionale era perfettamente riconoscibile: ogni tanto passava sullo schermo il simbolo del Pd». In effetti il format «La mia Regione» è riconoscibile come redazionale pubblicitario, ma non appare una scritta che lo chiarisca. Un contenitore tipo «Regione in» o «Provincia in», promossi dalle istituzioni e veicolati sulle reti private. Va in onda in orari generalmente non di punta e dura 15 minuti. C’è un conduttore che dialoga con uno o più ospiti. Le domande non sono propriamente “cattive”. Alla fine ai committenti viene dato il Cd della trasmissione, che Casadei riversa poi nel suo sito. «Sono sereno - dice - non ho tentato di ingannare nessuno, ho seguito i criteri fissati dalla legge, l’acquisto di quel format è stato concordato col gruppo».


MONARI: CHI SBAGLIA PAGA

«È normale che i gruppi consiliari, così come le amministrazioni, facciano comunicazione politica e istituzionale a pagamento sui media - conferma il capogruppo Pd, Marco Monari - è una pratica assolutamente legale e trasparente. C’è e ci deve essere una distinzione netta tra questi “prodotti” e gli spazi informativi propri dei media». E ripete: «Noi non abbiamo mai comprato interviste negli spazi informativi e generalisti. Noi non millantiamo nulla. Fa parte della nostra etica di consiglieri. E la stessa cosa dovrebbe valere per le emittenti e i giornalisti». Poi Monari aggiunge: «Certo, se qualcuno dei nostri dovesse avere comportamenti che derogano da questo principio, disinvolti e non trasparenti, dovrebbe risponderne e pagare personalmente. Non credo sia il caso di Thomas. Io mi fido di lui. Ma qui stanno provando a tirarci dentro».

SECONDO TITOLO:

INTERVISTE PAGATE, VENERDI' CONSIGLIO STRAORDINARIO DELL'ORDINE
Intanto il "grillino" Favia si sfila e fa ammenda: "Mea culpa"

Bacchettato da Beppe Grillo e criticato anche da molti “grillini” sul web, il consigliere regionale del M5S Giovanni Favia si sfila da “tele-marchetta”. In un post nel suo sito scrive che già «due settimane prima delle polemiche» aveva «dato disposizione di bloccare il rinnovo del contratto con la TV locale»,7 Gold, «per via di alcune criticità» che non lo convincevano, a cominciare dal fatto che non era «chiara la committenza pubblica degli spazi». E per questa mancanza, dice, «devo fare anch’io un mea culpa». Resta però qualche incongruenza sui tempi, e anche sulle cifre della partecipazione di Favia alla rassegna stampa 7 in punto dell’emittente. L’amministratore delegato di 7 Gold, Maurizio Bergonzoni, da noi interpellato, chiarisce che il contratto del “grillino” in realtà era scaduto nel giugno scorso, e che si trattava di un pacchetto di dieci “ospitate” da 350 euro l’una (Favia aveva parlato di 200 euro al mese).


Intanto l’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna ha deciso la convocazione di un Consiglio straordinario per venerdì prossimo, 24 agosto, per esaminare il caso delle interviste e delle “ospitate” a pagamento negli spazi informativi di maggiore appeal (rassegna stampa, telegiornali, talk-show) in alcune emittenti televisive locali (7 Gold ed È tv quelle citate esplicitamente) di diversi consiglieri regionali (finora hanno ammesso di aver pagato Favia, Silvia Noè dell’Udc, Galeazzo Bignami del Pdl, Manes Bernardini della Lega e Roberto Sconciaforni della Federazione della sinistra). «In quella sede - dice il segretario dell’Ordine, Roberto Olivieri - decideremo i passi successivi dell’istruttoria nei confronti degli iscritti all’Albo coinvolti nella vicenda. Il nostro intento è quello di avviare un’azione moralizzatrice senza cadere nel moralismo». Sicuramente verranno esaminati i servizi usciti finora sui media, le dichiarazioni rilasciate da giornalisti e politici, gli esposti annunciati o depositati. Probabilmente partiranno anche le prime convocazioni. Il tutto per accertare le violazioni deontologiche da parte non solo dei conduttori delle trasmissioni “incriminate” ma anche dei direttori responsabili e degli editori. Quattro le sanzioni previste in caso di riconosciuta colpevolezza: avvertimento, censura, sospensione, radiazione dall’Albo. Anche il sindacato dei giornalisti torna sull’argomento con una nota ufficiale della Federazione nazionale della stampa. La Fnsi premette di essere preoccupata «almeno quanto gli imprenditori del settore dalla crisi che sta devastando l'emittenza locale e che il passaggio al digitale terrestre ha accelerato». Ma afferma che pensare di uscirne «con quei mezzi è una scorciatoia verso il suicidio». «Non c'è crisi economica del settore dell'emittenza locale, per grave che sia, che possa giustificare il fenomeno delle interviste a pagamento praticate in almeno due tv locali dell'Emilia-Romagna - scrive in una nota la Fnsi - il rispetto delle regole deontologiche non è un lusso da concedersi nei tempi felici, ma il fondamento stesso del rapporto di fiducia con gli utenti». Diversamente «si truffano gli spettatori né più né meno come un'industria alimentare che metta in circolazione cibi avariati» e si fa «concorrenza sleale verso le emittenti che invece rispettano il diritto dei cittadini ad un giornalismo corretto e trasparente». Per questo la Federazione della stampa chiede che «tali comportamenti vengano censurati nel modo più netto, stroncando sul nascere ogni tentativo di confondere le responsabilità e far credere che “così fan tutti”». E fa appello agli editori a essere «intransigenti». Ma 7 Gold non ci sta. «In Italia siamo al 40esimo per la libertà di stampa dopo la Bulgaria - dice Bergonzoni - l’Ordine e il sindacato si occupino di quello invece che di queste sciocchezze, di una pratica consolidata in tutte le Tv. Con l’etica non si chiudono i bilanci»

TERZO TITOLO:

L'AMMINISTRATORE DELEGATO DI 7 GOLD NON VEDE LO SCANDALO
MA DA DOMANI SOSTITUISCE PATACCINI. L'EDITORE DI TELEREGGIO:
"NON E' VERO CHE COSI' FAN TUTTI"

Da domani la rassegna stampa 7 in punto avrà un altro conduttore. «La farà Gianluigi Lucarelli, un nostro giornalista di Forlì», dice Maurizio Bergonzoni, amministratore delegato di 7 Gold.Dario Pataccini, lo storico conduttore a metà tra giornalismo e pubblicità che si fa lo stipendio con le provvigioni che prende dall’editore sui contratti che riesce a procurargli e che ha fatto scoppiare il caso, rimarrà «ma più defilato». Un cambio in corsa forse finalizzato a prevenire guai con l’Ordine dei giornalisti. Ma che non cambia la linea editoriale dell’emittente. «Noi continueremo a farci pagare - dice Bergonzoni - se un politico, un’associazione, un’azienda vuole visibilità sulla nostra Tv deve contribuire ai costi di produzione. Se fanno un convegno, mica posso mandare una troupe gratis. È una prassi consolidata. Lo fanno tutti. Solo nei Tg non paga nessuno. A 7 in punto si paga. E anche per altri programmi di informazione. Come Ottobre rosso, ad esempio, la trasmissione su temi d’attualità che va in onda i lunedì dalle 21 alle 22.30, condotta da Fabio Raffaelli». Ma è proprio vero che così fan tutti?«Noi non lo facciamo e come noi molte altre tv locali», afferma Paolo Bonacini, editore e direttore responsabile di Telereggio, una delle principali emittenti della Regione che con i suoi 160-170mila contatti giornalieri (dati Auditel) rivaleggia con 7 Gold, oltre che tv che vive di informazione. «Ho una redazione con 13 giornalisti assunti, il nostro tg è uno dei più seguiti, io mi faccio pagare di più la pubblicità negli orari del Tg. Ma non mi sognerei mai di mettere a condurre il Tg o la rassegna stampa uno pagato per i contratti pubblicitari che mi porta. È una aberrazione professionale». Poi aggiunge: «Posso capire Bergonzoni. Le tv locali hanno l’acqua alla gola. Ma le leggi, le regole deontologiche dell’Ordine, i nostri codici di autodisciplina nell’ambito del contratto “Aeranti-Corallo” dell’emittenza privata, sono scritti, non si possono ignorare. Sono regole sovrane e dicono che pubblicità e informazione vanno nettamente distinte». «Un conto - continua Bonacini - sono i prodotti istituzionali a pagamento consentiti dalla legge e che vanno in appositi spazi della programmazione. Altro conto è intervistare o invitare un politico solo se paga. Questo non si può fare. È dequalificante. Il mio giudizio su chi lo fa è tranchant, sia per i miei colleghi editori e direttori, sia per i politici, che non possono ignorare le leggi». E conclude con una regola aurea: «La pubblicità non condizioni la linea editoriale, l’editore non invada il campo dell’informazione, la redazione faccia valere la propria autonomia».

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